UNA STORIA ININTERROTTA DI VIOLENZA E SANGUE di Benedetto Canonico |
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Dagli albori della civiltà l’uomo si ritrova con una pesante zavorra evoluzionistica, fatta di impulsi a uccidere i propri simili, a torturare, a conquistare e sottomettere, a sfruttare ... Per tutta una serie di contingenze, dagli albori della civiltà l’uomo si ritrova con una pesante zavorra evoluzionistica, fatta di impulsi a uccidere i propri simili, a torturare, a conquistare e sottomettere, a sfruttare, ecc...ecc... Da allora, un orribile fiume di sangue e di violenza, ha continuato a scorrere tragicamente, fino ad oggi. In tutto questo tempo, la fantasia umana ha fatto sfoggio di una fertilità inaudita nell’invenzione di forme crudeli e sempre nuove di morte, di tortura, di sfruttamento, ecc..,. nonché di motivazioni per tacitare la coscienza! Come spiegare l’imbarazzante presenza di questa nefasta eredità biologica? A differenza di quanto avviene per gli animali, nell’uomo i freni inibitori che pure esistono, troppo spesso non riescono a impedire l’uccisione dei propri simili. In concreto, mentre gli animali di regola uccidono solo individui di altre specie e solo per cibarsene, gli uomini hanno “licenza di uccidere” i propri simili. Come sono potuti giungere a tanto? Qual è stata la molla che li ha spinti? Quali i meccanismi evolutivi che hanno prodotto un risultato così deleterio? Risposte convincenti non esistono in proposito, si possono solamente formulare ipotesi più o meno verosimili.
a) – Invenzione delle armi Irenaus Eibl-Eibesfeldt ritiene che sia stata l’invenzione della prima arma a far venir meno i freni inibitori. <<Le nostre inibizioni innate all’aggressività sono intonate alle nostre strutture biologiche: quando gli uomini si aggrediscono con le nude mani, l’uno, alla fine, può sottomettersi e muovere a compassione l’altro; con l’invenzione della prima arma, la situazione si è mutata di colpo e possiamo assumere che l’uomo si sia trovato allora in uno stato di crisi analogo al nostro, nell’epoca atomica. Ai nostri antenati riuscì di adattarsi, ma ogni nuova arma li pose di nuovo di fronte al problema di inventare nuovi controlli culturali: lo sviluppo di regole di comportamento cavalleresco è sempre proceduto zoppicando dietro a quello della tecnologia delle armi.>> (D. Goleman, Op. cit, p. 127.) Poichè l’attivazione dei freni inibitori richiede il contatto diretto della vittima con l’aggressore, la loro efficacia è andata continuamente scemando in parallelo con la capacità delle armi di colpire con sempre maggiore rapidità e da distanze sempre maggiori. Con l’invenzione della prima arma, si poteva uccidere un uomo solo da una distanza ravvicinata, e questo consentiva ancora alla vittima di impietosire l’aggressore comunicando coi gesti, con la voce, ecc... La situazione non era molto diversa da quella originaria. Oggi invece si può distruggere una città - un anonimo puntino colorato su uno schermo luminoso - da una distanza di centinaia o addirittura di migliaia di chilometri, schiacciando semplicemente un bottone, mentre le vittime dell’aggressione, ignare del pericolo, nulla possono fare per scongiurarlo. In questa situazione l’efficacia dei freni inibitori è ridotta quasi a zero.
