Perchè la religione è "naturale"?

 

 

Perché la religione è “naturale”?

Il credo religioso è un mero salto nell’irrazionalità, come presumono molti scettici? La psicologia

suppone che dietro alla credenza ci sia qualcosa di più di una pura sospensione della ragione.

di Pascal Boyer

 

Credenze e pratiche religiose si trovano in qualsiasi etnia e risalgono ai primordi della

cultura umana. Ma cos’è che rende la religione così “naturale”? Tentazione comune è

quella di ricercare l’origine della religione in generici impulsi umani, per esempio nel

desiderio delle persone di fuggire disgrazie o la mortalità o di capire l’universo. In realtà

queste supposizioni sono spesso basate su punti di vista errati nei confronti della religione

(vedi tavola 1) e gli impulsi psicologici vengono spesso semplicemente messi in mostra.

Recenti studi di psicologia, antropologia e neuroscienza offrono un approccio molto più

empirico, focalizzato sulla nostra “macchina mentale” attivata nell’acquisizione e

rappresentazione di concetti religiosi1.

 

 

 

 

 

La prima cosa da capire riguardo la religione è che essa non mette in moto una particolare

capacità mentale, uno “schema religioso” o un sistema che creerebbe il complesso set di

credenze e norme che normalmente chiamiamo religione. Al contrario, è un’intera serie di

diversi sistemi, che descriverò quanto prima, che supporta le nozioni religiose.

Secondo punto importante è che tutti questi sistemi sono parte del nostro

equipaggiamento mentale, sia esso religioso o no. In altre parole, il credo religioso attiva

sistemi mentali coinvolti in un intero dominio non religioso.

Questi due punti hanno conseguenze importanti nel capire come mai esista qualche

sorta di religione in ogni cultura umana, come mai la religione sia così facile da acquisire e

da trasmettere.

 

Riflettendo sul concetto di religione, si possono commettere diversi errori, alcuni dei

quali sono sintetizzati nella tavola 1. Di seguito vorrei parlare di una particolare visione

della religione, diffusa tra gli scettici, che io chiamo il “sonno della ragione”. Secondo tale

interpretazione, le persone possederebbero delle credenze religiose perché mancherebbero

propriamente di ragione. Se invece basassero i loro ragionamenti su un ordine logico e

razionale, non possederebbero delle credenze soprannaturali, incluse superstizioni e

religione.

 

Trovo questa visione fuorviante per diverse ragioni: essa presuppone un netto

divario tra pensiero religioso e il generale pensiero comune, divario che in realtà non

esiste; intende la credenza come un soppesare premeditatamente l’evidenza, cosa che in

genere non è; implica che concetti religiosi potrebbero venir annullati semplicemente da

una contro-argomentazione, cosa di fatto implausibile; e soprattutto oscura le vere ragioni

per cui la religione è così largamente diffusa nelle culture umane.

 

La Religione come “sonno della ragione”

Esiste da tempo una rispettabile tradizione che spiega la religione come conseguenza di

un’imperfezione, di un punto debole della mente: poiché le persone non pensano troppo o

in maniera non troppo efficiente, esse affollano la loro mente di credenze ingiustificate. In

altre parole, la religione esiste perché le persone non prendono provvedimenti profilattici

nei confronti delle credenze, per una delle seguenti ragioni:

- la gente è superstiziosa, crede a tutto. Le persone sono per natura propense a credere a

qualsiasi sorta di fenomeno strano e paranormale. Testimonianza di ciò sarebbe, ad

esempio, l’entusiasmo della gente nei confronti degli UFO in opposizione alla

cosmologia scientifica, nei confronti dell’alchimia invece che della chimica, delle

leggende metropolitane al posto di notizie reali.

I concetti religiosi sono al contempo semplici e sensazionali; sono facili da capire e

alquanto interessanti per intrattenere.

