Tortura,
maltrattamenti e responsabilità delle forze di polizia
Anche la XV legislatura ha lasciato immutate le
lacune relative all'attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite
contro la Tortura (CAT): l'Italia resta priva di uno specifico reato
di tortura nel codice penale e da più parti sono state
autorevolmente segnalate le ricadute di questo inadeguato quadro
legale sulla possibilità che le forze di polizia rispondano
effettivamente del proprio operato.
Il rischio di impunità è aggravato dalla mancanza di forme di
identificazione dei singoli agenti di polizia durante le operazioni
di ordine pubblico e dall'assenza di organismi indipendenti di
monitoraggio. L'Italia non si è ancora dotata di un'istituzione
nazionale di monitoraggio sui diritti umani e di un organismo
indipendente di controllo sull'operato della polizia e non ha ancora
ratificato il Protocollo opzionale alla CAT, il quale imporrebbe
l'adozione di meccanismi di prevenzione.
Questo quadro desolante viene da anni segnalato da Amnesty
International (AI) alle autorità competenti e nel corso del 2007 è
stato nuovamente oggetto delle raccomandazioni del Comitato delle
Nazioni Unite contro la tortura.
Genova G8 2001: procedimenti in corso
Sono proseguiti i processi per le violenze
commesse nel corso del G8 del 2001 da agenti di polizia, personale
sanitario e agenti di polizia penitenziaria, denunciate in quei
giorni ed emerse successivamente.
A marzo 2007, la Corte europea per i diritti umani ha dichiarato
ammissibile il ricorso presentato per il caso di Carlo Giuliani, che
venne colpito a morte da un carabiniere durante le manifestazioni.
L'inchiesta in Italia era stata chiusa nel maggio 2003, quando il
giudice per le indagini preliminari aveva stabilito di non procedere
contro il carabiniere poiché, secondo il giudice, questi aveva
sparato per autodifesa e la traiettoria del proiettile era stata
deviata da un calcinaccio lanciato da un manifestante.
Nel processo per le violenze contro 93 manifestanti nell'irruzione
alla "scuola Diaz" (complesso scolastico Diaz-Pascoli-Pertini)
risultano imputati 28 agenti e funzionari di polizia, tra cui
Francesco Gratteri, attuale Direttore della direzione centrale
anticrimine della Polizia di Stato e Giovanni Luperi, ora a capo di
un dipartimento all'Aisi (ex Sisde). Durante le udienze succedutesi
negli ultimi mesi sono emersi elementi scioccanti relativi alle
violenze denunciate e sono stati descritti gli effetti delle stesse
sulla vita delle vittime. All'udienza del 13 giugno 2007, un
funzionario di polizia imputato nel processo, diversamente da quanto
dichiarato in precedenza, ha ammesso di aver assistito a gravi
violenze perpetrate dagli agenti nel corso dell'irruzione e ha
richiamato il ricordo di una ragazza con gravi lesioni alla testa,
da lui vista giacere in terra in una pozza di sangue. Il 6 luglio
2007 sono state depositate le registrazioni delle comunicazioni
telefoniche tra gli agenti di polizia impegnati nelle operazioni e
la centrale operativa del 113. In una di queste, riportata dai
media, si sente un'agente di polizia dire: "Ero a caricare le zecche
(...) speriamo che muoiano tutti (...) tanto uno è già...1-0 per
noi". Altre conversazioni telefoniche fanno riferimento ai feriti
durante l'irruzione alla scuola Diaz.
Nel medesimo procedimento si sono verificate irregolarità nella
conservazione di prove chiave per l'accertamento di responsabilità
delle forze di polizia. All'udienza del 17 gennaio 2007 si è infatti
appreso che le bottiglie molotov, portate secondo l'accusa alla
scuola Diaz dalla polizia per giustificare gli arresti, erano
sparite mentre si trovavano sotto sequestro; alcuni giorni dopo la
questura di Genova ha dichiarato che potrebbero essere state
distrutte "per errore". Sono inoltre emersi indizi che hanno
condotto, nel marzo 2008, alla richiesta di rinvio a giudizio per
incitamento alla falsa testimonianza di Gianni De Gennaro, Capo
della polizia all'epoca dei fatti. L'udienza preliminare nel corso
della quale si deciderà sul rinvio a giudizio inizierà il 16 giugno.
Gianni De Gennaro è stato Capo di Gabinetto del ministro
dell'Interno Amato ed è stato recentemente nominato Direttore del
Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (ufficio di
coordinamento dei servizi di intelligence).
Nel processo per le violenze nel carcere di Bolzaneto sono imputati
45 tra agenti e funzionari di polizia (incluso l'allora vice
Questore di Genova Alessandro Perugini), agenti e funzionari di
polizia penitenziaria e medici, per violenze nei confronti degli
oltre 250 manifestanti transitati dal carcere in stato d'arresto o
di fermo. A marzo 2008 i pubblici ministeri hanno presentato le
proprie richieste al giudice, con una significativa requisitoria.
