Quel tragico otto settembre del 1905 a Parghelia

di

Antonio Bagnato

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  Un giovane di Parghelia così descrive “la scena” del terremoto: “Erano le ore due e 45 dopo la mezzanotte, quando d’un tratto ci vedemmo svegliati da un turbine tremendo; pareva che tutto l’inferno si fosse scatenato contro le nostre povere case. […] Fuori non si vedeva più nulla tanto era fitto il polverio che saliva dalle macerie; ma questo a poco a poco diradandosi permise che l’un l’altro ci potessimo vedere in viso. Tutti erano in strada, chi in camicia, chi coi calzoni, chi avvolto in un lenzuolo e qualcuno interamente nudo, ché forse per il gran caldo era costretto a dormire in quel modo, rincantucciato cercava di coprirsi con le mani le vergogne. Si udivano intanto pianti disperati, singhiozzi e grida di pietà. […].  In un canto una donna quasi nuda gridava disperatamente, e si era sciolta le trecce e con esse si nascondeva il seno tutto nudo; un’altra, curva  al suolo, tenendo in una mano un lumicino, […] scavava con l’altra tra un monte di macerie, donde diceva di avere sentito venir fuori la voce di sua figlia, che in realtà fu poi trovata viva, […] un’altra ancora –racconta il giovane sopravvissuto al terremoto- nel buio di un  tugurio stringeva al petto il corpicino freddo d’una sua creatura. […] Un povero vecchio rimasto con le gambe dentro pensolava (sic) da un muro gridando che lo si liberasse dalla morte, e morì di fatto; e così via altri cento casi ancor”.

  Settanta furono i morti e più di cento i feriti, distrutte quasi tutte le case. Finalmente giunse l’alba di quell’otto settembre: “Seguì il sole che di mezzo a un cielo di zaffiro illuminò quell’ecatombe di martiri avvolti tra le pietre. Ancora ironia! Ma beati  loro, quelli che morirono, perché non videro lo strazio che gli uomini avrebbero fatto di loro se fosso rimasti vivi”. (Quasimodo, Terremoto e soccorsi)

  Quel terribile evento sismico provocò in Calabria 557 morti e 2615 feriti. Alcuni paesi furono quasi completamente distrutti, tra questi, Parghelia, Piscopio, S. Leo di Briatico, Zammarò, Stefanaconi, il rione Forgiari di Monteleone, la frazione Vardesca di Martirano, Aiello.

  Il terremoto spinge i grandi giornali nazionali ad essere presenti in una regione d’Italia ancora poco conosciuta, per raccontare e rendere visibile la tragedia. Tra questi: “Il corriere della sera”, “Avanti!”, “La tribuna”, “Il Mattino”, “Il giornale d’Italia”, “Il secolo XIX”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione”, “La Domenica del Corriere”.

  Parghelia appare a O. Malagodi, inviato de ”La tribuna”, come “una città dell’orrore” condannata a scomparire, il “fu paese”, “una delle più dolorose tappe in questa via del pianto”. E ancora, in una corrispondenza del 19 settembre: “Tra tutti i paesi che ho veduti [Parghelia] è quello che impressiona di più, non solo pel disastro del passato, ma anche per  il pericolo del presente”.  

  All’osservatore attento appare evidente il dramma che ha colpito Parghelia, “una delle più dolorose tappe delle vie del pianto”.

   In questa città dell’orrore, solo il vice sindaco, un vecchietto curvo, Onofrio Salamò, si dà da fare, organizza soccorsi per la popolazione, ma con fondi molto limitati. Ufficiali, soldati e popolo dicono di lui un gran bene. A Fitili Diego Mazzitelli, nonostante abbia perduto un figlio, si prodiga con grande impegno ed umanità per aiutare i sopravvissuti. Mancavano gli amministratori, sembrano scomparsi.

