<<Non riesco a convincermi -
scrisse Charles Darwin - che un Dio buono e onnipotente abbia potuto
creare gli icneumonidi facendo deliberatamente in modo che si
nutrissero del corpo dei bruchi ancora vivi>>. Anche altri gruppi di
imenotteri, per esempio gli sfecidi studiati dal naturalista
francese Jean Henri Fabre, hanno la macabra abitudine degli
icneumonidi.
Fabre scrisse che prima di deporre l'uovo in un bruco (o in una
cavalletta o in un'ape), gli sfecidi introducono con precisione il
pungiglione in ogni ganglio del sistema nervoso centrale della preda
per paralizzarla, senza tuttavia ucciderla. In questo modo la carne
si conserva fresca per la larva che nascerà. Non si sa se la
paralisi abbia effetto anestetico generale o se, come il curaro, si
limiti a bloccare i movimenti della vittima. Nel secondo caso, la
preda potrebbe rendersi conto di essere mangiata viva da dentro, ma
non riuscirebbe a muovere un muscolo per evitarlo. Questa sembra
un'orribile crudeltà, ma come vedremo la Natura non è crudele, è
solo inesorabilmente indifferente. Per noi uomini questo è uno dei
fatti più difficili da comprendere: non sappiamo accettare qualcosa
che non sia nè buono nè cattivo, nè crudele nè pietoso, ma
semplicemente insensibile, indifferente a ogni sofferenza e privo di
qualunque finalità.
La finalità è radicata nella nostra visione del mondo: di fronte a
qualunque cosa ci è difficile non chiederci a quale scopo è stata
fatta, quale potrebbe essere la ragione o il fine che vi si cela. La
tendenza a vedere un fine in ogni cosa è naturale in un animale che
vive circondato da macchine, opere d'arte, strumenti e altri
manufatti; un animale per di più, i cui pensieri, per lo meno da
sveglio, sono dominati da scopi, obiettivi e programmi.
Benchè di fronte a un'automobile, a un apriscatole, a un cavatappi o
a un forcone sia legittimo chiedersi a che cosa serva, il semplice
fatto di poter formulare una domanda non significa che essa sia
legittima o sensata. Vi sono molte cose per le quali si può chiedere
<<che temperatura ha?>> oppure <<di che colore è?>>, ma non si può
chiedere la temperatura o il colore, per esempio, della gelosia o
della preghiera. Analogamente è giusto chiedersi <<a che scopo?>> a
proposito dei parafanghi di una bicicletta o della diga di Kariba;
ma non si deve credere che la stessa domanda abbia senso quando la
si ponga a proposito di un masso, di una disgrazia, del monte
Everest o dell'universo. Certe domande sono semplicemente assurde,
per quanto benintenzionato sia chi le formula.
In una posizione intermedia fra i tergicristalli e gli apriscatole,
da un parte, le rocce e l'universo, dall'altra, si situano gli
esseri viventi. I corpi degli esseri viventi e i loro organi sono
oggetti che, a differenza delle rocce, sembrano portare in sé la
finalità.
Naturalmente è ben noto che l'apparente finalismo degli esseri
viventi ha improntato le concezioni dei teologi, da san Tommaso d'Aquino
all'inglese William Paley. Quest'ultimo, per esempio, sosteneva in
pieno Settecento che se un oggetto relativamente semplice come un
orologio postula un orologiaio, allora le creature viventi, che sono
tanto più complesse, devono per forza essere state create da Dio.
Anche i moderni creazionisti <<scientifici>> aderiscono a questo
argomento del divino Architetto.
Oggi si capisce bene per quale meccanismo tutto ciò che riguarda la
vita (ali, occhi, becchi, istinto di nidificazione e quant'altro)
dia la tenace illusione del progetto finalistico: questa illusione è
dovuta alla selezione naturale di Darwin. Darwin capì che gli
organismi che vediamo esistono perchè i loro antenati possedevano
caratteri che permisero a loro e alla loro progenie di prosperare,
mentre gli altri individui meno adatti morirono lasciando pochi o
punti discendenti.