Secondo i pubblici ministeri, il trattamento delle persone a
Bolzaneto è stato "di oggettiva vessazione nei confronti di tutti i
detenuti e per tutto il periodo della loro permanenza presso il
sito" e ha violato il divieto di tortura e maltrattamenti previsto
dalla Convenzione europea dei diritti umani. Oltre alle violenze
fisiche, i pubblici ministeri hanno ritenuto offensive della dignità
"le costrizioni ad ascoltare o pronunciare o gridare slogan, inni o
motivi inneggianti al nazismo ed al fascismo in particolare". Le
memorie dei pubblici ministeri hanno segnalato che, in mancanza di
un reato specifico nell'ordinamento penale, è difficile ricondurre i
fatti che costituirebbero tortura nelle fattispecie ordinarie. I
reati contestati agli imputati sono: abuso di autorità contro
arrestati o detenuti, abuso d'ufficio, ingiuria, violenza privata,
minacce, percosse e lesioni personali (e omissione di referto per i
medici). I pubblici ministeri hanno sottolineato l'assoluta
necessità di introdurre il reato di tortura nell'ordinamento
italiano.
Ad aprile e agosto 2007 il giudice civile ha condannato il ministero
dell'Interno a versare rispettivamente 5.000 euro di risarcimento a
Marina Spaccini e 18.000 euro a Simona Coda Zabetta, le quali furono
picchiate da agenti di polizia mentre manifestavano. Il ministero
dell'Interno ha proposto appello contro entrambe le sentenze.
Contrariamente a quanto richiesto da AI al fine di evitare il
diffondersi di un clima di impunità, nessuno dei funzionari e agenti
imputati nei processi è stato sospeso dal servizio. Diversi di loro
sono stati, di fatto, promossi.
I reati con cui sono perseguiti gli agenti di polizia sono soggetti
a prescrizione e lo scorrere del tempo porta con sé il forte rischio
che i processi si chiudano senza che nessuno venga ritenuto
penalmente colpevole, né di fatto punito, per gli atti commessi nel
luglio 2001.
Val di Susa 2005: procedimento in corso
Ad agosto 2007 il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Torino ha rigettato la richiesta
del pubblico ministero di archiviare il procedimento aperto dalle
denunce presentate da 20 persone, relative ad atti di violenza da
parte delle forze di polizia intervenute in Val di Susa nella notte
tra il 5 e il 6 dicembre 2005. In quell'occasione, alcune centinaia
di agenti di polizia intervennero per far sgomberare circa 100
persone che manifestavano contro la costruzione di un collegamento
ferroviario ad alta velocità. Secondo quanto riferito, i dimostranti
furono aggrediti e picchiati, alcuni di essi durante il sonno. Il
pubblico ministero aveva chiuso le indagini chiedendo
l'archiviazione sulla base dell'affermazione che gli agenti accusati
non potessero essere identificati, mentre il giudice ha chiesto un
supplemento di indagine.
La morte di Federico Aldrovandi:
procedimento in corso
Il 19 ottobre 2007 ha avuto inizio il processo
contro quattro agenti di polizia accusati dell'omicidio colposo di
Federico Aldrovandi, morto a Ferrara il 25 settembre 2005 dopo
essere stato fermato dai quattro agenti. Durante le indagini
preliminari, erano spariti e quindi riapparsi campioni di sangue
raccolti sul luogo in cui Federico Aldrovandi era morto, mentre sono
apparse alterate le registrazioni di telefonate ai servizi di
emergenza effettuate la notte del decesso.
La morte di Aldo Bianzino e di Gabriele
Sandri
Il 14 ottobre 2007 Aldo Bianzino, un falegname di
44 anni, è morto nel carcere di Capanne a Perugia, dove era stato
condotto in stato d'arresto due giorni prima assieme alla sua
compagna. La morte è avvenuta in circostanze oggetto di inchieste
giudiziarie. Nel febbraio 2008 il pubblico ministero ha chiesto
l'archiviazione del caso, sulla quale si attende il pronunciamento
del giudice.
Il 10 novembre 2007 Gabriele Sandri, un ragazzo di 26 anni, è stato
ucciso da un colpo d'arma da fuoco esploso da un agente della
polizia stradale, mentre si trovava in uscita da un autogrill in
auto con alcuni amici, assieme i quali era diretto a Milano per
seguire la partita della sua squadra in trasferta. Sul caso sono in
corso indagini da parte della magistratura.
Erosione dei diritti umani nella
"guerra al terrore": le scelte dell'Italia
Nel corso del 2007 e della prima metà del 2008 le
scelte dell'Italia circa il rispetto dei diritti umani nell'ambito
della lotta al terrorismo si sono mosse lungo linee analoghe a
quelle percorse negli anni precedenti. La politica del sospetto
applicata alle espulsioni e una tenace riluttanza a fare chiarezza
sugli abusi commessi in nome della "guerra al terrore" hanno
caratterizzato l'approccio delle autorità di governo. In quest'ambito,
l'Italia ha anche contribuito a mettere a rischio la tenuta del
principio internazionale che impone il divieto assoluto di tortura.
