Nonostante il numero di non credenti,
agnostici ed atei sia in costante aumento, è sorprendente notare
quanto la religiosità sia enormemente più diffusa e da quanto tempo
lo sia. Solo recentemente il mondo scientifico ha iniziato ad
interessarsi al fenomeno della religiosità nel tentativo di capire
la sua diffusione e la sua origine.
In un interessantissimo recente articolo pubblicato su New Scientis,,
intitolato Born believers: How your brain creates God, alcuni
psicologi ed antropologi, grazie ai risultati di recenti esperimenti
cognitivi, cercano di arrivare a delle teorie plausibili.
Effetto dell'evoluzione
L'ipotesi evoluzionistica sull'origine della religione sostiene che
esse si siano sviluppate per questioni di adattamento all'ambiente:
i fenomeni di aggregazione sociale, secondo questa teoria, furono
favoriti dallo sviluppo di religioni comuni fra i membri dei gruppi.
Questo avrebbe creato comunità molto unite e competitive, quindi con
maggiori possibilità di riproduzione e trasmissione dei geni. Quest'idea
non è completamente condivisa: secondo Scott Atran, antropologo
dell'università del Michigan, l'avere credenze prive di riscontri
nella realtà non darebbe alcun vantaggio in termini di adattamento.
Ad esempio, la credenza nell'aldilà sarebbe addirittura
controproducente alla sopravvivenza dell'individuo nel qui-ed-ora, e
in maniera simile, qualsiasi credenza specifica non spiegherebbe
l'origine della religiosità, ma solo il modo in cui si è propagata.
Effetto collaterale del pensiero astratto
Secondo Atran, sarebbe il pensiero astratto ad averci resi così
efficaci nell'adattamento, e la religiosità nascerebbe come effetto
collaterale di esso. È ciò che permette il pensiero soprannaturale
ad essere in noi innato, ed il pensiero soprannaturale rimane
inconsciamente sempre presente. Paul Bloom, psicologo di Yale,
sostiene che ciò sia dovuto al fatto che abbiamo due sistemi
cognitivi separati, che entrano in gioco a seconda che si abbia a
che fare con oggetti viventi, quindi dotati di coscienza o almeno
che mostrino intenzionalità, oppure con oggetti inanimati. Dagli
esperimenti fatti con bambini di età inferiore ai cinque mesi, si ha
avuto la dimostrazione che già a quell'età i due sistemi iniziano a
differenziarsi: nei test, i bambini mostravano sorpresa nel vedere
muoversi un oggetto inanimato, ma nessuna reazione particolare
quando l'oggetto in questione era una persona. Per i bambini, gli
oggetti inanimati seguono sempre precise regole fisiche e sono
quindi prevedibili, mentre solo le persone e gli esseri viventi
hanno la facoltà di potersi muovere a piacimento.
Dualismo fra mente e materia
Questa separazione ci porta a fare una distinzione fra menti e corpi
che ci è di aiuto nell'immaginare le intenzioni degli oggetti
viventi, in mancanza di una rappresentazione fisica del loro corpo;
la stessa capacità ci facilita il compito di mantenere relazioni
sociali e gerarchie. L'effetto collaterale è la tendenza ad
immaginare l'esistenza di menti senza corpo, che ci mette in
difficoltà quando oggetti che dovrebbero essere inanimati si
comportano in modo che non sappiamo prevedere. Nei bambini è tipico
credere in amici immaginari, oppure di poter parlare con i parenti
morti; allo stesso modo, è molto comune in tutte le popolazioni la
credenza di poter uscire dal proprio corpo durante i sogni, oppure
nelle cosiddette proiezioni astrali. E ovviamente, anche gli dèi
fanno parte di questo gruppo di esseri senza corpo ed invisibili, ma
esistenti. Questo porta con sé anche la credenza nella vita dopo la
morte, lo spiritismo e l'animismo. Nel rappresentarci questi spiriti
o dèi, attribuiamo ad essi delle caratteristiche e dei modi di
pensare tipicamente umani. In un altro esperimento con dei bambini,
è stato mostrato loro uno spettacolo di marionette nel quale si
vedeva un serpente mangiare un topo. Dopo lo spettacolo, sono state
fatte ai bambini alcune domande: a quelle che riguardavano gli
aspetti fisici, ad esempio se il topo potesse ancora ammalarsi,
oppure se sentisse il bisogno di mangiare, i bambini rispondevano di
no. Mentre alle domande riguardanti questioni più “spirituali”, se
il topo pensasse o potesse sapere certe cose, i bambini rispondevano
di sì.