E' sorprendente che abbiamo cominciato a capire l'evoluzione solo da
pochissimo tempo, non più di un secolo e mezzo. Prima di Darwin,
anche le persone colte, che non si domandavano più <<a che scopo>>
di fronte a rocce, torrenti ed eclissi, ritenevano comunque
legittimo porre questa domanda a proposito degli esseri viventi.
Oggi solo chi non abbia alcuna cultura scientifica potrebbe nutrire
una curiosità del genere. Ma questo <<solo>> non faccia dimenticare
che stiamo comunque parlando della maggioranza assoluta della
popolazione mondiale.
Darwin riteneva che la selezione naturale favorisse gli individui
più adatti a sopravvivere e a riprodursi. Ciò equivale a dire che la
selezione naturale favorisce quei geni che si replicano per molte
generazioni. Benchè le due formulazioni siano più o meno
equivalenti, il <<punto di vista del gene>> presenta molti vantaggi,
che risultano evidenti quando si considerino due concetti tecnici:
l'ingegneria inversa e la funzione di utilità.
L'ingegneria inversa è una tecnica di ragionamento che procede in
questo modo: supponiamo che un ingegnere si imbatta in un manufatto
che non riesce a comprendere; allora fa l'ipotesi di lavoro che esso
sia stato costruito per qualche scopo. Quindi smonta e analizza
l'oggetto, tentando di immaginare quale funzione esso potrebbe
avere: <<Se avessi voluto costruire una macchina per fare questa
determinata cosa, l'avrei fatta così? Oppure per spiegare l'oggetto
è meglio immaginare che esso sia stato costruito per fare quest'altra
cosa?>>.
Oggi, nell'era dell'elettronica, il regolo calcolatore, che fino a
tempi recenti è stato il talismano dell'onorata professione
dell'ingegnere, è superato quanto un vestigio dell'Età del Bronzo.
Un archeologo del futuro che trovasse un regolo calcolatore e se ne
chiedesse lo scopo, noterebbe forse che si presta tanto a tracciare
linee rette quanto a imburrare una fetta di pane. Ma in un semplice
righello o in una spatola non ci sarebbe bisogno di quell'elemento
scorrevole al centro. Inoltre le sue precise scale logaritmiche sono
disegnate con troppa esattezza per essere accidentali.
All'archeologo verrebbe in mente che in un'era in cui non fossero
esistiti ancora i calcolatori elettronici quest'oggetto avrebbe
costituito un ingegnoso strumento per eseguire con rapidità
moltiplicazioni e divisioni. Il mistero del regolo calcolatore
sarebbe quindi risolto grazie all'ingegneria inversa, in base a una
ipotesi di progetto intelligente ed economico.
<<Funzione di utilità>> è un termine tecnico proveniente non
dall'ingegneria bensì dall'economia e significa <<ciò che viene
massimizzato>>. I pianificatori economici e gli ingegneri sociali si
comportano più o meno come gli architetti e gli ingegneri meccanici,
perchè si sforzano di ottimizzare qualcosa. Gli utilitaristi
perseguono <<la massima felicità per il massimo numero di persone>>.
Altri mirano dichiaratamente ad accrescere la propria felicità a
spese del benessere comune.
Se si applicasse l'ingegneria inversa alla politica di governo di un
certo paese, si potrebbe magari concludere che le variabili che
vengono ottimizzate sono l'occupazione e il benessere universali.
Per un altro paese la funzione di utilità potrebbe essere la
permanenza al potere del presidente, le ricchezza della famiglia
regnante, la consistenza dell'harem del sultano, la stabilità del
Medio Oriente o quella del prezzo del petrolio. Il punto è che si
possono immaginare parecchie funzioni di utilità. Che cosa cerchino
di conseguire gli individui, le aziende o i governi non è sempre
evidente.