Rendition
Il governo Italiano non ha collaborato pienamente
alle indagini degli organismi internazionali che hanno accertato
precise responsabilità dell'Italia nelle rendition (trasferimenti
illegali di persone da un paese all'altro, generalmente culminanti
in arresti arbitrari, sparizioni, detenzione senza processo e
tortura).
Tre casi di rendition denunciati da un'indagine del Parlamento
europeo chiamano in causa l'Italia: Abu Omar (rapito a Milano nel
2003), Maher Arar (condotto nel 2002 verso la Siria da un volo Cia
per Amman con scalo a Ciampino) e Abou El Kassim Britel (cittadino
Italiano arrestato in Pakistan nel 2002 e tuttora imprigionato in
Marocco). L'indagine, realizzata dalla Commissione temporanea del
Parlamento europeo (Tdip), ha condotto il 30 gennaio 2007 alla
pubblicazione del rapporto sul "presunto utilizzo di paesi europei
da parte della Cia per il trasporto e la detenzione illegali di
persone" (relatore: on. Claudio Fava) secondo il quale tra il 2001 e
il 2005 gli aerei legati alla CIA hanno fatto scalo almeno 1245
volte nei paesi europei. Il rapporto ha documentato che gli aerei
della Cia hanno fatto scalo in Italia 46 volte, toccando 15
aeroporti: Pisa, Roma, Sigonella (Catania), Napoli, Bari, Firenze,
Venezia, Palermo, Milano, Brindisi, Cagliari, Catania, Olbia,
Genova, Montichiari (Brescia). Le autorità di governo responsabili
dei servizi segreti al momento dell'indagine (Governo Prodi: on.
Enrico Micheli, allora Sottosegretario alla presidenza del Consiglio
e on. Enzo Bianco, allora presidente del Comitato parlamentare di
controllo sui servizi segreti) e quelle del precedente Governo
Berlusconi (Gianni Letta, allora Sottosegretario alla presidenza del
Consiglio) hanno rifiutato di incontrare la commissione, scelta
deplorata dal Parlamento Europeo nella risoluzione del 14 febbraio
2007.
L'8 giugno 2007 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa
(Pace) ha adottato il secondo rapporto del Senatore Dick Marty sulle
"detenzioni segrete e i trasferimenti illegali di detenuti che
coinvolgono Stati membri del Consiglio d'Europa". Anche questo
documento critica le scelte del governo italiano in merito
all'accertamento della verità sul rapimento di Abu Omar.
I casi di Abu Omar, Maher Arar, Abou El
Kassim Britel
Le indagini della magistratura italiana e l'avvio
del processo sul coinvolgimento di funzionari di intelligence
italiani e statunitensi nella rendition di Abu Omar stanno
contribuendo a svelare la verità per mezzo della giustizia.
Il 16 febbraio 2007 il giudice Caterina Interlandi, accogliendo la
richiesta dei pubblici ministeri Armando Spataro e Ferdinando
Pomarici, ha rinviato a giudizio 26 cittadini Usa per lo più
presunti agenti della Cia e 7 funzionari del Sismi per il rapimento
dell'imam egiziano Abu Omar, prelevato a Milano il 17 febbraio 2003
e trasferito in Egitto, ove è stato detenuto arbitrariamente e,
secondo quanto da lui dichiarato, sottoposto a torture. Tra i
funzionari Italiani rinviati a giudizio, Nicolò Pollari e Marco
Mancini, rispettivamente direttore e alto funzionario del Sismi al
momento del rapimento. Il maresciallo dei carabinieri Luciano Pironi
e il giornalista Renato Farina, diversamente coinvolti, hanno
patteggiato la pena, mentre altri funzionari, per i quali era stata
chiesta l'archiviazione, sono stati successivamente rinviati a
giudizio.
Due giorni prima del rinvio a giudizio, l'allora presidente del
Consiglio Romano Prodi ha promosso un ricorso per conflitto di
attribuzioni davanti alla Corte costituzionale, sostenendo che la
Procura di Milano avesse invaso i poteri attribuiti al governo,
apprendendo documenti coperti da segreto di stato e ottenendo
l'autorizzazione a intercettare utenze telefoniche del Sismi. Un
ricorso simile è stato presentato nei confronti del Giudice per le
indagini preliminari. Nei due ricorsi si chiede rispettivamente
l'annullamento della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto
che dispone il giudizio. Procedimento analogo e opposto è stato
promosso nei confronti del governo dalla Procura.
L'8 giugno 2007 si è aperto il processo penale, ma dopo pochi giorni
il giudice ha deciso di sospenderlo in attesa della decisione della
Corte costituzionale, così accogliendo una richiesta presentata da
Pollari e dagli altri imputati. La sospensione, non obbligatoria, è
stata motivata con ragioni di economia processuale, in
considerazione della potenziale inutilizzabilità di alcune prove a
seguito del giudizio costituzionale. La Corte costituzionale ha
dichiarato ammissibili i ricorsi e ha fissato un'udienza per gennaio
2008, poi rinviata all'ultimo momento apparentemente in vista di una
possibile "risoluzione concordata del conflitto" tra Governo e
Procura, sinora non realizzatasi. In seguito, l'udienza di
discussione dei tre citati ricorsi innanzi alla Corte Costituzionale
è stata fissata per l'8 luglio 2008.
