La religione come effetto collaterale del pensiero

di

Stefano Stofella

 

 

 Nonostante il numero di non credenti, agnostici ed atei sia in costante aumento, è sorprendente notare quanto la religiosità sia enormemente più diffusa e da quanto tempo lo sia. Solo recentemente  il mondo scientifico ha iniziato ad interessarsi al fenomeno della religiosità nel tentativo di capire la sua diffusione e la sua origine.

In un interessantissimo recente articolo pubblicato su New Scientis,, intitolato Born believers: How your brain creates God, alcuni psicologi ed antropologi, grazie ai risultati di recenti esperimenti cognitivi, cercano di arrivare a delle teorie plausibili.

Effetto dell'evoluzione
L'ipotesi evoluzionistica sull'origine della religione sostiene che esse si siano sviluppate per questioni di adattamento all'ambiente: i fenomeni di aggregazione sociale, secondo questa teoria, furono favoriti dallo sviluppo di religioni comuni fra i membri dei gruppi. Questo avrebbe creato comunità molto unite e competitive, quindi con maggiori possibilità di riproduzione e trasmissione dei geni. Quest'idea non è completamente condivisa: secondo Scott Atran, antropologo dell'università del Michigan, l'avere credenze prive di riscontri nella realtà non darebbe alcun vantaggio in termini di adattamento. Ad esempio, la credenza nell'aldilà sarebbe addirittura controproducente alla sopravvivenza dell'individuo nel qui-ed-ora, e in maniera simile, qualsiasi credenza specifica  non spiegherebbe l'origine della religiosità, ma solo il modo in cui si è propagata.

Effetto collaterale del pensiero astratto
Secondo Atran, sarebbe il pensiero astratto ad averci resi così efficaci nell'adattamento, e la religiosità nascerebbe come effetto collaterale di esso. È ciò che permette il pensiero soprannaturale ad essere in noi innato, ed il pensiero soprannaturale rimane inconsciamente sempre presente. Paul Bloom, psicologo di Yale, sostiene che ciò sia dovuto al fatto che abbiamo due sistemi cognitivi separati, che entrano in gioco a seconda che si abbia a che fare con oggetti viventi, quindi dotati di coscienza o almeno che mostrino intenzionalità, oppure con oggetti inanimati. Dagli esperimenti fatti con bambini di età inferiore ai cinque mesi, si ha avuto la dimostrazione  che già a quell'età i due sistemi iniziano a differenziarsi: nei test, i bambini mostravano sorpresa nel vedere muoversi un oggetto inanimato, ma nessuna reazione particolare quando l'oggetto in questione era una persona. Per i bambini, gli oggetti inanimati seguono sempre precise regole fisiche e sono quindi prevedibili, mentre solo le persone e gli esseri viventi hanno la facoltà di potersi muovere a piacimento.

Dualismo fra mente e materia
Questa separazione ci porta a fare una distinzione fra menti e corpi che ci è di aiuto nell'immaginare le intenzioni degli oggetti viventi, in mancanza di una rappresentazione fisica del loro corpo; la stessa capacità ci facilita il compito di mantenere relazioni sociali e gerarchie. L'effetto collaterale è la tendenza ad immaginare l'esistenza di menti senza corpo, che ci mette in difficoltà quando oggetti che dovrebbero essere inanimati si comportano in modo che non sappiamo prevedere. Nei bambini è tipico credere in amici immaginari, oppure di poter parlare con i parenti morti; allo stesso modo, è molto comune in tutte le popolazioni la credenza di poter uscire dal proprio corpo durante i sogni, oppure nelle cosiddette proiezioni astrali. E ovviamente, anche gli dèi fanno parte di questo gruppo di esseri senza corpo ed invisibili, ma esistenti. Questo porta con sé anche la credenza nella vita dopo la morte, lo spiritismo e l'animismo. Nel rappresentarci questi spiriti o dèi, attribuiamo ad essi delle caratteristiche e dei modi di pensare tipicamente umani. In un altro esperimento con dei bambini, è stato mostrato loro uno spettacolo di marionette nel quale si vedeva un serpente mangiare un topo. Dopo lo spettacolo, sono state fatte ai bambini alcune domande: a quelle che riguardavano gli aspetti fisici, ad esempio se il topo potesse ancora ammalarsi, oppure se sentisse il bisogno di mangiare, i bambini rispondevano di no. Mentre alle domande riguardanti questioni più “spirituali”, se il topo pensasse o potesse sapere certe cose, i bambini rispondevano di sì.