- I concetti religiosi sono irrefutabili. La maggior parte delle affermazioni sbagliate o

incoerenti sono facilmente rifiutate dall’esperienza o dalla logica; ciò non vale per i

concetti religiosi. Essi descrivono costantemente procedimenti e azioni la cui esistenza

non potrà mai essere verificata e non vengono pertanto mai rifiutati. Poiché non esiste

alcuna prova contro la maggior parte delle affermazioni religiose, la gente non ha

alcuna ragione per smettere di credervi.

- la confutazione è più difficile della credenza. È uno sforzo enorme contestare e ripensare

norme già stabilite rispetto all’accettarle semplicemente. Inoltre, si può constatare che

nella maggioranza delle culture si assorbono direttamente le nozioni delle persone che

ci stanno intorno. La religione non è un’eccezione. Se chiunque ci sta intorno sostiene

l’esistenza di invisibili persone morte e agisce di conseguenza, il cercare di provare a

dimostrare tali affermazioni piuttosto che accettarle semplicemente diventa uno sforzo

ben maggiore.

 

Trovo tutte queste argomentazioni insoddisfacenti. Non che esse siano false: le

affermazioni religiose sono in effetti lontane da ogni verifica. La gente preferisce storie

sensazionali e sovrannaturali rispetto a storie banali, e spesso non perde tempo a ripensare

a ogni singola parte di informazione culturale acquisita. Ma questo non basta a spiegare

perché le persone abbiano proprio quei concetti in mente, quelle credenze, quei sentimenti

e sensazioni. L’idea che siamo spesso creduloni o superstiziosi è certamente corretta; ma in

realtà non crediamo sempre proprio a tutto. La gente generalmente non si sforza a credere

a sei cose impossibili prima di colazione, come succede alla Regina Bianca nel racconto di

Lewis Carroll Attraverso lo Specchio (e quel che Alice vi trovò). Le affermazioni religiose sono

inconfutabili, ma tali sono anche tutti quei generi di nozioni ricercate e lambiccate che

invece proprio non troviamo nella religione. Prendi ad esempio l’affermazione che la mia

mano destra è fatta di formaggetta fresca tranne quando la guardi, che Dio cessa di

esistere ogni mercoledì pomeriggio, che le automobili hanno sete quando sono a corto di

benzina, o che i gatti pensano in tedesco. Potrei elencare centinaia di tali interessanti e

inconfutabili credenze che nessuno crederebbe mai come possibili.

La religione non è un contenitore in cui penetra qualsiasi cosa, un dominio dove

appare qualsiasi strana credenza venga trasmessa di generazione in generazione. Al

contrario, esiste in realtà solo un numero limitato di possibili credenze soprannaturali.

Anche non conoscendo tutti i dettagli delle altre religioni, sappiamo tutti che alcune

nozioni sono molto più diffuse rispetto ad altre. La credenza che le anime delle persone

scomparse aleggino intorno a noi ne è un esempio comune; la nozione che gli organi

umani si spostino durante il riposo notturno è invece molto rara. Ma entrambe sono

ugualmente incontestabili.

 

Il problema è quindi non tanto spiegare il perché le persone accettino asserzioni

soprannaturali per le quali non esistono chiare attestazioni, quanto lo spiegare perché esse

accettino tali particolari asserzioni al posto di altre possibili. Dovremmo spiegare perché le

persone sono così selettive riguardo alle credenze cui aderiscono.

Dobbiamo infatti andare oltre e abbandonare completamente lo scenario della

credulità. Questo succede perché in tale scenario le persone abbassano per qualche ragione

la guardia nei confronti dell’evidenza. Se non sei credente, dirai che ciò accade perché tali

persone sono credulone o rispettose nei confronti di autorità imposte o troppo pigre per

pensare autonomamente, etc. Se sei più vicino al credo religioso, dirai che esse aprono le

loro menti a mirabili verità che vanno oltre la nostra ragione. Il punto è che accettare

quest’ultima affermazione significa presupporre che le persone prima aprano le loro menti

e che le lascino poi riempirsi di quel particolare credo religioso alimentato dalle persone a

loro vicine che le influenzano in quel particolare momento. Questo è quello che spesso

pensiamo dell’adesione a una religione. Ci sarebbe quindi una sorta di custode nella

nostra mente che dà il permesso di entrare o rifiuta visitatori esterni, ovvero idee e

credenze di altre persone. Quando il custode permette il loro ingresso, queste idee e questi

concetti penetrano nella mente e diventano quindi idee e concetti propri.