Il 19 marzo 2008 il giudice di Milano ha deciso che il processo per
il rapimento di Abu Omar dovesse ripartire. Il riavvio del processo
agli agenti statunitensi e italiani accusati di coinvolgimento in
questo paradigmatico caso di rendition rappresenta un importante
passo in avanti per l'accertamento della verità e delle
responsabilità. Il 13 maggio 2008 si è tenuta un'udienza nel corso
della quale è stata ascoltata la moglie di Abu Omar, Nabila Ghali e
il giudice ha ammesso a testimoniare Romano Prodi e Silvio
Berlusconi. La prossima udienza è prevista per il 28 maggio.
Gli imputati statunitensi sono tutti contumaci e il ministro della
Giustizia durante la XV Legislatura, Clemente Mastella, non ha mai
risposto alla richiesta della Procura di Milano di inoltrare al
Governo Usa le richieste di estradizione dei 26 agenti, nonostante
sollecitazioni giuntegli in tal senso dal Parlamento europeo, dal
Consiglio d'Europa e da AI, organizzazione i cui rappresentanti il
ministro non ha voluto incontrare.
Con la citata risoluzione del 14 febbraio 2007, il Parlamento
europeo ha deplorato "il fatto che il generale Nicolò Pollari, già
direttore del Sismi, abbia nascosto la verità" alla Commissione e si
è rammaricato che il rapimento di Abu Omar abbia messo a rischio le
indagini sulla rete terroristica a cui Abu Omar era collegato. Dal
canto suo, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (Pace) ha
criticato la scelta del governo Italiano di ostacolare la ricerca
della verità sul caso di Abu Omar attraverso l'invocazione del
segreto di stato e ha stigmatizzato la scelta dell'Italia di
preservare "ad ogni costo" le relazioni con gli Usa.
Il Parlamento europeo ha inoltre deplorato il coinvolgimento
dell'Italia nella rendition di Maher Arar, cittadino canadese di
origini siriane condotto in Siria con un volo della Cia per la
Giordania, che fece scalo a Ciampino l'8 ottobre del 2002. In Siria
Maher Arar è stato detenuto per un anno e ripetutamente torturato;
diverso tempo dopo la liberazione e il ritorno in Canada ha ottenuto
le scuse e un risarcimento dal suo governo per quanto accadutogli.
Da informazioni pubblicamente disponibili, sul caso risulta essere
in corso un'indagine della procura di Roma.
Oggetto dell'indagine del Parlamento europeo anche il caso di Abou
El Kassim Britel, cittadino italiano arrestato in Pakistan nel marzo
2002 dalla polizia pakistana, interrogato da agenti statunitensi e
pakistani e successivamente consegnato alle autorità marocchine.
Secondo la documentazione trasmessa alla Commissione dall'avvocato
di Britel, dopo l'arresto il ministero dell'Interno italiano era
stato in "costante cooperazione" con i servizi segreti stranieri.
Abou El Kassim Britel è tuttora detenuto in Marocco. Le indagini
della magistratura italiana nei suoi confronti si sono chiuse senza
alcuna incriminazione.
Gli effetti delle espulsioni
antiterrorismo del "decreto Pisanu" e l'intervento della Corte
europea dei diritti umani
Nonostante le richieste del Comitato delle
Nazioni Unite contro la tortura (Conclusioni del 18 maggio 2007),
l'Italia ha mantenuto pressoché immutate le norme sull'espulsione
contenute dalla Legge 155/05, il cosiddetto "decreto Pisanu",
riguardante misure urgenti per la lotta al terrorismo. Esse
prevedono l'espulsione di migranti regolari e irregolari sulla base
di una vaga definizione del rischio da essi posto ( "fondati motivi
di ritenere" che la loro "permanenza nel territorio dello Stato
possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività
terroristiche") e senza tutela efficace contro il rimpatrio forzato
in paesi in cui rischiano la tortura e altre violazioni gravi. La
legge non presuppone necessariamente che la persona espulsa sia
stata condannata o accusata di un reato - di natura terroristica o
meno - né che l'espulsione venga convalidata da un giudice. Il
ricorso contro l'espulsione non ne sospende l'esecuzione.
Il 28 febbraio 2008 la Corte europea dei diritti umani ha
definitivamente annullato il provvedimento di espulsione nei
confronti del cittadino tunisino Nassim Saadi, emesso dall'Italia
nell'agosto 2006 sulla base del "decreto Pisanu" e allora sospeso in
via cautelare e urgente dalla stessa Corte. Quest'ultima, nel
definire il caso, ha ritenuto che dai rapporti di AI, ritenuti
credibili, coerenti e corroborati da numerose altre fonti, emerge
"un rischio concreto" che Saadi sarebbe sottoposto a tortura o ad
maltrattamenti in caso di rientro in Tunisia. L'allora ministro
Mastella si era recato nel maggio 2007 in Tunisia per chiedere c.d.
