sommario: 1. Introduzione. 2.
Le prime teorie. 3. Stregoneria e fattucchieria. 4. Altri tipi di
potere mistico. 5. Il culto degli antenati e altre forme di
religione a base morale. 6. Mito, rito ed escatologia. 7. La
religione popolare. Bibliografia.
1. Introduzione
Il concetto di 'religioni primitive' è in parte retaggio di
concezioni evoluzionistiche della società e in parte espressione dei
pregiudizi delle grandi religioni mondiali - cristianesimo,
islamismo, induismo e buddhismo - nei confronti di altre religioni
'esotiche' e meno diffuse, praticate in aree remote del mondo.
Implicita in tale espressione è l'idea che tali religioni, in quanto
praticate da popoli 'preletterati', siano più primitive e inferiori
rispetto alle religioni universali delle grandi civiltà. Nello
stesso tempo, queste forme di religiosità primitiva sono ritenute
utili dagli storici della religione e dagli studiosi di altre
discipline che adottano un approccio evoluzionistico, in quanto in
grado di gettar luce sulla nascita e sullo sviluppo delle religioni
mondiali, e rivestono altresì una grande importanza pratica per i
cristiani e i musulmani impegnati in attività missionarie nel Terzo
Mondo.
Le religioni mondiali, secondo quanto affermano i loro esponenti,
esprimono una verità ultima e trascendente, rappresentano forme
superiori di spiritualità e di moralità e sono associate alla
civiltà e alle culture evolute. Per questo motivo gli studiosi di
religione comparata tendono di solito a trattarle come fenomeni
storici nettamente definiti, che danno vita a sistemi a sé stanti di
specifiche tradizioni religiose.
L'approccio alle religioni primitive, per contro, tende a essere
meno sistematico e olistico; esse vengono presentate di solito in
forma frammentaria sotto logore etichette quali 'mana', 'tabù', 'totemismo',
'magia', 'sciamanesimo', ecc. Il contrasto tra 'religioni mondiali'
e 'religioni primitive' viene espresso a volte come contrasto tra
religioni 'rivelate' e semplici fenomeni 'naturali' - distinzione
che riecheggia la vecchia convinzione secondo cui i 'popoli
primitivi' sarebbero in qualche modo vicini allo stato di natura.
Si tratta peraltro di distinzioni che oggi vanno progressivamente
scomparendo. La grande espansione - si potrebbe anzi parlare di una
vera e propria globalizzazione - del cristianesimo, dell'islamismo e
dell'induismo (nonché in misura minore del buddhismo) ha dato luogo
a una vasta gamma di compromessi spirituali e di sincretismi. Nello
stesso tempo, nei paesi di tradizione cristiana (e in misura minore
in quelli musulmani) credenze e pratiche esotiche (le 'religioni
primitive' nei luoghi d'origine) sono state assorbite, diffuse e
ridiffuse, producendo ogni sorta di nuovi culti e movimenti. Dal
punto di vista dell'antropologia della religione, la differenza più
significativa tra le religioni della 'grande tradizione' e quelle
della 'piccola tradizione' attiene alle concezioni escatologiche. Le
prime, siano esse monoteistiche come il giudaismo, il cristianesimo
e l'islamismo, oppure politeistiche come l'induismo e il buddhismo,
hanno in comune una visione escatologica in cui il destino del
fedele dopo la morte (in questo mondo oppure nell'aldilà) dipende
dalla condotta tenuta in vita.
Questa idea sembra universalmente assente nelle cosiddette religioni
primitive dove, come vedremo, predomina la credenza che le
ricompense e le punizioni per la buona e la cattiva condotta siano
sperimentate in questa vita anziché essere rimandate all'aldilà.
Tuttavia questa distinzione tra visioni escatologiche, per quanto
rilevante sul piano teorico, sul piano pratico tende a scomparire
nell'ambito delle credenze e delle pratiche religiose delle masse -
ossia in quella che di solito viene chiamata 'religione popolare'.
Questo fatto solleva interessanti questioni per la sociologia e
l'antropologia della religione.
2. Le prime teorie
Sir James Frazer (v., 1890), uno dei primi esponenti
dell'antropologia evoluzionistica britannica - che fu
fondamentalmente uno studioso del folklore di immensa erudizione -,
sostenne nella sua celebre opera The golden bough che la magia
rappresenta una forma di comportamento e di credenza
proto-religiosa; al progredire delle società essa lascerebbe il
posto alla religione vera e propria e infine alla scienza. La tesi
di una priorità storica della magia non fu condivisa dal
contemporaneo di Frazer sir Edward Tylor (v., 1871), secondo il
quale la religione primitiva sarebbe stata caratterizzata dalla
credenza in 'esseri spirituali' - ossia da ciò che Tylor definì 'animismo'.
L'esperienza dei sogni, delle allucinazioni, degli stati di trance e
di altri fenomeni psichici insoliti diede origine alla nozione
mistica di 'anima'. Da tale nozione scaturì la credenza in esseri
spirituali - una visione animistica della natura che attribuisce
caratteristiche sovrannaturali o spirituali ai fenomeni naturali.
Dall'animismo si sviluppò la visione politeistica di un mondo
popolato di esseri spirituali, e da questa a sua volta prese
gradualmente forma il monoteismo.Il missionario cattolico Wilhelm
Schmidt, fondatore della famosa scuola antropologica viennese,
sostenitore sia del diffusionismo che dell'evoluzionismo, asserì al
contrario che il monoteismo era presente già nelle società di
cacciatori e raccoglitori più antiche e primitive. Tali credenze in
un essere supremo in seguito sarebbero state 'corrotte' e confuse da
concezioni magiche e animistiche, e tuttavia attraverso una paziente
ricerca è ancora possibile individuarle sotto forma di
'sopravvivenze' dell'autentica cultura originaria di una società
primitiva. Lo storico italiano delle religioni Raffaele Pettazzoni,
dal canto suo, ha sostenuto la tesi abbastanza convincente che
l'idea di un Essere supremo (spesso remoto e distaccato dalle
vicende umane) non corrisponde a un autentico monoteismo. Inoltre,
come attesta la storia del cristianesimo e dell'Islam (così come del
giudaismo e dello zoroastrismo), in molti casi il monoteismo è nato
come istanza riformatrice da un movimento di protesta guidato da
profeti carismatici contro le credenze e le pratiche politeistiche
dei contemporanei.Un approccio completamente diverso a quella che
all'epoca veniva definita con un'etichetta di comodo 'religione
primitiva' fu proposto da Émile Durkheim, considerato a ragione il
padre del funzionalismo antropologico e sociologico. Durkheim non
considerava le 'religioni primitive' come la chiave per comprendere
la storia della religione in una prospettiva evoluzionistica o
diffusionistica; riteneva piuttosto che attraverso il loro studio
sarebbe possibile cogliere aspetti essenziali della religione in
generale. Partendo dal presupposto che il caso più perspicuo sarebbe
offerto dalla religione primitiva più semplice praticata nella
società a sua volta più semplice e primitiva, Durkheim si orientò
verso la cultura arcaica degli Aborigeni australiani ('il genere
umano allo stato di crisalide', secondo la definizione di Frazer) e
studiò i resoconti sulle loro credenze e pratiche religiose forniti
da due osservatori a lui contemporanei, Spencer e Gillen. Il
sociologo francese dimostrò abilmente come le credenze degli
Aborigeni nei poteri mistici di animali e piante e di altre forze
animistiche 'totemiche' riflettessero la struttura dei loro gruppi
sociali e le loro divisioni interne. In sostanza, i totem sarebbero
simboli mistici dell'identità del gruppo, emblemi della coesione
sociale. In quanto implica la separazione tra sacro e profano, la
religione sarebbe a tutti gli effetti un fenomeno sociale: "il
sistema di simboli attraverso cui la società acquista coscienza di
se stessa [...] la forma di pensiero caratteristica dell'esistenza
collettiva". Di conseguenza, la religione deve essere considerata il
prodotto emozionale di un'intensa interazione sociale (la sua
'effervescenza collettiva') - una sorta di ipostatizzazione
dell'esprit de corps. I rituali, dal canto loro, avrebbero il
duplice scopo di inculcare ed esprimere questi sentimenti di
coesione del gruppo. Sebbene liquidato come idealista borghese dai
critici marxisti, Durkheim avrebbe potuto benissimo essere l'autore
dell'aforisma marxiano secondo cui non è la coscienza a determinare
l'essere dell'uomo, ma il suo essere sociale a determinare la sua
coscienza.