Causalità estremizzata
Un'altra caratteristica tipica ed innata del pensiero umano è la ricerca dei rapporti di causa ed effetto: tendiamo ad assumere che ogni evento debba avere una causa scatenante. Ciò, nella maggior parte dei casi, porta ad una deduzione corretta, ma le cose si complicano quando le cause diventano meno evidenti, oppure gli effetti hanno ripercussioni emotive molto forti sui soggetti; in questi casi, entrano facilmente in gioco questi esseri immaginari, latori in intenzioni. La conseguenza di queste due cose è il credere che gli eventi accadano per una causa, generata da uno scopo. evento accada perché qualcuno l’ha fatto accadere. Il giocattolo si è schiantato per terra perché io l’ho fatto cadere dal seggiolone; la mamma mi sta allattando perché l’ho chiamata piangendo; la palla serve per giocare… Fino a cose più complesse. Quando gli eventi da spiegare sono troppo complicati, la soluzione cognitivamente più economica è pensare che qualche entità invisibile li abbia causati. Questo tipo di deduzione, seppur ingenua, è estremamente utile quando è in gioco la sopravvivenza. Immaginiamo di essere dei primati e di veder muoversi un cespuglio: è più conveniente arrivare istantaneamente alla conclusione che ci sia qualcuno dietro al cespuglio, forse un predatore, e fuggire, che fermarsi ad analizzare razionalmente l'evento, a costo di fuggire anche quando non sarebbe necessario.

A livelli più astratti di pensiero, gli stessi meccanismi avrebbero portato alcuni notevoli pensatori alla ricerca di una “causa prima”. Ad un gruppo di ragazzini di sette-otto anni, Deborah Kelemen, dell'università dell'Arizona, facendo loro delle specifiche domande riguardo ad oggetti inanimati ed animali, ha scoperto che la maggior parte dei bambini credeva che questi fossero stati creati per degli scopi precisi: una sorta di ingenuo intelligent design per cui le rocce appuntite esistono per permettere agli animali di grattarsi, gli uccelli per “fare belle musiche”, e via dicendo. Chiedendo a bambini in età prescolare chi pensavano avesse creato certi particolari oggetti naturali, come piante o animali, la probabilità che essi rispondessero “dio” era sette volte maggiore rispetto alla risposta “uomo”. Per scoprire quanto l'influenza degli adulti condizioni il pensiero infantile nella creazione degli dèi, sarebbe necessario fare un esperimento nel quale dei bambini vengano lasciati a se stessi, permettendo loro di sviluppare un proprio linguaggio autonomo ed una propria cultura. Un esperimento simile, tuttavia, non è realizzabile per ovvi motivi etici. A differenza dei bambini, gli adulti si legano alla religione principalmente per via di eventuali insegnamenti morali.

L'ultima risorsa
Kelemen ha dimostrato che la tendenza al pensiero soprannaturale ed irrazionale permane anche negli adulti messi sotto pressione riguardo l'origine di certi fenomeni: in alcuni test, essi sono arrivati a rispondere che gli alberi producono ossigeno perché gli animali possano respirare, oppure che il sole produca calore per sostenere la vita. Anche in persone dichiaratamente non credenti, questi meccanismi si possono manifestare in situazioni di forte stress e perdita di controllo sulla propria vita: nel tentativo di spiegare a sé stessi eventi molto traumatici, può emergere la necessità di trovare a tutti i costi una soluzione per evitare di venire sopraffatti dall'evento. Atran sostiene che questo meccanismo sia una sorta di jolly che ci fornisce il cervello per permetterci di uscire da situazioni estremamente difficili. In un esperimento (in “Science”, vol. 322, p. 115) si è cercato di riprodurre il meccanismo: ad un gruppo di persone è stato chiesto di trovare uno schema in una serie di immagini di punti e nelle informazioni della borsa. Metà dei partecipanti sono stati indotti a provare sensazioni di perdita di controllo, dando loro del feedback non relativo all'esperimento, o facendo ricordare loro delle situazioni nelle quali avevano perso il controllo. I risultati sono stati tanto stupefacenti da sorprendere anche gli sperimentatori: i soggetti che avevano sperimentato la perdita di controllo erano molto più propensi a trovare schemi e significati dove non ce n'erano. Questo dimostrerebbe in che modo l'uomo tenda a cadere nel pensiero superstizioso quando sente di aver perso la presa sulla realtà, e spiegherebbe perché le religioni tornano maggiormente in auge durante i periodi più duri dell'umanità.

La religione sarebbe una conseguenza del funzionamento del nostro cervello. Ovviamente i risultati non ci dicono nulla sull'esistenza o meno degli dèi, ma in queste condizioni l'ateismo si “vende” meno facilmente della religione. L'indottrinamento, grazie a questi meccanismi, ottiene un supporto maggiore e rafforza a sua volta l'effetto collaterale della credenza.