"assicurazioni diplomatiche" che Nassim Saadi non sarebbe stato
sottoposto a tortura e maltrattamenti, "assicurazioni" poi prodotte
nel procedimento a suffragio della richiesta alla Corte di non
annullare l'espulsione. L'Italia aveva inoltre sostenuto, con il
supporto del Regno Unito intervenuto nel giudizio, che nella
valutazione sull'espulsione il rischio corso dalla persona di essere
sottoposta a tortura e altri abusi dovesse essere controbilanciato
dal rischio posto da questa. La Corte ha rigettato questa teoria del
"bilanciamento" e ha riaffermato la natura assoluta del divieto di
tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti, principio
messo a rischio (nella sua stessa essenza e non soltanto rispetto al
tema dell'espulsione) dalle tesi sostenute dall'Italia.
Nonostante ripetute richieste di AI, l'allora ministro dell'Interno
Amato non ha annullato l'espulsione da lui emessa nei confronti di
Cherif Foued Ben Fitouri, rimpatriato in Tunisia il 4 gennaio 2007
sulla base delle norme del pacchetto Pisanu. Dopo l'arrivo in
Tunisia Ben Fitouri, che ha moglie italiana e tre bambine, è stato
trattenuto in detenzione segreta per oltre 12 giorni e in seguito
incarcerato e sottoposto a processo sulla base della legge
antiterrorismo tunisina. Secondo informazioni ricevute da AI egli è
stato sottoposto a tortura e maltrattamenti mentre sua moglie e le
sue bambine, in Italia, hanno scontato gli effetti della sua
prolungata assenza.
Rom e migranti: discriminazione,
xenofobia e provvedimenti sulla "sicurezza"
Nel corso del 2007 e della prima metà del 2008,
diversi esponenti politici locali e nazionali hanno usato un
linguaggio discriminatorio nei confronti dei rom e dei migranti.
Nello stesso periodo si sono susseguiti provvedimenti
dichiaratamente a protezione della "sicurezza", in realtà
prevalentemente orientati a facilitare l'espulsione dei cittadini
dell'UE e dei migranti irregolari.
Discriminazione e xenofobia
Il 31 ottobre 2007 è stata aggredita e uccisa a
Roma una donna di 47 anni, Giovanna Reggiani; dell'omicidio è
accusato un cittadino rumeno, da alcuni ritenuto appartenere alla
minoranza rom. All'episodio sono subito seguite dichiarazioni di
esponenti politici locali e nazionali che alludevano a
responsabilità collettive di minoranze e gruppi di migranti.
Nelle ore immediatamente successive al crimine, gli organi di
informazione hanno riportato le dichiarazioni del segretario del
Partito Democratico e allora sindaco di Roma Walter Veltroni,
secondo le quali "prima dell'ingresso della Romania nell'Unione
europea, Roma era la metropoli più sicura del mondo", e ancora: "Se
si sta in Europa bisogna starci a certe regole: la prima non può
essere quella di aprire i boccaporti e mandare migliaia di persone
da un Paese europeo all'altro".
In un'intervista rilasciata il 4 novembre successivo l'on.
Gianfranco Fini, presidente di Alleanza Nazionale, ha dichiarato:
"C'è chi non accetta di integrarsi, perché non accetta i valori e i
principi della società in cui risiede" e ha così risposto alla
giornalista che gli chiedeva se si stesse riferendo ai rom: "Sì, mi
chiedo come sia possibile integrare chi considera pressoché lecito e
non immorale il furto, il non lavorare perché devono essere le donne
a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire
bambini o di generare figli per destinarli all'accattonaggio.
Parlare di integrazione per chi ha una 'cultura' di questo tipo non
ha senso". Negli stessi giorni sono state riportate queste
dichiarazioni del prefetto di Roma Carlo Mosca: "Firmerò subito i
primi decreti di espulsione. La linea dura è necessaria perché di
fronte a delle bestie non si può che rispondere con la massima
severità".
Il 6 novembre 2007 l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati (Unhcr) ha espresso preoccupazione per il clima di
intolleranza manifestatosi in quei giorni e per lo "stato di
tensione nei confronti degli stranieri alimentato negli anni anche
da risposte demagogiche alle tematiche dell'immigrazione messe in
atto dalla politica"; il giorno seguente il presidente
dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha messo in
guardia l'Italia circa il rischio di una "caccia alle streghe"
contro i cittadini rumeni e in particolare contro i rom.
Nei mesi successivi sono state riferite molteplici dichiarazioni
analoghe di esponenti dei diversi schieramenti politici di livello
nazionale o locale.