L'ultimo esponente delle teorie classiche della 'religione
primitiva' che menzioneremo qui è il filosofo francese Lévy-Bruhl.
Egli condivise sostanzialmente l'interpretazione durkheimiana della
religione in chiave sociale, ma istituì una netta distinzione tra il
'pensiero logico' degli europei e il pensiero prelogico dei popoli 'primitivi'.
Tale distinzione sarebbe essa stessa espressione del carattere
pervasivo della religione primitiva e della onnipresenza di idee
mistiche nel pensiero primitivo. Questo sarebbe dominato, secondo
Lévy-Bruhl, dalla credenza (animistica) in una 'partecipazione
mistica', che presuppone una connessione di tipo non empirico tra
gli eventi e le relazioni e le attività umane (v. anche De Martino,
1973³).
3. Stregoneria e fattucchieria
L'antropologo di origine polacca ma naturalizzato inglese, Bronislaw
Malinowski, è considerato il fondatore dell'antropologia sociale
moderna, in cui hanno un ruolo essenziale un'approfondita e
continuata ricerca sul campo, l'osservazione diretta e la
partecipazione alla vita quotidiana delle società studiate, nonché
la padronanza della lingua locale. Lo studio pionieristico di
Malinowski (v., 1922) sul sistema di scambio Kula nelle isole
Trobriand del Pacifico sudorientale è diventato un classico della
letteratura - come si conviene a uno studioso che amava spesso
paragonarsi al geniale scrittore suo connazionale, Joseph Conrad.
Malinowski, tuttavia, non fornì uno studio sistematico della
religione, poiché sul piano teorico la considerava, in modo alquanto
semplicistico, una mera stampella, un'appendice o un sostituto
dell'azione concreta. Al suo contemporaneo Radcliffe-Brown,
anch'egli esponente dell'antropologia britannica, si deve invece una
ricerca sul campo, sul comportamento e le idee religiose degli
Andamani (v. Radcliffe-Brown, 1922), che focalizzava l'attenzione
sui miti, sui tabù e sul sacro. Nonostante alcune intuizioni felici
(inclusa l'idea poetica secondo cui gli Andamani avrebbero avuto un
'calendario degli odori') si trattava di uno studio piuttosto
superficiale che si collocava in una tradizione pre-malinowskiana
ormai superata, risolvendosi in una semplice applicazione della
teoria durkheimiana delle funzioni sociali della religione alla
realtà andamana. Nondimeno, la ricerca di Radcliffe-Brown offriva
ampio materiale per esercizi speculativi, ed Edmund Leach (v., 1971)
si servì dei concetti dell'antropologia strutturale per costruire un
ipotetico schema cosmologico tripartito delle credenze andamane.
La prima, importante ricerca sul campo condotta con criteri moderni
su una religione non occidentale apparentemente non aveva nulla a
che fare con la religione, ma si incentrava sulla stregoneria e
sulla magia. Si tratta dello studio che l'antropologo E.
Evans-Pritchard (v., 1937) condusse tra la fine degli anni venti e i
primi anni trenta sugli Zande del Sudan meridionale, usando la
lingua locale che aveva imparato a parlare correttamente. A capo
della società zande, tipico esempio di regno tribale africano, vi
era un clan nobiliare, che aveva tra le sue principali funzioni
quella di giudicare i casi di stregoneria. L'economia locale era
basata sulla coltivazione itinerante, integrata dalla caccia e dalla
pesca. Allorché Evans-Pritchard cominciò ad affrontare il delicato
tema della stregoneria, scoprì ben presto che gli Zande
distinguevano almeno due tipi di potere maligno. Il primo, che egli
indicò con il termine inglese sorcery ('fattucchieria'), comporta
l'uso di formule magiche, incantesimi, riti e rimedi magici - ossia
tecniche tangibili e in teoria visibili (sebbene coloro che le
praticano facciano di tutto per nasconderle). Ciò che
Evans-Pritchard designò come witchcraft (stregoneria), invece,
sarebbe un potere (mangu) posseduto da alcuni individui, che si
credeva avesse una base organica nell'intestino tenue. La
stregoneria non è visibile direttamente; se ne può solo inferire la
presenza dai suoi effetti, cercando conferme attraverso oracoli e,
in ultimo, eseguendo un'autopsia sul cadavere di un individuo
sospettato di stregoneria. In genere la stregoneria viene attribuita
agli anziani, laddove nei giovani, se presente, sarebbe solo
debolmente sviluppata. La fattucchieria è la più forte e la più
temibile di queste forze maligne, e di conseguenza è associata ai
capi e ai clan dominanti.La stregoneria, che può essere praticata
sia dagli uomini che dalle donne, fornisce agli Zande una
spiegazione della malattia e delle sventure (e lo stesso vale per la
fattucchieria tra l'aristocrazia): i cattivi raccolti, gli
insuccessi nella caccia, le difficoltà coniugali, i problemi con i
capi, la malattia e perfino la morte vengono imputati all'azione
della stregoneria. Tutto ciò sembrerebbe confermare la tesi di
Lévy-Bruhl circa la natura mistica, prelogica del pensiero dei
popoli primitivi. Tuttavia lo studio di Evans-Pritchard, che ha come
implicito oggetto polemico le teorie di Lévy-Bruhl, dimostra che la
situazione è assai più complessa. Gli Zande, di fatto, hanno
spiegazioni causali di tipo empirico del tutto analoghe a quelle
degli occidentali per gli incidenti e le disgrazie (e in certa
misura anche per la malattia). La stregoneria non viene chiamata in
causa per spiegare la mancata riuscita di processi tecnici che
normalmente si svolgono senza problemi; certamente non da tutti in
modo generalizzato. A essa, piuttosto, gli Zande ricorrono per
spiegare perché le disgrazie (e la malattia) colpiscano determinati
individui (o famiglie), anziché altri esposti agli stessi rischi. La
stregoneria dunque non è un sostituto delle spiegazioni in termini
di cause empiriche, bensì un'integrazione introdotta per render
conto delle diseguaglianze nella sofferenza. Gli Zande, e altri
popoli con credenze analoghe, non si limitano a scrollare le spalle
dicendo "la vita è ingiusta", ma cercano una spiegazione
dell'ingiustizia e dei capricci della sorte in termini di
malevolenza personale. Attraverso varie tecniche divinatorie si
cerca di stabilire a chi attribuire la responsabilità delle sventure
- e di solito il sospetto cade sui rivali e sui nemici. Ecco dunque
che la stregoneria assume i contorni di una psicologia delle
relazioni interpersonali. Inoltre la stregoneria, gli oracoli
impiegati per scoprire streghe e stregoni, gli esorcisti e i rimedi
contro la stregoneria formano un sistema di credenze e pratiche che
si autosostiene. Se uno di tali elementi risulta in contraddizione
con l'esperienza e con le aspettative, la discrepanza può essere
attribuita all'interferenza di qualche altra componente del sistema.