 

La nostra attuale conoscenza dei processi mentali suggerisce questo scenario come

altamente ingannevole. La gente riceve qualsiasi sorta di informazione da qualsiasi sorta

di fonte. Tutte queste informazioni hanno un qualche effetto sulla mente umana. Qualsiasi

cosa si senta o si veda viene percepita, interpretata, esplicata e registrata dai diversi

sistemi deduttivi da me sopra descritti. Qualsiasi pezzetto di informazione è cibo per la

nostra macchina mentale. Ma poi alcune parti di informazione producono degli effetti che

identifichiamo come “credenze”. Ossia, la persona inizia a richiamarle e a usarle per

spiegare e interpretare particolari eventi; esse possono inoltre far vibrare determinate

emozioni e possono arrivare a influenzare fortemente il comportamento della persona

stessa.

 

Notare che ho specificato alcune parti di informazione, non tutte. Ed è qui dove agisce

la selezione. Come potrebbe spiegare un buono psicologo di religione, succede che solo

alcuni e non altri pezzi di informazione mettono in moto questi meccanismi; capita anche

che lo stesso frammento di informazione agisca su alcune persone e non su altre. Quindi le

persone non possederebbero una fede perché avrebbero aperto la mente a tale fede, e poi

acquisito materiale per essa. Esse possederebbero delle credenze perché, tra tutto il

materiale acquisito, parte di esso avrebbe messo in moto quei particolari meccanismi.

 

Una gamma limitata di concetti

Le persone conoscono i propri concetti religiosi? Sembrerebbe una domanda assurda, ma

in realtà è una questione importante nella psicologia della religione: la vera risposta

risulterebbe probabilmente negativa. Nella maggior parte dell’attività mentale, soltanto

una piccola parte di ciò che penetra nel nostro cervello è accessibile a un controllo

consapevole. Ad esempio, produciamo continuamente frasi nella nostra madrelingua con

una pronuncia impeccabile, spesso senza avere un’idea di come ciò avvenga. Oppure

percepiamo il mondo attorno a noi come costituito da oggetti tridimensionali, ma di certo

non siamo consapevoli delle modalità in cui la nostra corteccia visiva trasformi le doppie

immagini della retina in tale ricca espressione di oggetti solidi. Lo stesso vale per tutti i

concetti e le norme che ci appartengono: abbiamo qualche vaga idea di cosa essi siano, ma

di certo non abbiamo accesso completo alle modalità per cui la nostra mente li crea e

sostiene. La maggior parte delle zone cerebrali che sostengono concetti religiosi non è

accessibile consapevolmente.

 

Le proprie credenze consciamente accessibili rappresentano solamente un frammento

del processo mentale. Infatti, test sperimentali dimostrano come concetti religiosi ritenuti

come propri, spesso divergano da quello che le persone pensavano di credere. Questo

spiega perché teologie, dogmi ed erudite interpretazioni della religione non possano

venire intese come affidabili esposizioni né dei contenuti né delle cause delle credenze

della gente. Per esempio lo psicologo Justin Barrett dimostrò che il concetto cristiano di

Dio era molto più complesso di quanto assumessero i credenti stessi. La maggior parte dei

cristiani descriverebbe la propria nozione di Dio in termini trascendentali e con

straordinarie caratteristiche fisiche e mentali. Dio è ovunque, è onnipresente. Tuttavia,

lavori sperimentali hanno dimostrato che quando non stanno riflettendo sulla propria

fede, queste stesse persone usano un altro concetto di Dio, ovvero lo identificano come un

rappresentante umano con un particolare punto di vista, una propria particolare posizione

e un’attenzione discontinua. Dio considererebbe prima un problema e poi l’altro. Ora,

questa concezione è per lo più taciuta. Guida i pensieri della gente attraverso particolari

eventi, attraverso episodi di interazione con Dio, ma non è così che essa intende il proprio

credo. In altri termini, la gente non crede in ciò che crede di credere.