Torniamo agli organismi viventi e cerchiamo di identificare la loro
funzione di utilità. Ve ne possono essere molte, ma alla fine si
scoprirebbe che si riducono tutte a una sola. Una maniera istruttiva
di vivacizzare la nostra indagine consiste nell'immaginare che le
creature viventi siano state costruite da un divino Ingegnere e
tentare, mediante l'ingegneria inversa, di scoprire ciò che
l'Ingegnere ha cercato di rendere massimo: cioè la <<funzione di
utilità di Dio>>. I ghepardi dimostrano sotto tutti i punti di vista
di essere magnificamente costruiti per qualcosa, e in questo caso
dovrebbe essere abbastanza facile applicare l'ingegneria inversa per
ricavare la loro funzione di utilità. Essi sembrano ben progettati
per uccidere le gazzelle. Le zanne, gli artigli, gli occhi, il naso,
i muscoli delle zampe, la colonna vertebrale e il cervello di un
ghepardo sono proprio quelli che dovrebbero essere se lo scopo di
Dio nel progettare questo animale fosse stato quello di rendere
massimo il numero di gazzelle predate. Viceversa, se applichiamo
l'ingegneria inversa a una gazzella, scopriamo prove altrettanto
evidenti di un progetto che mira allo scopo esattamente contrario:
far sopravvivere le gazzelle e far morire di fame i ghepardi.
E' come se i ghepardi fossero stati progettati da un dio e le
gazzelle da un dio rivale. Oppure, se è un unico Creatore ad aver
fatto il lupo e l'agnello, il ghepardo e la gazzella, a che gioco
sta giocando? E' un sadico che gode nell'assistere a sport
sanguinari? O tenta di evitare che i mammiferi africani crescano
troppo di numero? Oppure si dà da fare per far aumentare l'indice di
ascolto dei programmi sul comportamento degli animali? Queste sono
tutte funzioni di utilità ragionevolissime, che potrebbero anche
risultare corrette. In realtà, ovviamente, sono tutte sbagliate.
La vera funzione di utilità della vita, quella che viene
massimizzata nel mondo naturale, è la sopravvivenza del DNA. Ma il
DNA non vaga liberamente: è racchiuso negli organismi viventi e deve
sfruttare al massimo le leve del potere che ha a disposizione. Le
sequenze geniche che si trovano nel corpo del ghepardo rendono
massima la propria sopravvivenza facendo sì che questo corpo uccida
le gazzelle. Le sequenze che si trovano nel corpo della gazzella
accrescono la probabilità di sopravvivere perseguendo il fine
opposto. Ma è la stessa funzione di utilità, cioè la sopravvivenza
del DNA, che spiega la <<finalità>> sia del ghepardo che della
gazzella.
Una volta accettato, questo principio spiega una grande varietà di
fenomeni altrimenti sconcertanti, tra cui le battaglie (dispendiosi
in temini di energia e spesso comiche) combattute dai maschi per
conquistare le femmine, compresi i loro investimenti in
<<bellezza>>. Spesso i rituali dell'accoppiamento assomigliano alle
sfilate (oggi per fortuna passate di moda) per l'elezione di Miss
Universo, ma con i maschi in parata sulla passerella. Dove quest'analogia
si vede con grande evidenza è nel <<lek>> di certi uccelli, come il
gallo della salvia o l'uccello combattente. Il lek è l'appezzamento
di terreno sul quale gli uccelli maschi si pavoneggiano davanti alle
femmine. Le femmine si recano al lek e, dopo aver osservato le
tronfie esibizioni di parecchi maschi, ne scelgono uno e si
accoppiano. I maschi delle specie da lek hanno spesso bizzarre
livree, che esibiscono con scatti o inchini altrettanto vistosi,
emettendo strani rumori. Gli aggettivi <<bizzarro>> e <<vistoso>>
riflettono naturalmente giudizi di valore soggettivi.
E' presumibile che quando danzano pomposamente sul lek,
accompagnando con rumori come di bottiglie stappate, i maschi del
gallo della salvia non sembrino affatto buffi alle femmina della
loro specie, e questa è la cosa che conta. In certi casi accade che
il concetto di bellezza di una femmina coincida con il nostro: ne
sono un esempio il pavone o l'uccello del paradiso.