Inoltre, come abbiamo visto, gli Zande riconoscono cause di ordine
empirico e argomentano in modo perfettamente logico nei termini di
queste ultime. Il loro sistema di credenze, dunque, rappresenta una
teoria causale multipla e pluralistica, che per di più viene
utilizzata in modo selettivo a seconda del contesto. Lo stesso
fenomeno che gli uni cercano di scusare attribuendolo all'azione
della stregoneria, sollecitando in questo modo simpatia e appoggio,
può essere condannato dagli altri come conseguenza di incuria o
inettitudine - o imputato semplicemente alla 'cattiva sorte'. Lo
stesso vale per la morte: ciò che un individuo e la sua famiglia
possono considerare opera della malevolenza ingiustificata di un
nemico, verrà interpretato da altri, che non sono toccati da questa
tragedia familiare, come una 'giusta morte' - una conseguenza del
tutto naturale dell'età avanzata o di una grave malattia.
La stregoneria e la fattucchieria degli Zande dunque, lungi dal
costituire esempi di 'pensiero prelogico' (come riteneva Lévy-Bruhl),
rappresentano una teoria della sventura e una psicologia
dell'interazione sociale. Va rilevata inoltre l'ambiguità
situazionale dell'attribuzione di intenzionalità nei casi di
stregoneria. Si tratta di un punto che non viene messo
sufficientemente in evidenza da Evans-Pritchard, la cui principale
preoccupazione era quella di operare una distinzione tra la
'stregoneria' - consapevole e deliberata - e la 'fattucchieria' -
inconsapevole e, per così dire, fortuita. Di fatto, tuttavia, mentre
le vittime considerano l'individuo accusato di stregoneria come un
agente consapevole, questi tende sempre a negare la propria colpa,
ammettendo tutt'al più una responsabilità inconsapevole. Dal punto
di vista sociologico, quindi, la stregoneria degli Zande è sia
intenzionale che non intenzionale, e non sorprende pertanto che
molti di loro si dichiarassero altrettanto scettici quanto
Evans-Pritchard sulla sua efficacia. Ancora una volta vediamo qui il
complesso intreccio tra credenze in una causalità mistica e credenze
in una causalità empirica.
Tra gli Zande, e in altre società simili, le forze negative della
stregoneria - associate al cannibalismo e universalmente condannate
- denotano gelosia, invidia e disprezzo, e si basano sul principio 'mors
tua vita mea' (appropriatamente definito principio del 'bene
limitato' da George Foster). Parafrasando il famoso aforisma di Marx
sulla religione, si potrebbe dire che la stregoneria (o la
fattucchieria) è l'oppio dei popoli.Una formulazione particolarmente
vivida di queste idee è quella offerta dai Cwana del Botswana, in
Africa meridionale, secondo i quali tutti possono esercitare
un'influenza maligna sugli altri attraverso pensieri malvagi. La
stregoneria peggiore, secondo i Cwana, è quella del cuore.
L'atmosfera sarebbe animata da forze spirituali che si muovono tra
le persone. Nessuno è realmente in grado di controllare i propri
poteri spirituali, e per questo motivo gli anziani consigliano di
"non tenere l'odio dentro di sé".
Tuttavia la stregoneria e la fattucchieria non sono gli unici poteri
mistici responsabili di disgrazie e sventure. Alcune sono punizioni
che conseguono automaticamente dalla violazione dei tabù e di
analoghe prescrizioni protette misticamente, altre riflettono il
potere spirituale degli antenati, i quali tendono a punire i
discendenti che non li onorano, e altre ancora, infine, sono da
ricondurre all'intervento del remoto e distante 'Essere supremo'
degli Zande. Nel suo studio ammirevolmente dettagliato e riccamente
documentato Evans-Pritchard concentrò l'attenzione sulla stregoneria
e sulla fattucchieria, in parte nell'intento di confutare le tesi di
Lévy-Bruhl, in parte, forse, perché la sua ricerca sul campo
coincise con una reviviscenza della paura della stregoneria nella
società Zande provocata da un programma coloniale di insediamento
forzato in villaggi. Di conseguenza Evans-Pritchard non fornì una
spiegazione esauriente del complesso intreccio delle credenze zande.
4. Altri tipi di potere mistico
Prima di allargare il quadro di riferimento del nostro discorso
inserendo l'analisi di questi poteri mistici negativi e sovversivi
nel più ampio contesto della visione cosmica carica di valenze
morali, propria delle 'religioni primitive', occorre precisare che
la stregoneria e la fattucchieria non costituiscono le uniche forme
di aggressione mistica interpersonale. In altre parole, esiste un
tipo di reazione alla sventura che, per quanto metta analogamente
l'accento sull'innocenza delle vittime, è socialmente meno
distruttivo, e consiste nell'attribuire la responsabilità del male a
uno spirito o demone malvagio. Le disgrazie sono interpretate come
sintomi di una possessione da parte degli spiriti: il male è
diagnosticato come una forma di intrusione dello spirito della
malattia nel corpo della vittima. Questi mali spirituali affliggono
specialmente le donne (v. Lewis, 1996²), soprattutto nelle società
tradizionali che attraversano una fase di trasformazione
sociopolitica. Le terapie sono fondamentalmente di due tipi. Si può
cercare di costringere lo spirito malefico ad abbandonare la persona
in cui si è insediato attraverso rituali esorcistici, oppure si
esorta il paziente a placarlo tributandogli un culto e instaurando
una relazione duratura con esso, in modo da convertire lo spirito
invasore inizialmente ostile in una forza amica. Attraverso quest'ultima
procedura, che Luc De Heusch (v., 1971) ha definito 'endorcismo',
vengono reclutati seguaci per i culti dedicati allo spirito, guidati
da ex pazienti che hanno superato le prove per diventare sciamani a
capo del culto (v. Lewis, 1996²). L'endorcismo è un tipo di
trattamento piuttosto costoso, in quanto gli spiriti da placare
hanno gusti dispendiosi, specialmente quando si tratta di donne
(profumi, abiti di lusso, gioielli, ecc.). Ciò, naturalmente, impone
spese considerevoli ai mariti e ai parenti maschi. Spesso, sebbene
non sempre, gli episodi di possessione di cui sono vittime le donne
tendono a verificarsi in situazioni di dissapori coniugali -
tipicamente quando due o più mogli competono tra loro per
conquistare i favori del marito comune.