 

Un attento esame di queste tacite concezioni rivela che le nozioni dei meccanismi

religiosi sono molto simili in tutto il mondo, nonostante le grandi differenze culturali.

Esiste un piccolo repertorio di possibili caratteri soprannaturali, molti dei quali si

ritrovano in racconti popolari e altri minori domini culturali, sebbene alcuni di essi

appartengano alle divinità importanti, agli spiriti o agli antenati della “religione”. Molti di

questi rappresentanti sono espressamente definiti in possesso di proprietà fisiche o

biologiche non palpabili, cosa che viola la generale aspettativa nei confronti dei

rappresentanti stessi. Essi sono talora invisibili, o preveggenti, o immortali. Il modo in cui

le persone rappresentano tali agenti attiva l’enorme e inaccessibile meccanismo della

“teoria della mente” e altri processi mentali che ci dotano di una particolare

rappresentazione degli agenti, delle loro intenzioni e delle loro credenze. Tutto questo non

è accessibile a un’ispezione cosciente e richiede una trasmissione non sociale. D’altro

canto, ciò che viene socialmente trasmesso sono le figure sovrumane: costui è onnisciente,

tal altro attraversa i muri, un altro ancora è nato da una vergine, ecc.

 

Più genericamente, si osserva che la maggioranza dei concetti sovrannaturali e

religiosi appartiene a una breve lista di possibili profili che hanno una struttura comune.

Tutti questi concetti sono caratterizzati da asserzioni molto generiche tratte da categorie

molto generali quali “persona”, “essere vivente” o “manufatto”. Uno spirito è una

particolare specie di persona, una bacchetta magica, uno speciale manufatto, un albero

parlante, una pianta speciale. Tali nozioni combinano (a) specifiche caratteristiche che

violano alcune tipiche aspettative del dominio mentale con (b) aspettative ritenute vere

per default dalla mente. Per esempio, il familiare concetto di fantasma combina (a)

un’informazione trasmessa socialmente di una persona impalpabile (disincarnata, che

attraversa i muri, ecc.) con (b) spontanee deduzioni prodotte dal concetto generale di

persona (il fantasma capta quello che succede, richiama quello che la persona ha percepito,

crea delle credenze sulla base di tali percezioni, e dunque crea dei concetti sulla base di tali

credenze).

Queste associazioni tra violazione esplicita e tacite asserzioni sono culturalmente

molto diffuse e potrebbero costituire l’optimum per la memoria: associazioni di questo

tipo vengono infatti richiamate più facilmente dalla memoria rispetto ad associazioni più

banali, ma anche più facilmente rispetto ad associazioni stravaganti che non includono

però violazioni del dominio mentale. Il risultato è la noncuranza di esposizione di un

particolare tipo di credenze soprannaturali, e ciò è stato replicato in differenti culture in

Africa e in Asia.

 

Per riassumere, possiamo spiegare la sensibilità umana nei confronti di particolari

concetti sovrannaturali come prodotto dell’operato delle menti umane in contesti ordinari,

non religiosi. Poiché le asserzioni su categorie fondamentali quali persone, manufatti,

animali, ecc. sono così rigide, violazioni di queste asserzioni creano concetti salienti e

facilmente memorizzabili.

