Wojtyla scelse di non essere curato

I comuni mortali invece devono morire soffrendo

 

 

Testimonianza Corriere.it

Cardinale, ma nel caso di papa Karol Wojtyla, chi ha deciso di non portarlo al Policlinico Gemelli quel 30 marzo 2005 (Giovanni Paolo II è morto la sera del 2 aprile 2005, ndr)? «Lui. Chiese: “Se mi portate al Gemelli avete modo di guarirmi?”. La risposta fu no. Allora replicò: “Resto qui, mi affido a Dio”». E’ un rifiuto all’accanimento terapeutico? «Sì, nel senso di cure sproporzionate e inutili», dice Lozano Barragán. Wojtyla forse, attaccato a una macchina, sarebbe sopravvissuto oltre il 2 aprile. Ma ai medici disse: «Al Gemelli mi possono fare cure per guarire? No? Allora, grazie ma io resto nel mio appartamento». Lozano Barragán nel suo intervento al convegno ha ribadito che la «Chiesa cattolica è sempre contro la cultura della morte, che la vita umana non è negoziabile». E l’antidoto alla richiesta di morire dei malati? «Il calore umano e le cure palliative. Ho visto troppi malati morire soli», risponde il ministro della Salute del Vaticano. E i malati al convegno sottolineano: «È importante far sentire un paziente terminale non un peso per la sanità e la famiglia, ma curarlo per permettergli di essere attivo fino alla fine».
[corriere.it]

Quindi Giovanni Paolo II scelse di non essere curato ulteriormente perché le cure non lo avrebbero guarito ma solo protratto la sua agonia, il suo dolore terreno. Il papa che fu un uomo affascinante e bello, attore, sciatore, scalatore, amante della vita, rifiutò il prolungamento di questa non essendo in grado di viverla degnamente. E allora perché tanto casino quando un malato terminale chiede di essere lasciato al suo destino, di non vivere con un respiratore artificiale ficcato in gola o di porre fine ai tormenti che lui ritiene insopportabili? Non è forse la stessa scelta del papa? Se quella di Wojtyla non fu certo eutanasia attiva, lasciatemela chiamare eutanasia passiva, perché altrimenti è troppo facile nascondersi dietro la formuletta del rifiuto dell’accanimento terapeutico, formuletta comoda che non ci fa pronunciare la parola scomoda: eutanasia.