In certi casi, di fatto, le donne presentano sintomi diagnosticati
come attacchi di possessione quando i mariti iniziano i negoziati
per l'acquisto di una nuova moglie. Oltre a distogliere l'attenzione
dalla nuova sposa, le spese per il trattamento della moglie ammalata
possono ridurre in misura considerevole le risorse del marito,
mettendolo nell'impossibilità di effettuare i necessari pagamenti
matrimoniali. Qualunque sia il contesto iniziale, il ripetersi degli
attacchi di possessione porta quasi invariabilmente un
coinvolgimento sempre più profondo delle donne in quello che è di
fatto un culto clandestino, o una religione segreta femminile. Le
donne che sono soggette a ricorrenti attacchi di possessione sono
considerate 'sposate' agli spiriti da cui sono 'aggredite', e la
possessione stessa è spesso assimilata a un rapporto sessuale con lo
spirito. Questo tipo di relazione, chiaramente modellata sulle
relazioni coniugali ed espressa nel linguaggio estatico proprio del
misticismo in generale, costituisce ovviamente una minaccia per il
rapporto della donna con lo sposo terreno. I culti di possessione
(che spesso attraggono anche uomini appartenenti a categorie sociali
inferiori) sono particolarmente diffusi nelle società tradizionali
che sperimentano un cambiamento religioso e politico in cui gli
uomini si convertono a una nuova fede (spesso una 'religione
mondiale'), mentre le donne si rivolgono alla vecchia religione in
questa nuova forma enfatizzata ed estatica. Tra questi culti di
possessione uno dei più noti è il complesso cultuale zar/bori,
diffuso in tutto il continente africano - dall'area occidentale a
quella settentrionale e nordorientale - e al di fuori dell'Africa
nel Golfo Arabico e in Iran (v. Lewis e altri, 1991). Esso è
presente quindi in comunità che sono ufficialmente di religione
cristiana o musulmana, ed è considerato dagli esponenti di queste
ultime come una 'superstizione arcaica', il relitto di una religione
primitiva, e viene altresì contrastato in quanto copertura di una
militanza femminile. Ritorneremo in seguito sull'ambiguità di questa
classificazione. Al complesso culturale zar/bori è associato un
interessante pantheon di spiriti. Nel Sudan, ufficialmente
musulmano, esso include santi e profeti islamici, spiriti femminili
etiopi di natura erotica (associati alla prostituzione), spiriti
turchi (riconducibili all'esperienza del dominio turco-egiziano),
arabi (che si richiamano ai colonizzatori e conquistatori arabi i
quali portarono la religione islamica) ed europei (retaggio
dell'imperialismo britannico), e infine spiriti negri del Sud
violenti e 'cannibali' (che simboleggiano il Sud non musulmano).
Ciascuna classe di spiriti ha i propri costumi, che vengono
indossati dalle donne nei rituali del culto, e una melodia
caratteristica al suono della quale i devoti dello spirito danzano
in stato di trance.
Nel Sudan questo culto è saldamente integrato nel contesto locale
islamico: gli spiriti osservano le festività islamiche e seguono il
calendario musulmano. Le donne a capo del culto - per lo più ex
schiave - sono chiamate 'sceicche', e quando è possibile vanno
regolarmente in pellegrinaggio alla Mecca. I rituali del culto, in
cui si osservano molti elementi musulmani, sono analoghi ai riti
matrimoniali sudanesi in quanto al pari di questi mettono in risalto
il ruolo riproduttivo femminile; nella maggior parte dei casi sono
disturbi legati alle funzioni riproduttive che spingono le donne a
rivolgersi a tali culti. La terapia qui diventa una vera e propria
religione. I fenomeni di possessione si verificano in situazioni
sociali in cui mancano o sono preclusi altri sistemi di espressione
delle frustrazioni e di realizzazione delle ambizioni personali.
Come avviene nei fenomeni di stregoneria, anche in questo caso i
posseduti sono per definizione sopraffatti da forze aliene che
sfuggono totalmente al loro controllo, e quindi assumono il ruolo di
vittime innocenti che richiedono attenzione e simpatia. Sia questo
tipo di possessione che la stregoneria, inoltre, possono anche
essere interpretati come aggressioni dirette contro altri. Talvolta,
ad esempio, lo spirito della donna invasata può criticare e sfidare
direttamente il marito di questa. La vittima di una stregoneria
imputa a un nemico o a un rivale la responsabilità della sua
condizione. In questa lettura in termini di azione sociale, la
possessione implica un tipo di aggressione - in genere contro un
coniuge oppressivo - più implicito e indiretto di quello comportato
dalla stregoneria o dalla fattucchieria, che hanno tutti i caratteri
di atti omicidi. In alcune culture in cui esistono entrambe le forme
di aggressione mistica, le classi inferiori usano la possessione
contro le classi superiori, senza peraltro cercare di rovesciarne
completamente l'autorità, laddove le accuse di stregoneria e di
fattucchieria sono un mezzo per sfidare radicalmente un'autorità
inaccettabile. Lo stress psicodinamico e le tensioni all'interno
della famiglia poliginica, quindi, possono strutturarsi nel modo
seguente: le mogli si accusano reciprocamente di stregoneria, ma
tale accusa non è mai rivolta contro il marito, di cui vengono
contesi i favori attraverso gli attacchi di possessione. Il marito
esasperato può reagire accusando una moglie troppo esigente di
essere una strega (v. Lewis, 1996², p. 85).
5. Il culto degli antenati e altre forme di religione a base morale
Sia che coinvolgano spiriti demoniaci alieni, o il potere
intrinsecamente maligno della stregoneria, le forme di potere
mistico sinora esaminate sono considerate forze illegittime e
antisociali, di natura essenzialmente sovversiva, che minacciano
l'ordine morale della società.
La tutela dell'ordine morale è per contro il fulcro di altri tipi di
culto propri delle società tradizionali, in particolare del culto
degli antenati. Un esempio al riguardo è offerto dalle credenze dei
Lugbara ugandesi (v. Middleton, 1960). In questa società,
caratterizzata da un'organizzazione politica acefala di tipo
tradizionale, la leadership è esercitata dagli anziani, che guidano
piccoli aggregati di lignaggi patrilineari. Questi sono formati da
famiglie di contadini che possono comprendere sino a sessanta
individui. Oltre a distribuire la terra coltivabile e a controllarne
l'allocazione, il capo anziano è il custode dei santuari degli
antenati del gruppo, e ha dunque il monopolio delle relazioni tra i
familiari e i loro avi. In qualità di custodi delle tradizioni
morali, gli antenati giudicano il comportamento dei discendenti,
punendo coloro che non rispettano l'autorità dell'anziano o
infrangono l'armonia della comunità. A chi si macchia di tali 'peccati',
inclusi il fratricidio e l'incesto, gli antenati inviano malattie e
sventure, che sono interpretate dunque come punizioni del
comportamento immorale. Raramente, tuttavia, gli antenati agiscono
direttamente: in genere intervengono per fare giustizia dietro
sollecitazione degli anziani. Non sorprende, dunque, che la
dimostrazione più convincente dell'autorità di un anziano sia la sua
capacità di invocare la maledizione ancestrale su un malfattore. Si
ritiene quindi che l'anziano abbia una sorta di 'comunicazione
diretta' con gli antenati, i quali rispondono direttamente alle sue
lagnanze, che hanno l'effetto di una maledizione. I Lugbara chiamano
'ole' questo potere, che può essere considerato una forma
spiritualizzata di carisma politico. Non si tratta peraltro di un
potere incontrollato, poiché i Lugbara sono molto sensibili agli
abusi di potere - i tentativi da parte di un anziano di rafforzare
la propria autorità e di costringere il proprio seguito a
conformarsi ai suoi voleri invocando ingiustamente la maledizione
degli antenati. Anche per designare questa forma maligna di potere
carismatico i Lugbara usano il termine 'ole', che in questo caso
potrebbe essere tradotto nel modo più appropriato con 'carisma
negativo'.
La mobilitazione del potere degli antenati attraverso le maledizioni
e i suoi abusi (causa di sofferenze ingiustificate) si ritrovano in
molte altre culture. Tra i Nyakusa della Tanzania, ad esempio (v.