 

Scambio, moralità e cattiva sorte

Possiamo capire altri aspetti di concetti religiosi come prodotti di questo sistema mentale

ordinario, non religioso, che organizza il nostro agire quotidiano. Consideriamo per

esempio il fatto che in qualsiasi cultura umana gran parte dell’attenzione è focalizzata non

tanto sulle caratteristiche degli agenti soprannaturali, quanto sulla loro interazione con i

viventi. Questo traspare dalla costante associazione tra giudizio morale e azione

soprannaturale, così come dal trattare cattiva sorte e casualità.

Ricerche evolutive hanno dimostrato una sollecita comparsa e una sistematica

organizzazione di intuizioni morali: una serie di distinte sensazioni evocate considerando

una reale e possibile progressione delle azioni. Nonostante le persone spesso affermino

che le loro regole morali sono una conseguenza dell’esistenza (o dei decreti) di agenti

soprannaturali, è alquanto chiaro che tali intuizioni siano presenti, indipendentemente dai

concetti religiosi. Le intuizioni morali nascono ben prima che i bambini possano descrivere

i poteri di forze soprannaturali; esse appaiono in culture dove nessuno è molto interessato

ad agenti soprannaturali e al contempo compaiono anche indifferentemente a quale tipo di

agente soprannaturale si dia importanza in quella determinata cultura. Non è dunque

facile provare che gli insegnamenti religiosi abbiano un qualche effetto sulle intuizioni

morali della gente. I concetti religiosi non modificano quindi le intuizioni morali delle

persone, ma modulano tali intuizioni in maniera tale da renderle più comprensibili. Ad

esempio, per la maggior parte dei popoli gli agenti soprannaturali sono “parti interessate”

nelle azioni umane. Data questa asserzione, intuire che un’azione sia sbagliata diventa

aspettarsi che un agente personalizzato la disapprovi. Le conseguenze sociali di questo

modo di presentare la situazione diventano molto più chiare all’agente, poiché sono

trattate da sistemi mentali specializzati nell’interazione sociale. Questa nozione di divinità

e spiriti come “parti interessate” spicca molto di più nelle deduzioni morali della gente che

non la nozione di tali agenti intesi come legislatori morali o esempi di moralità.

Allo stesso modo, l’uso del soprannaturale o di spiegazioni religiose nei confronti

della cattiva sorte potrebbero essere un prodotto di una molto più generica tendenza a

vedere tutti gli avvenimenti importanti in termini di un’interazione sociale. Gli avi

possono attaccarti una malattia o rovinare la piantagione; Dio manda alle persone diverse

piaghe. D’altro canto, divinità e spiriti sono anche rappresentati più positivamente come

protettori, garanti di un buon raccolto, di armonia sociale, ecc. Ma perché questi agenti

soprannaturali sono costituiti in maniera tale da possedere tali poteri causali?

Una delle spiegazioni più diffuse in tutto il mondo per quanto riguarda disgrazie e

disordini è data, in termini di stregoneria, dal sospetto che alcune persone (in genere

all’interno della comunità) compiano dei trucchi magici per “rubare” la salute altrui, la

buona sorte o beni materiali. Le nozioni di stregoneria sono tra le più diffuse nel campo

del soprannaturale. In alcune zone esistono esplicite accuse nei confronti di presunte

streghe che devono provare la loro innocenza o eseguire dei riti particolari per pagare

della loro trasgressione. Nella maggior parte dei luoghi il sospetto è materia di

pettegolezzo e raramente viene fuori allo scoperto. Non c’è in realtà bisogno di streghe in

carne e ossa per avere ferme credenze sull’esistenza e sul potere delle streghe stesse. La

stregoneria è importante perché sembra dare una spiegazione a qualsiasi sorta di

avvenimento: molti casi di malattia o di altre disgrazie sono interpretati spontaneamente

come testimonianza di un’azione di stregoneria. Credenze di stregoneria sono solo una

delle manifestazioni di un fenomeno che si trova in molti gruppi umani, ovvero

l’interpretazione di una disgrazia come conseguenza di un’invidia. Un’altra simile

situazione è data dalla diffusa credenza nel “malocchio”, un incantesimo lanciato da

persone invidiose contro chi gode di qualche buona sorte.