Nel dicembre 2007 gli organi di stampa hanno riportato le
affermazioni di un consigliere comunale del Comune di Treviso che
invocava "metodi da SS per gli immigrati che recano disturbo",
mentre più di recente un deputato della Lega Nord ha affermato:
"Storicamente contro le invasioni ogni Stato ha sempre utilizzato il
proprio esercito per difendersi. Oggi la storia si ripete: siamo
sotto un diverso tipo di invasione, attuata con metodi diversi, ma
per gli stessi motivi, ovvero soggiogarci a leggi altrui o depredare
i nostri beni".
Nel corso del 2007 e sino al maggio 2008 si sono verificati attacchi
violenti ad accampamenti rom in diverse città, tra cui Appignano -
Ascoli Piceno (aprile 2007), Roma (settembre 2007), Torino (ottobre
2007) e Ponticelli - Napoli (maggio 2008). Sono state anche
segnalate dagli organi di informazione diverse aggressioni ai danni
di immigrati romeni e di altre nazionalità, tra cui i recentissimi
episodi che hanno colpito a Roma, nel quartiere Pigneto, cittadini
del Bangladesh.
A marzo 2008, il Comitato delle Nazioni Unte per l'eliminazione
della discriminazione razziale (CERD/C/ITA/CO/15) ha espresso
preoccupazione per le condizioni di "segregazione di fatto" in cui
si trovano i rom in Italia, privi di accesso ai servizi essenziali,
e per i discorsi di odio dei politici. Il Comitato ha evidenziato
gli stereotipi riguardanti i rom diffusi nell'opinione pubblica e
presso i Comuni, i quali danno origine a ordinanze discriminatorie.
Preoccupazione è stata espressa anche rispetto alla situazione dei
migranti irregolari.
Il 16 maggio 2008, a seguito dei citati attacchi incendiari avvenuti
a Ponticelli, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti
umani dell'Osce ha espresso preoccupazione per l'aumento della
retorica anti-rom e anti-immigrati verificatasi negli ultimi mesi e
ha ricordato che la ricorrente stigmatizzazione di questi gruppi
aumenta le probabilità che si verifichino violenze.
Il 20 maggio 2008 la European Roma Policy Coalition, di cui AI fa
parte, ha chiesto con urgenza alle autorità italiane di agire contro
l'uso di dichiarazioni anti-rom da parte media e dei politici
italiani e ha affermato che l'Italia ha alimentato il razzismo
attraverso la retorica anti-rom.
Provvedimenti sulla "sicurezza"
Nonostante le indagini sui centri di detenzione
per migranti da parte del ministero dell'Interno, all'esito delle
quali erano state avanzate ipotesi di ridimensionamento dell'uso
della detenzione, le modifiche intervenute durante la XV legislatura
in materia di soggiorno ed espulsione di cittadini stranieri non si
sono occupate di riavvicinare la normativa agli standard
internazionali sui diritti umani, ma hanno piuttosto introdotto
restrizioni dichiaratamente miranti alla "sicurezza". Il disegno di
legge Amato - Ferrero si è arenato in Parlamento dopo poche sedute,
lasciando la legge c.d. Bossi-Fini pressoché immutata nei suoi
aspetti più preoccupanti, come l'utilizzo generalizzato della
detenzione a scopo di espulsione senza la previsione di alcuna
alternativa.
Il decreto legislativo 32 del 2 marzo 2008 ha introdotto restrizioni
al soggiorno dei cittadini Ue, ampliando i casi di espulsione.
Queste modifiche sono l'esito dell'emanazione consecutiva di più
atti normativi, a partire dal decreto legge 181 del 2 novembre 2007
adottato dal Consiglio dei ministri riunitosi in via straordinaria a
seguito dell'omicidio di Giovanna Reggiani, decreto poi decaduto e
"reiterato" con modifiche a dicembre 2007. Entrambi i decreti sono
stati oggetto di critiche da parte di AI e di altre organizzazioni
non governative per la forte indeterminatezza dei nuovi motivi di
espulsione dei cittadini Ue, in particolare i "motivi imperativi di
pubblica sicurezza", lasciati scarsamente definiti nella norma e
quindi fonte di un'eccessiva discrezionalità delle autorità chiamate
ad applicarle, tra cui i prefetti. I contenuti della decretazione
d'urgenza sono infine confluiti nel citato D.Lgs.
32/2008 che, migliorando il testo originario, ha introdotto la
necessità di convalida del giudice ordinario per tutti i
provvedimenti di espulsione. Restano non ancorati a parametri legali
certi i presupposti dell'espulsione.
Nel corso del primo consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 il
governo Berlusconi in carica ha approvato un insieme di modifiche e
proposte normative, anch'esse nominalmente riferite alla
"sicurezza", che prevedono pesanti restrizioni e nuove figure di
reato le quali colpiscono soprattutto gli immigrati, direttamente o
indirettamente.
Il giorno stesso il ministro dell'interno Maroni ha così potuto
annunciare l'introduzione del "reato di immigrazione clandestina,
con una procedura rapida di giudizio e di espulsione (...) e il
trattenimento nei CPT fino a 18 mesi, anticipando una direttiva
europea" attualmente in discussione.