Wilson, 1951), il potere degli anziani di maledire chi trasgredisce
il codice morale è chiamato 'respiro degli uomini', e si crede
derivi da un 'demone' situato nello stomaco (si confronti la
credenza zande secondo cui la stregoneria sarebbe localizzata
nell'intestino tenue, sotto forma di una sostanza materiale chiamata
mangu). Le stesse forze animano anche il potere maligno e
antisociale di streghe e stregoni. Di conseguenza, la forza
ispiratrice di un egotismo antisociale si tramuta nel suo opposto
quando è utilizzata per tutelare il pubblico interesse socialmente
approvato. Presso un'altra popolazione della Tanzania, i Safwa (v.
Harwood, 1970), il concetto di itonga ha un'analoga ambivalenza, in
quanto a seconda dei contesti può designare un carisma positivo
approvato socialmente o un carisma negativo pubblicamente
condannato. I Tiv della Nigeria (v. Bohannan, 1957), un'altra
società con un'organizzazione politica acefala, usano il termine 'tsav'
per designare sia la forza che sta a fondamento della giusta
maledizione degli anziani, sia il suo opposto, il potere della
stregoneria usato per fini egoistici.
Si potrebbero citare molti altri esempi di potere carismatico che
assume connotazioni negative o positive a seconda del contesto
morale. Come abbiamo visto, nella società zande i capi controllavano
le accuse di stregoneria attraverso il monopolio degli oracoli. Più
di frequente, nei regni africani tradizionali i sovrani, che vengono
ritenuti padroni della vita e della morte dei sudditi, proteggono
questi ultimi dalle stregonerie attraverso l'uso legittimo dello
stesso potere (v. MacGaffey, 1980).In queste società tradizionali
caratterizzate da un'economia di sussistenza un elemento essenziale
del potere carismatico degli anziani o dei capi è la fertilità; non
sorprende pertanto che la sessualità abbia un ruolo di primo piano
nelle credenze e nei riti religiosi. Così, ad esempio, secondo Jomo
Kenyatta (v., 1938) un concetto chiave nella religione dei Kikuyu
del Kenya è quello di mambura, che egli traduce come 'sacro' ma che
denota anche, e forse principalmente, il rapporto sessuale tra gli
anziani e le loro mogli non solo nel normale contesto domestico, ma
anche in contesti cerimoniali, come ad esempio al termine dei
rituali di circoncisione, o nella cerimonia di purificazione che
segna la fine del rituale della seconda nascita (v. Bernardi, 1994,
pp. 187-199). Nell'Africa centrale in generale il 'calore' del
rapporto sessuale è associato alla fertilità, soprattutto nel caso
dei capi, la cui vita sessuale di conseguenza riveste un grande
interesse per i sudditi. Nella valle del Luapula l'usanza vuole che
per festeggiare l'inaugurazione di un nuovo villaggio, il capo abbia
un rapporto rituale con la consorte. La coppia deve poi mondarsi dai
fluidi sessuali lavandosi nella speciale 'vasca matrimoniale' della
donna. Si crede che questo lavacro rituale mantenga nel villaggio un
propizio stato di 'calore', e che la raccolta dei fluidi sessuali
favorisca la crescita delle piante e la fecondità in generale.
Credenze analoghe, ma in forma più elaborata, si ritrovano presso i
Bemba, una società caratterizzata da un'organizzazione politica più
centralizzata guidata da un sovrano ritenuto di origine divina. Qui
ci si aspetta che il re e i capi abbiano rapporti sessuali regolari
con le mogli nell'interesse generale della popolazione. Negli
insediamenti più antichi dei Bemba questi atti di intimità tribale
sono orchestrati dai consiglieri. Si ritiene che in questo modo
l'energia mistica del sovrano possa liberarsi, assicurando la
fertilità della terra e degli uomini. Naturalmente, l'eccitazione
sessuale così scatenata è potenzialmente assai pericolosa, e viene
quindi controllata attraverso proibizioni rituali sorvegliate da una
classe sacerdotale, cui è affidata la responsabilità di "preservare
la natura divina del sovrano" (v. Richards, 1968).Il vodu haitiano
(v. Larose, 1977) - sebbene attualmente sia solo in parte una
'religione tradizionale', in quanto è anche un culto cristiano
sincretico - evidenzia chiaramente questa ambivalenza morale del
potere mistico. Nel vodu vi sono fondamentalmente due categorie di
spiriti: le 'punte' - poteri magici malefici connessi agli zombi che
si nutrono di sangue - e i loa, i famosi 'invisibili', assimilati a
santi cattolici e considerati come protettori benigni. Questi poteri
buoni, che agiscono nell'interesse collettivo, sono identificati con
antenati di origine africana - poiché l'Africa viene considerata
l'origine sacra della munificenza e della benevolenza mistica. È
questo, in sintesi, il quadro sincronico delle principali forze che
agiscono nel vodu. Il quadro diacronico è più complesso e più
interessante. Quando un individuo muore, le sue 'punte' egoistiche
orientate esclusivamente all'interesse personale diventano parte
della sua proprietà, e attraverso l'eredità entrano nel patrimonio
di famiglia. Avendo ora assunto un carattere familiare, collettivo,
quelle che originariamente erano considerate 'punte'
individualistiche e malvagie si trasformano in loa benigni. Così la
magia umana (un artefatto culturale) diventa religione (un fenomeno
'naturale'). Di conseguenza nel vodu le forze benigne e le forze
maligne si fondono nel tempo allorché nuovi antenati sono creati
dalla magia, opera dell'uomo. Detto in altri termini, la magia del
passato si trasforma in religione del presente.Nel vodu, così come
in analoghi sistemi religiosi dualistici, gli antenati o altri numi
tutelari dell'ordine morale non puniscono direttamente i peccatori,
ma attraverso la revoca della loro protezione divina, che espone il
colpevole all'attacco di quelle forze maligne che agiscono, per
usare l'espressione di Giacomo I d'Inghilterra, come 'carnefici di
Dio'.
I culti degli antenati, che, per così dire, feticizzano l'autorità
degli anziani, sono forse gli esempi più evidenti di una religione
fondata sulla moralità. Qui la devozione nei confronti dei membri
anziani della famiglia si estende senza soluzione di continuità ai
loro spiriti immortali. I culti degli antenati sono dunque basati
direttamente sulla 'pietas filiale' (v. Fortes, 1969) e tendono a
propagarsi con l'importanza della discendenza lineare nella
struttura politica di una società. Un esempio relativo a una società
di dimensioni ridotte, che peraltro non si basa su gruppi parentali
estesi, è il culto dei morti dei Manus delle Isole dell'Ammiragliato
(v. Fortune, 1935). I Manus credono che l'essenza del padre defunto
sia insita nel cranio, che viene trattato con grande cura e appeso
alle travi del soffitto per presiedere con la sua influenza benigna
alle sorti dei discendenti. Se però la cattiva sorte colpisce il
figlio e la sua famiglia, questo spirito paterno rischia di essere
retrocesso tra gli spiriti dimenticati dei morti, e di subire la
degradazione suprema della trasformazione in un oloturoide. Questa
discesa nella scala zoologica - un passaggio dalla cultura alla
natura, come direbbe Lévi-Strauss - riflette la diminuita importanza
che gli antenati hanno per i vivi una volta esaurita la loro utilità
di efficaci protettori.
La nozione di pietas filiale nella sua forma confuciana è il
fondamento esplicito dell'elaborato culto shintoistico degli
antenati, ancora praticato nel sofisticato Giappone - esempio di una
'religione primitiva' che si è conservata in una società avanzata.