Causalità estremizzata
Un'altra caratteristica tipica ed innata del pensiero umano è la
ricerca dei rapporti di causa ed effetto: tendiamo ad assumere che
ogni evento debba avere una causa scatenante. Ciò, nella maggior
parte dei casi, porta ad una deduzione corretta, ma le cose si
complicano quando le cause diventano meno evidenti, oppure gli
effetti hanno ripercussioni emotive molto forti sui soggetti; in
questi casi, entrano facilmente in gioco questi esseri immaginari,
latori in intenzioni. La conseguenza di queste due cose è il credere
che gli eventi accadano per una causa, generata da uno scopo. evento
accada perché qualcuno l’ha fatto accadere. Il giocattolo si è
schiantato per terra perché io l’ho fatto cadere dal seggiolone; la
mamma mi sta allattando perché l’ho chiamata piangendo; la palla
serve per giocare… Fino a cose più complesse. Quando gli eventi da
spiegare sono troppo complicati, la soluzione cognitivamente più
economica è pensare che qualche entità invisibile li abbia causati.
Questo tipo di deduzione, seppur ingenua, è estremamente utile
quando è in gioco la sopravvivenza. Immaginiamo di essere dei
primati e di veder muoversi un cespuglio: è più conveniente arrivare
istantaneamente alla conclusione che ci sia qualcuno dietro al
cespuglio, forse un predatore, e fuggire, che fermarsi ad analizzare
razionalmente l'evento, a costo di fuggire anche quando non sarebbe
necessario.
A livelli più astratti di pensiero, gli stessi meccanismi avrebbero
portato alcuni notevoli pensatori alla ricerca di una “causa prima”.
Ad un gruppo di ragazzini di sette-otto anni, Deborah Kelemen,
dell'università dell'Arizona, facendo loro delle specifiche domande
riguardo ad oggetti inanimati ed animali, ha scoperto che la maggior
parte dei bambini credeva che questi fossero stati creati per degli
scopi precisi: una sorta di ingenuo intelligent design per cui le
rocce appuntite esistono per permettere agli animali di grattarsi,
gli uccelli per “fare belle musiche”, e via dicendo. Chiedendo a
bambini in età prescolare chi pensavano avesse creato certi
particolari oggetti naturali, come piante o animali, la probabilità
che essi rispondessero “dio” era sette volte maggiore rispetto alla
risposta “uomo”. Per scoprire quanto l'influenza degli adulti
condizioni il pensiero infantile nella creazione degli dèi, sarebbe
necessario fare un esperimento nel quale dei bambini vengano
lasciati a se stessi, permettendo loro di sviluppare un proprio
linguaggio autonomo ed una propria cultura. Un esperimento simile,
tuttavia, non è realizzabile per ovvi motivi etici. A differenza dei
bambini, gli adulti si legano alla religione principalmente per via
di eventuali insegnamenti morali.
L'ultima risorsa
Kelemen ha dimostrato che la tendenza al pensiero soprannaturale ed
irrazionale permane anche negli adulti messi sotto pressione
riguardo l'origine di certi fenomeni: in alcuni test, essi sono
arrivati a rispondere che gli alberi producono ossigeno perché gli
animali possano respirare, oppure che il sole produca calore per
sostenere la vita. Anche in persone dichiaratamente non credenti,
questi meccanismi si possono manifestare in situazioni di forte
stress e perdita di controllo sulla propria vita: nel tentativo di
spiegare a sé stessi eventi molto traumatici, può emergere la
necessità di trovare a tutti i costi una soluzione per evitare di
venire sopraffatti dall'evento. Atran sostiene che questo meccanismo
sia una sorta di jolly che ci fornisce il cervello per permetterci
di uscire da situazioni estremamente difficili. In un esperimento
(in “Science”, vol. 322, p. 115) si è cercato di riprodurre il
meccanismo: ad un gruppo di persone è stato chiesto di trovare uno
schema in una serie di immagini di punti e nelle informazioni della
borsa. Metà dei partecipanti sono stati indotti a provare sensazioni
di perdita di controllo, dando loro del feedback non relativo
all'esperimento, o facendo ricordare loro delle situazioni nelle
quali avevano perso il controllo. I risultati sono stati tanto
stupefacenti da sorprendere anche gli sperimentatori: i soggetti che
avevano sperimentato la perdita di controllo erano molto più
propensi a trovare schemi e significati dove non ce n'erano. Questo
dimostrerebbe in che modo l'uomo tenda a cadere nel pensiero
superstizioso quando sente di aver perso la presa sulla realtà, e
spiegherebbe perché le religioni tornano maggiormente in auge
durante i periodi più duri dell'umanità.
La religione sarebbe una conseguenza del funzionamento del nostro
cervello. Ovviamente i risultati non ci dicono nulla sull'esistenza
o meno degli dèi, ma in queste condizioni l'ateismo si “vende” meno
facilmente della religione. L'indottrinamento, grazie a questi
meccanismi, ottiene un supporto maggiore e rafforza a sua volta
l'effetto collaterale della credenza. |