Le nuove misure sono state accompagnate da diverse dichiarazioni in
linea con la tendenza segnalata a stigmatizzare interi gruppi di
persone, in particolare i rom e i migranti irregolari; il leader
dell'opposizione Walter Veltroni ha dichiarato che queste misure in
larga parte coincidono con quelle pianificate dalla precedente
maggioranza di governo.
Il cosiddetto "pacchetto sicurezza" più precisamente include:
- un decreto legge che punisce con la
reclusione e la confisca del bene chi affitta un immobile a un
immigrato irregolare, attribuisce più ampi poteri ai sindaci in
materia di "ordine e sicurezza pubblica" e rende una circostanza
aggravante di qualsiasi reato quella di essere stato commesso da
un immigrato irregolare;
- un disegno di legge che propone di
considerare reato l'ingresso e il soggiorno irregolare in Italia
e intende portare a 18 mesi il tempo massimo della detenzione
nei centri a scopo di espulsione (ora di 60 giorni);
- una bozza di decreto legislativo che
prevede la cancellazione dell'effetto sospensivo
dell'espulsione, recentemente attribuito al ricorso contro lo
status di rifugiato ; altre due bozze di decreti legislativi che
inaspriscono le norme relative ai ricongiungimenti familiari e
al soggiorno dei cittadini Ue.
Hanno espresso allarme per la riforma normativa
molte organizzazioni non governative italiane e internazionali e lo
stesso Unhcr, il quale ha sottolineato come i richiedenti asilo,
spesso costretti dalla mancanza di alternative a fare ingresso
irregolarmente nei paesi dove cercano protezione, potrebbero venire
accusati di aver commesso un reato.
AI è estremamente allarmata per il contenuto di queste misure, per
le modalità affrettate e propagandistiche della loro emanazione e
per il clima di discriminazione che le ha precedute e che le
accompagna. L'incriminazione dei richiedenti asilo per ingresso
irregolare è peraltro espressamente escluso dalla Convenzione di
Ginevra sullo status dei rifugiati.
Diritti dei rifugiati e dei minori
migranti
Miglioramenti legislativi e rischiosi
passi indietro
Alcuni miglioramenti sono stati introdotti nel
2007 nella normativa e nella prassi in materia di asilo e rispetto
ai minori migranti giunti alla frontiera. Essi tuttavia vengono ora
messi a rischio dalle proposte di riforma incluse nel citato
"pacchetto sicurezza", che intervengono in un quadro ancora privo di
una legge organica sull'asilo.
A seguito della chiusura della propria campagna Invisibili a giugno
del 2007, che ha raccolto 50.000 firme e si è articolata in oltre
200 iniziative nel corso di 16 mesi, AI ha segnalato i miglioramenti
intervenuti relativamente ai minori giunti in Italia via mare. Tra
essi la drastica riduzione dei tempi di detenzione dei minori non
accompagnati all'arrivo, l'emanazione di regole di identificazione
che ancorano l'identificazione al principio di presunzione della
minore età in caso di dubbio e la pubblicazione dei dati relativi
agli arrivi dei minori via mare, i quali hanno mostrato la loro
forte presenza all'interno di quelli che, con gergo militaresco,
vengono definiti "sbarchi" di immigrati. Nel 2007 i minori hanno
rappresentato oltre il 10,5 % degli arrivi via mare.
Agli inizi del 2008, la materia dell'asilo è stata profondamente
modificata con l'entrata in vigore di due decreti legislativi
emanati dal Governo a novembre 2007, in attuazione di altrettante
direttive Ue, rispettivamente il D. Lgs 251/2007 sulla qualifica di
rifugiato entrato in vigore il 19 gennaio 2008 e il D. Lgs. n.
25/2008 sulle procedure di asilo, entrato in vigore il 2 marzo 2008.
I due decreti hanno introdotto alcuni importanti miglioramenti, tra
cui l'effetto sospensivo dell'espulsione determinato dalla
presentazione del ricorso contro il diniego della domanda di asilo
(effetto sin ad allora escluso, con gravi rischi in caso di
rimpatrio forzato del richiedente asilo la cui domanda fosse stata
erroneamente rigettata in prima istanza).
Come si è detto le modifiche delle norme prospettate nel citato
"pacchetto sicurezza" includono la cancellazione dell'effetto
sospensivo e quindi rappresenterebbero un pericoloso passo indietro,
ripristinando, ad appena tre mesi dall'adozione di nuove norme
ancora non applicate, una situazione in cui il richiedente asilo la
cui domanda sia respinta in prima istanza rischia di essere
rimpatriato senza alcun vaglio sui rischi corsi e quindi in
violazione del principio di non-refoulement.
Inoltre, in caso di un generale inasprimento delle norme sulla
detenzione, i minori, in particolare se al seguito di genitori
irregolari, non sarebbero al riparo dai rischi.