Nonostante le influenze confuciane, buddhiste e persino cristiane,
lo shintoismo è assai simile nei suoi aspetti essenziali ai culti
tribali degli antenati delle società tradizionali africane. Ancor
oggi, nella maggior parte delle case giapponesi vi sono altari
domestici e tavolette commemorative per i parenti defunti, trattati
come antenati e venerati nel Giappone politeistico al pari delle
divinità buddhiste, e spesso chiamati 'buddha'. Grazie alle fonti
scritte della storia giapponese e al vasto corpus di studi sulla
storia delle religioni asiatiche, conosciamo l'evoluzione di questo
interessante culto degli antenati assai più di quanto non accada per
qualsiasi altro culto. Sappiamo ad esempio che nel XX secolo la
famiglia imperiale e il governo trasformarono deliberatamente il
culto shintoista in una religione di Stato nazionale (e invero molto
nazionalistica), al fine di legittimare il ruolo dell'imperatore
come monarca divino, come 'padre della nazione' i cui antenati sono
considerati anche antenati della nazione. Il nazionalismo giapponese
del XX secolo potè dunque trovare sostegno in un culto degli
antenati del tutto simile a quelli tipici delle società africane
preletterate (v. Hori, 1968; v. Smith, 1983; v. Ohnuki-Tierney,
1987).
Nelle religioni tradizionali gli antenati non sono l'unico fulcro
dell'ordine morale; altre forme di potere spirituale possono
assolvere la medesima funzione. Nelle religioni nilotiche del Sudan
troviamo importanti culti a base morale imperniati sull'idea di un
dio o spirito onnipresente, che viene particolarizzato a seconda del
contesto sociale e del livello di raggruppamento (lignaggio, gruppi
locali o famiglie). Tra i pastori Nuer, ad esempio, (v.
Evans-Pritchard, 1956), il dio/spirito kwoth è considerato origine
della buona e della cattiva sorte, e il centro ultimo dell'universo.
In quanto creatore e protettore del gruppo etnico, tale spirito è
'padre' e 'signore' di tutte le cose - tutto ciò che esiste è sua
proprietà. Di conseguenza, i sacrifici di capi di bestiame o di
altri beni non sono che una restituzione di ciò che già gli
appartiene. Sebbene onnipresente, il dio dei Nuer è concepito a
volte come distante e remoto, a volte come direttamente coinvolto
nelle vicende umane - in certi casi sin troppo, come quando gli
viene imputata la cattiva sorte. Tale divinità incarna l'ordine
morale in quanto premia il giusto con il successo e punisce il
peccatore con sventure e sofferenze. In relazione all'ordinamento
sociale dei Nuer, basato su un sistema di lignaggio segmentario, il
dio viene frammentato in quelle che Evans-Pritchard chiama 'rifrazioni',
che riflettono l'esperienza nuer della natura molteplice della
divinità. Di conseguenza, la religione di questa società è nello
stesso tempo monoteistica e politeistica. Secondo Evans-Pritchard,
qui la credenza negli spiriti degli antenati e nella stregoneria o
fattucchieria è del tutto marginale; i Nuer hanno un atteggiamento
fatalistico nei confronti di quelle avversità che non possono essere
interpretate come legittime punizioni di peccati, sebbene credano
nelle maledizioni, nei feticci e nel malocchio. Tra i Dinka, una
popolazione vicina e affine ai Nuer, studiata dal brillante allievo
e collega di Evans-Pritchard, Godfrey Lienhardt (v., 1961), forze
sussidiarie di questo genere, inclusa la stregoneria, hanno un ruolo
più importante per spiegare quelle sventure e malattie che sembra
inappropriato attribuire all'azione delle divinità (o 'potenze')
dinka. Osserviamo per inciso che questa religione è considerata
espressamente dal suo etnografo una 'religione rivelata', in cui i
poteri spirituali intervengono direttamente nelle vicende umane,
spesso sotto forma di drammatici fenomeni di possessione. La
divinità è il garante della verità e dell'ordine morale; il fatto
che ai peccatori possano arridere fortuna e successo non costituisce
un problema per i Dinka, i quali "sono certi che la divinità farà in
ultimo giustizia" (ibid., p. 47).
Naturalmente, non tutte le società acefale presentano strutture
sociali segmentarie che trovano un equivalente sul piano religioso
in divinità 'rifratte'. Possiamo citare come esempio gli Indiani
Akawaio di lingua caribica della Guiana (v. Butt e altri, 1967), una
società divisa in piccole comunità contadine insediate nelle valli
fluviali, ampiamente autonome e spesso in guerra tra di loro. Anche
in questo caso al centro della religione non vi sono gli antenati,
bensì un complesso culturale di spiriti della natura. A differenza
delle divinità nuer e dinka, però, questi spiriti non hanno
esplicite funzioni morali, sebbene possano agire per certi versi
come custodi della moralità. In situazioni di conflitto sociale,
infatti, a essi vengono imputate le malattie e la cattiva sorte. In
generale, gli Akawaio credono che le rotture dell'armonia su cui si
fonda la coesione della comunità rischiano di attirare la collera
degli spiriti, i quali reagiscono inviando malattie e sventure. La
cura in questo caso consiste nel localizzare la relazione troncata e
nel fare le ammende appropriate, ripristinando l'armonia spezzata.
Quando non si può risalire a infrazioni di questo tipo nell'ambito
del gruppo locale, la causa dei mali viene ricercata non nella
stregoneria, bensì nell'ostilità di una comunità vicina. Queste
diagnosi vengono effettuate dallo sciamano locale, che protegge il
gruppo grazie alla sua relazione privilegiata con gli spiriti. Ma
questo potere dello sciamano locale viene visto dall'esterno, dagli
altri villaggi, come una potenziale minaccia alla propria sicurezza.
Lo sciamano di ciascun gruppo diventa dunque un simbolo
dell'inimicizia e del conflitto fra le varie comunità: è qui che
risiede, in questo caso, l'ambivalenza del potere mistico.
La stessa ambivalenza del ruolo dello sciamano emerge chiaramente
nei resoconti etnografici sulla religione delle popolazioni artiche
- locus classicus dello sciamanismo (v. Lewis, 1996²). Presso i
Tungusi, ad esempio, lo sciamano del clan aveva la funzione di
proteggere il proprio gruppo dall'aggressione degli sciamani dei
clan rivali, e nello stesso tempo - come accadeva per l'antenato
presso i Lugbara - uno sciamano impopolare poteva essere screditato
e accusato di essere uno 'stregone' che ha rapporti con spiriti
alieni. Nel caso degli Inuit o Eschimesi, l'ultimo esempio che
citeremo in relazione a questo tema, il legame tra religione e
moralità appare più indiretto. Si potrebbe affermare che qui la
moralità consiste nel seguire religiosamente le 'leggi mistiche
della selvaggina' che governano la caccia (ibid., p. 150). Queste
'norme di vita', come le definisce Rasmussen (v., 1929), regolano la
disponibilità di selvaggina, dalla quale tradizionalmente gli
Eschimesi dipendono per la sopravvivenza. Finché tali norme vengono
osservate, la cacciagione non mancherà né vi saranno pericoli per il
cacciatore. Questo codice sostanzialmente ecologico richiede che le
prede e le attività dei mesi invernali non vengano mescolate a
quelle dei mesi estivi. Ad esempio, le foche e altri prodotti del
mare utilizzati in inverno devono essere tenuti separati dai caribù
cacciati nel periodo estivo; la carne di caribù e di balena non può
essere mangiata nello stesso giorno, e analogamente le pelli di
caribù non possono essere confezionate nei periodi di caccia al
tricheco; il cibo estivo non può essere consumato finché non sono
stati smessi gli abiti invernali. Esistono centinaia di regole
siffatte, la cui violazione minaccia di attirare malattie e sventure
sul trasgressore e, cosa ancor più grave, di mettere a repentaglio
il benessere dell'intera comunità. Secondo gli Eschimesi, coloro che
infrangono tali regole emanerebbero un odore sgradevole che respinge
la selvaggina, e per evitare che la caccia abbia esiti disastrosi
occorre prendere le misure adeguate: il trasgressore deve confessare
pubblicamente le violazioni dei tabù di cui si è macchiato, e fare
penitenze e offerte sacrificali. Il problema è affidato allo
sciamano del gruppo, il quale organizza una seduta in cui, con
l'aiuto degli spiriti che lo assistono, esamina la condotta del
colpevole per determinare quali tabù siano stati violati e in che
modo vi si possa porre rimedio. Se non risulta che sia stata
commessa alcuna violazione, e la condotta dell'accusato risulta
irreprensibile, la colpa viene attribuita alla stregoneria di
sciamani maligni appartenenti ad altre comunità.