 

Le nozioni di stregoneria o di malocchio non appartengono in realtà alla sfera

religiosa, ma dimostrano come, religiosa o no, esista la tendenza a focalizzarsi sulle

possibili ragioni per cui alcuni agenti causerebbero disgrazie, più che sulle loro procedure.

Poiché questi eventi sfuggono al controllo da parte delle persone, queste ultime si

focalizzano sui sentimenti e sulle intenzioni degli agenti soprannaturali. Gli avi sono

arrabbiati, gli dèi richiedono un sacrificio, o il dio è semplicemente crudele o scherzoso.

Ma c’è di più. Il modo in cui queste ragioni sono espresse è, nella maggior parte dei casi,

supportata dalle nostre intuizioni di scambio sociale. Le persone si focalizzano sui perché un

agente causi loro del male, e si noti che queste “ragioni” hanno sempre qualcosa a che fare

con l’interazione delle persone con l’agente in questione. La gente si rifiutò di eseguire gli

ordini di Dio; profanò una casa contro i precetti degli avi; ebbe più salute o buona sorte di

quanta il loro dio decretato ne distribuì; e così via. Tutto questo è di supporto alle

affermazioni supposte da lungo tempo dagli antropologi, affermazioni raccolte nei più

disparati ambienti culturali: la cattiva sorte è generalmente interpretata in termini sociali.

Ma questa conclusione implica che le evolute risorse cognitive che le persone

applicano alla comprensione dell’interazione col sovrannaturale sono cruciali nella loro

interpretazione del significato di disgrazia.

 

L’interazione sociale richiede l’operato di complessi sistemi mentali che servono a

descrivere non solo le credenze e le intenzioni altrui, ma anche a stabilire il limite entro il

quale si può credere alla gente, a capire il funzionamento degli scambi sociali, a scovare gli

imbroglioni, a creare alleanze, e così via. Questi sistemi mentali sono inaccessibili, solo il

loro esito è descritto coscienziosamente. L’interazione con gli agenti soprannaturali, che

avviene tramite sacrifici, rituali, preghiere, ecc., è costituita proprio da tali sistemi.

Nonostante si dica che gli agenti siano molto “speciali”, il modo in cui la gente pensa di

interagire con essi equivale in realtà al loro modo di interagire con altre persone comuni.

 

Precauzione, rituali e ossessioni

In tutto il mondo, magia e rituali trattano delle stesse tematiche, in particolare «trattano di

come evitare contatti inquinanti e di purificazione, tocchi magici, paure di dure e

immanenti punizioni per aver violato delle regole»3. Gli antropologi hanno largamente

documentato non solo questi particolari temi di magia e di rituali, ma anche i più astratti

principî che li regolano: 1) elementi o sostanze pericolose sono invisibili; 2) qualsiasi tipo

di contatto (il toccare, il baciare, l’ingerire) con tali sostanze è pericoloso; 3) la quantità di

tali sostanze è ininfluente, ovvero una goccia di saliva di una persona malata è pericolosa

quanto una tazza intera della medesima4.

La gente applica spontaneamente questi principî in situazioni di potenziale contatto

con fonti patogene e tossiche: sporcizia, feci, cibo avariato, vermi, organismi malati o in

putrefazione. I tre principî sopra esposti sono particolarmente azzeccati parlando di tali

situazioni, poiché la maggior parte degli agenti patogeni sono invisibili, usano diversi

veicoli di trasmissione, e la loro quantità per agire è indifferente. È dunque plausibile che

pensieri di magia siano un’estensione di deduzioni non magiche su possibili fonti di

contagio5. In questo senso, molteplici idee su “inquinamento” o “contaminazione” magici

estorcono semplicemente fonti cognitive usate in ambiti non simbolici, non religiosi.