b) – “Pseudospeciazione culturale” I. Eibl-Eibsfeldt formula una seconda ipotesi sulla mancata tenuta dei freni inibitori, prendendo in considerazione non tanto la distanza fisica tra l’aggressore e la vittima, come nella prima ipotesi, quanto la distanza psicologica (emotivo-affettiva e valoriale) tra l’uno e l’altra. Allo scopo utilizza il concetto di “pseudospeciazione culturale”: l’aggressore si comporta senza i normali freni inibitori, come se la sua vittima appartenesse ad un’altra specie. I. Eibl-Eibsefeldt rileva come la rapida evoluzione culturale comporti il pericolo che si creino culture che si segregano le une dalle altre, ognuna difendendo la propria identità. <<Nella Nuova Guinea si parlano alcune centinaia di dialetti; nelle nostre Alpi ogni valle maggiore ha il suo costume e le sue tradizioni, nonchè il proprio “orgoglio di valle”, per via del quale si segregano dalle altre. Questa differenziazione è sicuramente un valore e nessuno potrebbe rinunziare alla varietà culturale dell’umanità, ma nella delimitazione vi è un pericolo: spesso essa è animata da ostilità. Lo stesso vale per sottogruppi contenuti in gruppi etnici. La tendenza alla speciazione (formazione di club) si oppone alla fratellanza universale.>> (I. Eibl-Eibsefeldt, op. cit., p. 59) Con tutta probabilità questa forte propensione a formare gruppi chiusi, più o meno estesi, è nata ai primordi dell’umanità da esigenze di caccia. Per cacciare le fiere coi mezzi rudimentali dell’epoca era necessario agire in piccoli gruppi ben affiatati. E quando la selvaggina scarseggiava, era necessario estendere il proprio territorio di caccia a danno dei gruppi vicini, innescando una conflittualità che era destinata a mantenersi nel tempo e a tramandarsi alla discendenza. (10) Questo tipo di organizzazione sociale dei primordi ha determinato negli esseri umani la predisposizione a vivere in piccoli gruppi, tendenzialmente chiusi e diffidenti nei confronti degli altri gruppi. In situazioni particolarmente critiche, la normale “chiusura” si acutizza e genera ostilità e odio reciproci, soprattutto un senso di estraneità, una presa di distanza psicologica che finisce con la disumanizzazione degli appartenenti al gruppo <<nemico>>. Costoro infatti non solo vengono vissuti come nemici, ma, attraverso un processo psicologico di una certa complessità, finiscono con l’assumere connotazioni disumane, odiose e ripugnanti: sono percepiti come violenti, furbi, ladri, dissoluti, disumani, sono dei diavoli, dei maiali, dei topi di fogna, degli sciacalli, mangiano i bambini, ecc... “Una volta innescato, il processo va avanti: nel momento in cui ci si convince che l’<<altro>> non è un essere umano, i processi di ritualizzazione e i freni inibitori che controllano l’aggressività <<intraspecifica>> [all’interno della specie] si allentano. E’ qui che i combattimenti e le violenze acquistano i connotati dell’aggressività <<interspecifica>> [tra appartenenti a specie diverse]. La propaganda, l’educazione, l’indottrinamento si alimentano di tutti questi meccanismi istintuali innati ed utilizzano a piene mani i segnali scatenanti più appropriati a far emergere negli individui un’immagine odiosa del nemico.” (G. Attili, Sociobiologia della violenza: Il nemico ha la coda, sul n. 134 di Psiclogia contemporanea, Giunti editore)
c) – Le passioni Anche le passioni possono far venir meno i freni che inibiscono l’uccisione dei propri simili. Abbiamo visto al paragrafo precedente che si tratta di “atteggiamenti psichico-spirituali talmente intensi da dominare incontrastati la mente e il cuore del soggetto”, e che “qualunque desiderio, opzione, orientamento ideale può subire, tramutandosi in passione, un processo di acutizzazione e virulenza capace di sottomettere a sé ogni altra attività e aspirazione, a scapito dei valori morali, sociali e pirituali”. Per queste loro caratteristiche, le passioni possono essere considerate le principali responsabili non solo dei maltrattamenti, delle angherie, dei tradimenti, delle ingiustizie, ecc… ma anche – io credo – dell’ uccisione dei propri simili e delle guerre che in ogni tempo hanno insanguinato il mondo.