Prima di passare a considerare il ruolo del mito e del rituale,
concluderemo l'esame del modo in cui attraverso le spiegazioni della
cattiva sorte la moralità è iscritta nelle religioni primitive
presentando uno schema semplificato del potere mistico: Sfortuna e
malattie sono una conseguenza della condotta morale, e possono
essere inflitte o direttamente dalle forze che tutelano l'ordine
morale, oppure indirettamente dalle forze opposte che, pur mettendo
esplicitamente in discussione la moralità, di fatto la promuovono in
quanto possono essere efficaci solo quando la protezione benigna
viene revocata. Resta il caso irriducibile della sofferenza degli
innocenti. Il problema del male immeritato (che secondo
Evans-Pritchard i Nuer non si porrebbero), viene risolto attribuendo
la responsabilità a forze malvage che per definizione si pongono al
di fuori dell'ordine morale, ossia a una stregoneria esterna.
6. Mito, rito ed escatologia
La religione, sia essa 'primitiva' o 'evoluta', naturalmente non si
propone solo di spiegare la sofferenza e di offrire rimedi al male.
Essa cerca anche di rispondere a problemi più ampi di ordine
cosmico, e abbellisce e arricchisce l'esistenza attraverso rituali
che santificano gli stadi cruciali del passaggio dalla nascita alla
morte e marcano i principali eventi che coinvolgono la comunità.In
quasi tutte le società troviamo miti della creazione che spiegano la
nascita dell'umanità e la sua differenziazione dal resto della
natura. Al centro di queste spiegazioni dell'origine dell'uomo vi è
spesso un incesto primordiale che, come ha messo in luce Freud nella
sua famosa analisi del mito di Edipo, sancirebbe la transizione
dallo stato di natura alla società umana, oppure, come direbbe
Lévi-Strauss (v., 1962), il passaggio dalla natura alla cultura (si
tratterebbe quindi sostanzialmente di un'evoluzione positiva, in
contrasto con il tono nostalgico del mito stesso). Secondo
Lévi-Strauss questi miti, illustrando le funeste conseguenze
dell'incesto, avrebbero inoltre la funzione di riaffermare il valore
dell'esogamia. Tuttavia, come vedremo tra breve, il discorso è assai
più complesso.Gli elementi essenziali della narrazione della Genesi
si ritrovano nei pittoreschi miti della creazione degli Aborigeni
australiani, che narrano come nell'Età del Sogno primordiale le due
sorelle Wawilak attraversarono la foresta di Arnhem, denominando
piante e animali e indicandoli come futuri totem. A seguito dei loro
rapporti incestuosi con uomini del proprio clan, le due sorelle e la
loro prole dovettero affrontare il Grande Pitone, che emerse dalla
sua pozza sacra e le divorò, provocando un'immane alluvione che
sommerse tutta la terra. Questi misteri vennero in seguito rivelati
agli uomini del clan: qui il Pitone, l'elemento maschile della
società, rappresenta anche la stagione delle piogge, che inghiotte e
rigurgita la stagione secca per portare pioggia e fertilità.
Tra i Tucano dell'Amazzonia si ritrova un mito analogo di incesto
cosmogonico, che narra come il Padre Sole, il dio creatore, si unì
incestuosamente con la figlia al momento della creazione; tale
evento viene commemorato in rituali di trance che celebrano le
rigide regole esogamiche vigenti attualmente nella società (v.
Reichel-Dolmatoff, 1971). Secondo i Tucano, lo stesso incesto
primordiale avrebbe prodotto una pianta allucinogena (Banisteriopsis
caapi) in grado di provocare visioni estatiche che vengono
paragonate esplicitamente al rapporto incestuoso. Scopo dichiarato
di tali visioni è un ritorno all'utero nel principio dei tempi, in
cui si possono vedere le divinità tribali, la creazione
dell'universo e dell'umanità, la prima coppia umana, la creazione
degli animali e l'istituzione dell'ordinamento sociale, con
particolare riguardo alle leggi esogamiche. L'individuo in stato
allucinatorio che penetra nel grembo primordiale paragona se stesso
a un fallo che penetra nel grembo materno. In altre società in cui
l'esogamia non ha analoga importanza, la separazione tra il cielo e
la terra e l'origine del genere umano mortale vengono ricondotti non
a un incesto primordiale ma ad altri tipi di trasgressione. In
alcune società amazzoniche, peraltro, si crede che le donne
conservino un certo status di immortalità associato alla
mestruazione e al parto (v. Hugh-Jones, 1979, p. 250). Ovunque, del
resto, per la loro fertilità visibile le donne tendono a essere
associate a certi aspetti della natura al di fuori della società
umana rappresentata dall'elemento maschile, sebbene non sempre ciò
avvenga in modo semplice e diretto (v. Ortner, 1974).Ancora più
spesso i miti cosmici hanno il carattere di spiegazioni filosofiche,
facendo appello a poteri mistici quali spiriti e divinità che
"spiegano sempre più in termini di sempre meno" (v. Horton, 1970).
A un livello meno generale, i miti associati alla carica politica,
come già aveva dimostrato Malinowski (v., 1922), contribuiscono a
legittimare il potere - persino, o forse specialmente, quando coloro
che reclamano il diritto di esercitarlo sono usurpatori.
Naturalmente, lo stesso mito può servire a scopi diversi, e avere
quindi significati diversi, per diversi segmenti o classi della
società. Il mito di Edipo, ad esempio, non rappresenta solo il
passaggio dalla 'natura' alla 'cultura', come sostenevano Freud e
Lévi-Strauss, ma contiene anche il motivo intrigante dell''erede al
trono perduto e ritrovato', e rappresenta dunque nel caso di alcuni
regni tradizionali africani la razionalizzazione di una usurpazione
straniera.
I miti, affermava Malinowski, esistono come ornamento dei riti, e il
suo discepolo Lloyd Warner si spinse ancora più in là equiparando i
miti degli Aborigeni a 'riti orali'. Più in generale, si potrebbe
affermare che tra il mito e il rituale vi è lo stesso rapporto che
sussiste tra la musica e la danza. I riti, pertanto, possono essere
considerati come una messa in scena di verità religiose, una
comunicazione con gli spiriti che è un atto di devozione, o una
supplica d'aiuto, o un'invocazione della loro benedizione per
sottolineare l'importanza dei principali eventi nella società o
nella famiglia.