 

Più genericamente, i rituali vengono solitamente compiuti con un senso di urgenza,

d’assoluta necessità, con l’idea di correre un grave pericolo nel caso non vengano

compiuti. Queste tematiche sono anche caratteristiche di disordini ossessivo-coercitivi

(OCD – Obsessive-Compulsive Disorders). Come hanno notato molti antropologi e psicologi,

le caratteristiche dei rituali, come sintetizzate sopra, e quelle di ossessioni patologiche

sono quasi esattamente equivalenti. Il particolare tenore emozionale dei rituali potrebbe

derivare dalla loro associazione a sistemi neurali atti a scoprire e a evitare pericoli

invisibili. Studi neurologici tramite elaborazioni grafiche su pazienti afflitti da OCD

dimostrano generalmente una crescita significativa dell’attività cerebrale nella corteccia

dedicata a segnalare situazioni di pericolo6. Così la patologia potrebbe consistere in una

mancata inibizione di un gruppo di normali reazioni neurali nei confronti di potenziali

fonti di pericolo. Siamo ancora lontani dal capire fino a che grado questa rete neurale sia

implicata nella produzione di nozioni “moderate”, controllate, socialmente trasmesse

riguardo la purezza e la necessità di riti magici. Sembra però che la maggior parte di una

particolare serie di tematiche rituali che hanno a che fare con pericoli nascosti e contatti

nocivi7 e la predisposizione a derivare rigide, emozionalmente vivaci sequenze di azioni

da tali temi, possano essere spettacolari sottoprodotti culturali di funzione neurale.

 

Cosa rende la religione “naturale”

Per mancanza di spazio, non posso proseguire la lista dei sistemi mentali (normalmente

attivati in contesti non religiosi) che sostengono l’importanza e la plausibilità di nozioni

religiose. Per essere esaurienti, bisognerebbe anche menzionare la stretta associazione tra

partecipazione rituale e affiliazione di gruppo, il ruolo del nostro pensiero di coalizione

nel creare identità religiose, il ruolo specifico della morte e dei cadaveri nel pensiero

religioso, e molti altri aspetti della religione. Indagini psicologiche in questi ambiti hanno

rivelato la stessa organizzazione descritta sopra. Un’ampia gamma di sistemi mentali,

specializzati funzionalmente nel trattamento di particolari ambiti (non religiosi) di

informazione, è attivata da nozioni e norme religiose, in maniera tale da rendere tali

nozioni e norme fortemente importanti, facili da acquisire, facili da ricordare e trasmettere,

così come anche intuitivamente plausibili.

Dalla lezione sullo studio cognitivo della religione risulta che la religione è alquanto

“naturale” nel senso che essa è costituita da sottoprodotti di un normale funzionamento

mentale. Ciascuno dei sistemi qui descritti (il senso per lo scambio sociale, la paura

inconscia per una contaminazione invisibile, la capacità di pensiero di coalizione, ecc.) è il

risultato plausibile di una pressione selettiva sull’organizzazione cognitiva. In altre parole,

queste facoltà sono il risultato dell’evoluzione per selezione naturale.

In altri termini, il pensiero religioso attiva capacità cognitive sviluppate per trattare

informazioni non religiose. In questo senso la religione è molto simile alla musica e molto

diversa dal linguaggio. Ciascun essere umano acquisisce una lingua naturale e quella

lingua è straordinariamente simile a quella del suo gruppo circostante. Appare plausibile

il fatto che la nostra capacità di acquisizione linguistica sia un adattamento8. Al contrario,

nonostante tutti gli esseri umani siano capaci di riconoscere senza sforzi musica e concetti

religiosi, esistono profonde differenze individuali nella misura in cui essi gradiscono la

musica o aderiscono a taluni concetti religiosi piuttosto che ad altri. Il fatto che alcune

nozioni religiose siano state trovate in ciascun gruppo umano esistente non significa che

tutti gli esseri umani siano naturalmente religiosi. Un largo numero di esseri umani ne fa a

meno completamente, come ad esempio la maggior parte degli Europei per diversi secoli.