  Nonostante una certa apatia, derivante dallo smarrimento provocato dal terremoto, le popolazioni locali cercano di organizzarsi per sopravvivere, anche se in condizioni difficili. Sono, invece, i ceti dominanti locali, i rappresentati dello Stato a non dare ottima prova di sé. Si notano lentezza nei soccorsi, ritardi, imbrogli ed affarismi nella costruzione delle baracche.

   La gente non ha più fiducia nei ceti agrari e borghesi locali, perché sono incapaci di organizzare i soccorsi e perché interessati a mantenere gli antichi privilegi e ad approfittare del terremoto per acquisirne altri. Sostiene Luigi Barzini sul “Corriere della sera” del 20 settembre 1905 che il popolo “non crede più ai suoi capi, ai suoi signori, ai suoi padroni, e si getta pieno di speranza verso gli estranei che arrivano, con la foga di chi cerca una liberazione, torva parole che scendono direttamente al cuore, le quali rivelano quelle profonde sofferenze, inaudite e profondamente antiche che il terremoto ha scosso facendo cadere, in un minuto, i terribili frutti maturi”.

    Dell’incapacità, del trasformismo, dell’ascarismo, dell’affarismo così scrive sul “Giornale d’Italia” del 13 settembre del 1905 Antonio Anile: “Gli ostacoli veri per cui il Mezzogiorno non si solleva sono tutti nelle amministrazioni locali che, in massima parte, non sono che focolai di pervertimento all’ombra protettiva del governo, che si occupa soltanto di tenere a sé legata la deputazione meridionale”. Il terremoto svela drammaticamente, da una parte l’estrema povertà del popolo calabrese e dall’altra l’incapacità, l’arroganza e la rapacità delle vecchie e parassitarie classi dominanti.

   Durante la costruzione delle baracche non si verificano solo ritardi, ma anche imbrogli, ruberie e speculazioni; massiccia è la presenza della camorra.

   Quando finalmente arriva il legname e si iniziano a costruire le baracche, gli imbrogli continuano più di prima a tal punto che Quasimodo, che fece una inchiesta mirata sui soccorsi e sulla costruzione delle baracche a Parghelia, così scrive: “Qui tralascio di parlare della camorra, degli incettatori e degli appalti, dei ladroneggi e di tutte le porcherie che si commisero, prima perché non finirei mai più , e poi perché qualche mio lettore di stomaco un po' delicato potrebbe rovinarselo del tutto”.

   Eppure c’è un’ampia e partecipata solidarietà delle popolazioni del resto d’Italia nei confronti della Calabria colpita dal terremoto. Tanti i comitati di solidarietà e d’intervento. Il Comitato della città di Milano costruisce a Parghelia un piccolo ospedale di dieci posti letto e dopo quaranta baracche, senza imbrogli e senza camorra. Il Comitato di soccorso della città lombarda, così come altri Comitati, non solo dimostrano la loro solidarietà umana e materiale nei confronti delle popolazioni calabresi colpite dal terremoto, ma indicano anche la strada da seguire per una possibile rinascita della Calabria e del Mezzogiorno.

   Il terremoto, pur nella sua drammaticità, poteva essere l’occasione per affrontare la questione meridionale, non fu così. Le classi dominanti calabresi non sembrano interessate a mutamenti radicali nella regione, ed i parlamentari si lasciano sfuggire un’occasione importate per fare uscire la regione dalla sua  arretratezza e marginalità. Ma loro sono gli ascari del governo e del potere centrale.

    Francesco Pugliese nel suo volume Il terremoto dell’8 settembre 1905 in Calabria scrive che il sisma “mise inesorabilmente a nudo le miserie di una classe dirigente locale [ e non solo], costituita da nobiltà terriera parassitaria e da una borghesia “paesana” e provinciale”.

   Anche il terremoto fu un’occasione perché i più ricchi e i più furbi si arricchissero ulteriormente e i poveri restassero più poveri ed emarginati, non solo allora.

                                                                                                                    Antonio Bagnato