d) – Disturbi della personalità Una ulteriore causa di mancata attivazione dei freni inibitori è costituita da svariate forme di disturbi della personalità.(Vedi par. 4.2.4 c e nota relativa) Poco importa sapere quale delle ipotesi colga maggiormente nel segno: la prima, che mette l’accento sulla mancata attivazione dei freni inibitori col venir meno del contatto diretto tra aggressore e vittima, oppure la seconda, che si basa sul fenomeno della speciazione culturale, o la terza che pone l’accento sulle passioni, o infine la quarta che tira in ballo i disturbi della personalità. Quello che conta soprattutto è che, a causa e in conseguenza di quello che possiamo definire il vero peccato originale dell’umanità, l’uccisione dei propri simili, ci ritroviamo alle prese con una sgradevole eredità, della quale non ci possiamo in alcun modo sbarazzare. Le pulsioni dal profondo che ci inducono alla sopraffazione, alla guerra, alla uccisione, ecc... sono più che mai presenti in noi e vitali. Scrive Angelo Tartabini <<...se la selezione naturale ha favorito l’applicazione della legge del più forte, quindi l’aggressività, è altrettanto vero che la stessa selezione naturale ha favorito la nascita e lo sviluppo di caratteristiche atte a inibirla, sia che si tratti di aggressività intraspecifica, sia che si tratti di aggressività interspecifica.>> (A. Tartabini, Psicologia evoluzionistica, ed. Mc GrawHill, p. 73) Sfortunatamente, come abbiamo visto, nel mondo umano l’inibizione dell’aggressività funziona a scartamento ridotto. La storia umana gronda sangue, da sempre, e non vedo come e per quale motivo possa cambiare da un giorno all’altro. Il pontefice Giovanni Paolo II ha espresso in proposito la propria amarezza in una composizione poetica, parlando di <<magro raccolto della storia>>. Sarà così anche in futuro? O c’è una fondata speranza che gli uomini diventino più saggi e più buoni? Purtroppo, viviamo in un mondo in cui milioni di uomini hanno fame di pane e di giustizia, e armi sempre più potenti e distruttive sono a portata di mano di individui squilibrati, di terroristi fanatici e di politici senza scrupoli. “La civilissima Francia ha avuto due vampate d’odio unite da un secolare e continuo crepitare di piccole combustioni, tra il grande momento della rivoluzione, dove i politici, dopo aver tagliato la testa al re, se la tagliavano tra di loro, e l’immenso massacro della Comune, dove le due fazioni si trucidavano a vicenda, e si fucilavano all’angolo della strada donne e bambini. La guerra di secessione ha soltanto inaugurato un odio razziale americano durato (se è davvero finito) sino a ieri, nella guerra civile spagnola l’odio si è manifestato in modi orrendi, chi sventrava le monache e chi decimava gli anarchici, e taccio su tante vampate d’odio durante la guerra civile russa, e su quello che accade ancor oggi tra varie tribù africane, eccetera eccetera. Noi della specie umana siamo insomma esseri inclini all’odio, tanto quanto siamo inclini al sesso, al pianto, al riso o alla religione, siamo fatti così e basta – altrimenti non sarebbe suonato così inedito e scandaloso il richiamo evangelico all’amore.” (Umberto Eco, LA BUSTINA DI MINERVA: Tintura di odio, su L’Espresso del 29.12.2009) La selezione culturale può contribuire a correggere le manifestazioni più crude della violenza sui nostri simili. Il genetista E. Boncinelli afferma in proposito: “Dobbiamo … congratularci con noi stessi se abbiamo cercato di rendere l’ambiente umano sempre meno spietato e sempre più solidale … allontanandoci sempre più dallo stato di natura”. (E. Boncinelli, Op. cit., pag. 246) Purtroppo la selezione culturale non può contare su risultati acquisiti una volta per sempre, per tutti gli uomini e validi anche nelle situazioni gravemente compromesse sul piano economico, sociale, politico, ecc…: quando interessi vitali urgono prepotentemente, le ragioni della cultura faticano a farsi valere. |