La collaborazione tra Italia e Libia in
materia di contrasto all'immigrazione
È proseguita la collaborazione con la Libia in
materia di contrasto all'immigrazione irregolare sulla base di
accordi segreti e senza che alcuna condizione venisse posta
dall'Italia in materia di rispetto dei diritti umani. La Libia non
ha ratificato la Convenzione sullo status di rifugiato, non ha una
procedura di asilo e si macchia ogni anno di gravi violazioni dei
diritti dei rifugiati e dei migranti, tra cui la detenzione
arbitraria e le violenze contro i migranti detenuti, comprese le
donne. Gli intensi rapporti diplomatici tra i due paesi hanno
condotto il 29 dicembre 2007 a un accordo bilaterale che prevede il
pattugliamento marittimo congiunto attraverso un nucleo operativo
italo-libico a comando libico, per mezzo di sei navi della Guardia
di Finanza fornite dall'Italia, senza che venga chiarito cosa debba
accadere alle persone, migranti e rifugiati, respinte in mare dalle
unità navali.
L'Italia ha ultimato e consegnato al governo libico una struttura a
Gharyan destinata, secondo quanto dichiarato dal ministero
dell'Interno nel luglio 2007, "a scuola per l'addestramento e la
formazione degli allievi agenti della polizia libica, nell'ambito
dei rapporti di collaborazione delle forze di polizia", mentre non
si hanno notizie precise circa il centro previsto a Kufra e definito
dallo stesso ministero dell'Interno un "centro sanitario di
frontiera".
La lettera con cui AI chiedeva all'allora ministro Amato chiarimenti
circa un'operazione realizzata in Libia con la collaborazione di
personale italiano di pubblica sicurezza nei confronti di 190
migranti sudanesi, eritrei, etiopi e di altre nazionalità, tra cu 17
donne e 3 bambini, è rimasta senza risposta.
Con il decreto legge di rifinanziamento delle missioni italiane
all'estero, il governo Prodi ha destinato alla collaborazione con la
Libia oltre 6 milioni e 200 mila di euro. Il decreto è stato
convertito in legge dal Parlamento il 13 marzo 2008.
Commercio di armi e bambini soldato
Sussiste una preoccupante disomogeneità delle
norme che regolano le esportazioni di armi da guerra e delle piccole
armi ad uso civile.
Il commercio delle armi leggere e di piccolo calibro (fucili,
pistole, munizioni ed esplosivi), le più diffuse nei conflitti in
cui sono utilizzati bambini come soldati, non rientra nell'ambito
della disciplina della Legge 185/1990, che contiene severe
disposizioni procedurali per l'esportazione, l'importazione ed il
transito di armi ad uso bellico verso paesi terzi, ma è
regolamentato dalla Legge 110/1975 la quale, al contrario, non
prevede limiti alle esportazioni sulla base dello standard dei
diritti umani del paese importatore e del coinvolgimento del paese
stesso in una guerra interna o internazionale. È quindi ammesso e
possibile che l'Italia venda armi leggere a soggetti privati o a
governi di paesi in cui persone con meno di 18 anni partecipano alle
ostilità come parte di eserciti o di gruppi armati. Nel gennaio
2008, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha reso pubblico il
Rapporto Annuale 2007, destinato all'attenzione del Consiglio di
Sicurezza, in cui si conferma il reclutamento e l'utilizzo di
bambini soldato in diversi paesi già segnalati nel 2006, tra cui:
Burundi, Ciad, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Nepal,
Filippine, Uganda e Afghanistan.
Da un'analisi dei dati disponibili si rileva che, tra il 2002 e il
2007, l'Italia ha autorizzato l'esportazione di armi leggere e di
piccolo calibro verso soggetti privati o statali delle Filippine per
€ 7.169.863, in Afghanistan per € 3.189.346, e in Colombia per €
1.027.196, nonché verso soggetti privati o statali, nella Repubblica
Democratica del Congo per € 179.582, in Nepal per € 18.321, in
Uganda per € 10.088, in Burundi per € 9.017, e in Ciad per € 1.756.
Inoltre, nonostante gli elevati standard sui diritti umani
contemplati dalla Legge 185/1990, non sempre le autorizzazioni
all'esportazione di armi hanno effettivamente evitato che queste
finissero a governi di paesi in cui i bambini vengono utilizzati
come soldati. L'Italia, tra il 2002 e il 2006, ha infatti venduto
armi alle forze armate delle Filippine per 1,6 milioni di euro e
della Colombia per 2,3 milioni di euro.
Tutto ciò avviene in aperto e palese contrasto con gli impegni
assunti a livello internazionale: in particolare, in occasione della
candidatura italiana a componente del nuovo Consiglio delle Nazioni
Unite sui diritti umani per il triennio 2007-2010, il governo
italiano si è impegnato a tutelare i diritti dell'infanzia,
specialmente dei minori coinvolti nei conflitti armati e a settembre
2007 il ministero degli Affari esteri ha presentato uno speciale
"Minori soldato una sfida ancora aperta" in cui si evidenziava il
ruolo dell'Italia nel contrastare l'utilizzo dei bambini soldato.
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