È opinione diffusa che nelle società tradizionali la dimensione
rituale abbia un'importanza assai maggiore che nelle società
moderne; è questa, ad esempio, la posizione di Lévy-Bruhl. Tuttavia,
sebbene la maggior parte delle società tradizionali sacralizzi
attraverso i riti le tappe decisive della vita dalla nascita alla
morte, i riti possono svolgere funzioni assai diverse a seconda dei
contesti. Riprendendo la tradizione del funzionalismo durkheimiano
Victor Turner (v., 1969), nel suo famoso studio sul simbolismo dei
colori nei riti di iniziazione dei Bakongo dell'Africa centrale, ha
messo in evidenza la funzione di integrazione e di unificazione
politica del rituale nei conflitti tra gruppi. Nelle società
tradizionali strutturate gerarchicamente, per contro, nei riti che
celebrano la monarchia si possono individuare correnti sovversive.
Un esempio al riguardo è dato dalle tradizionali feste del primo
raccolto nei regni bantu meridionali. Nel corso di queste feste il
re è insultato e dileggiato in elaborate sequenze rituali in cui le
donne assumono ruoli maschili, e l'ordinamento gerarchico
riconosciuto viene temporaneamente rovesciato. Secondo Gluckman (v.,
1963) questa 'ribellione rituale' dà sfogo alle correnti dissidenti
e sovversive tra i sudditi, scongiurando in tal modo una rivoluzione
reale. Come ha osservato acutamente Georges Balandier (v., 1970, p.
41), "lo stratagemma supremo del potere consiste nel consentire la
propria contestazione rituale al fine di consolidarsi in modo più
efficace".
Il rito, in ultima analisi, deriva il suo potere di sacralizzazione
dalle forze mistiche attraverso le quali l'uomo attribuisce al mondo
che lo circonda un significato supremo e trascendente.
Le religioni tradizionali, al pari delle religioni mondiali, fanno
riferimento anche al mondo sociale e ai principî morali su cui si
fonda. La risposta mistica alla condotta morale ha dunque
un'importanza cruciale. Come abbiamo visto, l'ordine morale può
essere tutelato direttamente dagli spiriti che puniscono i
trasgressori, o può essere affermato indirettamente (nel contesto di
una teologia dualistica) dalle forze benigne del cosmo attraverso la
revoca della loro protezione, che espone i trasgressori
all'aggressione maligna delle forze oscure e antisociali
contrapposte al potere benigno. Naturalmente, come abbiamo già
osservato, l'esperienza della sofferenza in questa vita non è
limitata ai peccatori. Ciò solleva l'eterna questione del male
immeritato, che i popoli 'primitivi' sono ben lungi dall'ignorare
come, secondo Evans-Pritchard, accadrebbe per i fatalistici Nuer.
7. La religione popolare
Con la grande espansione delle religioni mondiali, alcuni elementi
delle religioni tradizionali locali sono penetrati nella pratica
della religione ortodossa, minacciandone talvolta le credenze. Dal
punto di vista dell'ortodossia questi aspetti devianti sono 'superstizioni',
retaggi di una 'religione primitiva'. Da un punto di vista
sociologico, tuttavia, oltre che essere potenzialmente sovversive
tali deviazioni possono essere considerate la controparte necessaria
dell'ortodossia stessa, che di solito definisce se stessa proprio in
opposizione a queste sottocorrenti 'negative'. In effetti, si
potrebbe affermare che se tali credenze e pratiche devianti non
esistessero, sarebbe necessario inventarle al fine di riaffermare e
mantenere l'ortodossia teologica, che si presenta come loro
antitesi. A tale riguardo ci limiteremo a osservare che le religioni
mondiali politeistiche, come l'induismo e il buddhismo, sono assai
più tolleranti nei confronti delle credenze locali di quanto non lo
siano le religioni monoteistiche come il cristianesimo e l'Islam. Le
prime sono formalmente pluraliste e incoraggiano il sincretismo,
mentre le seconde cercano di contrastarlo, emarginando le tendenze
in tale direzione.
La visione escatologica condivisa dalle religioni mondiali, che
pospone il giudizio morale finale nell'aldilà e risolve in questo
modo il problema della mancata punizione dei peccatori in questa
vita e, più in generale, il problema dell'ineguaglianza, non basta a
soddisfare tutti i bisogni umani. La situazione è ben illustrata dal
modello religioso pluralistico del Giappone. Qui l'orientamento
religioso cambia a seconda dell'età: lo shintoismo, che promette
ricompense immediate, è preferito dai giovani, più combattivi e
competitivi, che si rivolgono ai santuari shintoisti per ogni sorta
di problemi concreti di salute, di successo e di sicurezza; mentre
gli anziani si volgono di preferenza al buddhismo, considerato una
preparazione all'aldilà.Nella pratica quotidiana del buddhismo
Theravāda, diffuso nello Sri Lanka, vi è una sorta di scambio tra il
culto delle divinità locali e la venerazione del Buddha. La
benedizione a lungo termine che si ottiene venerando i santuari
buddhisti viene trasferita a divinità locali in cambio della
promessa di un aiuto più immediato nelle difficoltà contingenti.
Tendenze analoghe si possono riscontrare nella pratica quotidiana
dell'induismo indiano. In contrasto con la dottrina ortodossa, il
karma viene ritenuto contagioso, e quindi si crede che il karma
positivo o negativo di una persona possa influenzare gli altri.
Inoltre, malattie e sventure spesso non sono interpretate come
conseguenza del destino karmico di un individuo, ma vengono imputate
a una malevolenza personale o ad altre influenze maligne (v. Sharma,
1973). Naturalmente, come abbiamo visto nel caso della stregoneria
zande, queste influenze maligne vengono invocate per presentare la
propria condotta nella luce più favorevole possibile.
L'Islam e il cristianesimo, dal canto loro, nel corso della storia
hanno dovuto tollerare, e talvolta accogliere a malincuore, una
varietà di culti locali, in genere incentrati su esseri spirituali
come i santi. La pratica di tali culti ha sempre alimentato reazioni
'fondamentaliste' contro quelle che vengono bollate come 'eresie'.
Non sorprende, pertanto, che la cosiddetta 'religione popolare' sia
estremamente malvista dai teologi fondamentalisti. E tuttavia, come
abbiamo già accennato, le concezioni escatologiche delle religioni
mondiali si dimostrano inadeguate e devono essere integrate con
elementi attinti dalle religioni non escatologiche etichettate come
'primitive', che promettono ricompense e punizioni immediate.
Nelle moderne società cristiane occidentali un ulteriore impulso in
questo senso è dato dalla tesi della 'morte di Dio' della teologia
contemporanea, che si traduce in pratica in un rifiuto della
dottrina escatologica tradizionale in cui molti, in ogni caso, hanno
cessato di credere. Inevitabilmente ciò ha come conseguenza un
rifiorire della magia esotica, della stregoneria, della possessione
demonica (inclusa quella da parte di 'alieni') e del 'satanismo',
nonché di culti mistici di origine orientale - che sono attualmente
un vero e proprio fenomeno di massa (v. Hexham e Poewe, 1986; v. Del
Re, 1988; v. Barker, 1989; v. Lanternari, 1994). Ci troviamo quindi
di fronte all'apparente paradosso di una 'religione primitiva'
accolta con entusiasmo nella società contemporanea. (V. anche
Credenze e culti;
Festa;
Incesto;
Mito;
Riti;
Sciamanesimo).
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