Si può dire che la religione è “nei nostri geni” e può essere considerata come prodotto

della selezione naturale? Alcuni biologi evolutivi credono di sì, perché l’esistenza di

credenze religiose potrebbe procurare alcuni vantaggi agli individui o ai gruppi che le

sostengono. Ciò non è però ancora stato completamente provato. Parrebbe più prudente

ed empiricamente giustificato dire che la religione è con molta probabilità un

sottoprodotto di vari sistemi mentali che sono il risultato dell’evoluzione per selezione

naturale.

 

Possiamo sospendere la mente dalla religione?

Tenendo conto di tutto ciò, l’interpretazione della religione come “sonno della ragione”

diviene infine meno attraente. È chiaro che il credo religioso richieda la sospensione di

rigide regole attraverso le quali la maggioranza degli scienziati valuta le evidenze. Ma così

agisce normalmente il pensare comune, quello che sostiene le nostre intuizioni di

buonsenso riguardo l’ambiente circostante. Più sorprendentemente, le nozioni religiose

non sono affatto un dominio separato dall’attività cognitiva. Sono fortemente radicate nei

più profondi principî di funzioni cognitive. Innanzitutto, i concetti religiosi non sarebbero

così rilevanti se non violassero alcune delle nostre cognizioni più radicate (per esempio,

che gli agenti soprannaturali aleggino nell’aria, che gli esseri viventi invecchino e

muoiano, ecc.). Secondariamente, i concetti religiosi non sussisterebbero se non

8 Pinker, S. 1995. The Language Instinct. 1st HarperPerennial ed. New York : HarperPerennial, 494

confermassero molteplici principî intuitivi. Terzo punto, la maggior parte delle norme e

dei sentimenti religiosi è “parassita” nei confronti di sistemi che creano norme (per

esempio intuizioni morali) e sensazioni (per esempio la paura di contaminatori invisibili)

molto simili in contesti non religiosi.

 

In questo senso, la religione è molto più “naturale” di quanto non suggeriscano le

argomentazioni del “sonno della ragione”. La gente non si attiene a concetti di fantasmi

invisibili o avi o spiriti perché essa interrompe le proprie normali risorse cognitive, ma

piuttosto perché utilizza tali risorse per un contesto per il quale esse non erano destinate in

un primo tempo. Comunque, quel che serve a “pizzicare” la cognizione ordinaria,

richiesta per sostenere il pensiero religioso, è così insignificante che non dovrebbe

sorprendere vedere i concetti religiosi così diffusi e “resistenti” a contestazioni. La

situazione è simile negli ambiti dove la scienza ha chiaramente dimostrato i limiti o la

fallacia delle nostre intuizioni comuni. Sappiamo ora che i solidi sono in larga misura

composti da spazio vuoto, che le nostre menti non sono che un insieme di miliardi di

neuroni che guizzano in maniera ordinata, che alcuni processi fisici possono andare

indietro nel tempo, che le specie animali non hanno un’essenza eterna, che la gravitazione

è una curvatura spazio-temporale. Ora, anche gli scienziati vivono la quotidianità con la

convinzione che gli oggetti solidi siano pieni di materia, che le persone abbiano menti non

fisiche, che il tempo sia irreversibile, che i gatti differiscano essenzialmente dai cani, e che

gli oggetti cadano perché dotati di una massa.

In un certo senso, lo studio cognitivo della religione finisce per giustificare

un’intuizione generale, o come meglio esprime Jonathan Swift: «non si persuade un uomo

a fare qualcosa di cui non è persuaso».

La ragione per cui si studia ciò scientificamente è per dimostrare fino a che limite le

nozioni religiose possano essere concetti saldi e salienti nelle culture umane, non solo in

questo preciso momento ma per un lungo tempo a venire.

 

L’originale è pubblicato alla pagina http://csicop.org/si/2004-03/religion.html

Traduzione in italiano di Simona Speich