Il canto dell'usignolo, la coda del fagiano, la fotofosforescenza
della lucciola e le squame iridate dei pesci tropicali rendono
massima la bellezza estetica, ma non si tratta, o solo per caso, di
una bellezza fatta per il nostro diletto. Che noi godiamo dello
spettacolo è un corollario, un risultato del tutto accidentale. I
geni che rendono i maschi attraenti per le femmine vengono
automaticamente trasmessi alle generazioni successive. C'è un'unica
funzione di utilità che dia senso a tutte queste diverse
manifestazioni della bellezza: la quantità che viene
puntigliosamente ottimizzata in ogni minuscola nicchia del mondo
vivente è, in ogni caso, la sopravvivenza del DNA che presiede alla
caratteristica che vogliamo di volta in volta interpretare. Questo
impulso giustifica anche certi misteriosi eccessi della natura. Per
esempio, il pavone è carico di fronzoli così pesanti ed ingombranti
da essere gravemente ostacolato nei suoi tentativi di svolgere
qualche lavoro utile (se fosse incline a svolgere qualche lavoro
utile, ma in genere non lo è). I maschi degli uccelli canori
dedicano al canto una quantità esorbitante di tempo e di energia.
Questa smodata attività rappresenta un pericolo, non solo perchè
attira gli animali da preda, ma perchè consuma molta energia e porta
via del tempo che potrebbe essere impiegato per reintegrare quell'energia.
Uno specialista di scriccioli riferì che uno dei suoi maschi
selvatici cantò letteralmente fino a morirne. Qualsiasi funzione di
utilità che avesse a cuore il benessere a lungo termine della specie
o anche solo la sopravvivenza individuale di un determinato maschio,
limiterebbe l'attività canora, le parate e le lotte tra i maschi.
Tuttavia, quando si consideri la selezione naturale anche dal punto
di vista dei geni, e non solo sotto il profilo della sopravvivenza e
della riproduzione individuali, spiegare questi comportamenti è
facile. Dato che ciò che viene massimizzato negli scriccioli è in
realtà la sopravvivenza del DNA, nulla può arrestare la propagazione
di quel patrimonio genetico il cui unico effetto benefico sia quello
di rendere i maschi attraenti per le femmine. Se certi geni
conferiscono ai maschi qualità che per le femmine della specie
risultano desiderabili, questi geni, volere o no, sopravviveranno,
anche se talvolta possono mettere in pericolo la vita di alcuni
individui.
Gli esseri umani hanno l'amabile tendenza a supporre che
<<benessere>> significhi benessere di gruppo, che per <<bene>> si
intenda bene della società o prosperità della specie o addirittura
dell'intero ecosistema. La funzione di utilità di Dio, come la si
evince da un'osservazione realistica della selezione naturale,
risulta purtroppo in contrasto con queste visioni utopiche. Certo,
vi sono circostanze nelle quali i geni possono massimizzare il loro
egoistico benessere programmando nell'organismo una cooperazione
altruistica o addirittura un sacrificio di sé; ma il benessere del
gruppo è sempre una conseguenza fortuita, non la motivazione
principale.
Quando ci si rende conto che i geni sono egoisti, si capiscono anche
certi eccessi del regno vegetale. Perchè nelle foreste gli alberi
sono tanto alti? Semplicemente per superare i rivali. Una funzione
di utilità <<sensata>> farebbe in modo che gli alberi fossero tutti
bassi. In tal caso ciascuno di essi riceverebbe esattamente la
stessa quantità di luce solare, investendo molto meno in grossi
tronchi e rami robusti. Ma se fossero tutti bassi, basterebbe che un
singolo individuo variante crescesse un pochino di più e la
selezione naturale non potrebbe fare altro che favorirlo. Essendo
stato aumentato il piatto, tutti gli altri, come a poker, dovrebbero
rispondere. Questo processo continuerebbe senza che nulla potesse
arrestarlo, e gli alberi diventerebbero tutti degli assurdi campioni
di altezza e di sperpero. Ma tutto ciò è assurdo ed antieconomico
solo dal punto di vista di un pianificatore economico razionale che
ragionasse in termini di massimizzazione del rendimento e non di
sopravvivenza del DNA.
Vi sono tantissime analogie ben note. Ai ricevimenti tutti parlano a
voce tanto alta da arrochirsi. Il motivo è che ognuno parla al
massimo del volume. Se tutti si mettessero d'accordo per
bisbigliare, sentirebbero tutti altrettanto bene senza sforzare
tanto la voce da sprecare tante energie. Ma gli accordi di questo
genere non funzionano se non sono imposti con la forza, perchè c'è
sempre qualche egoista che li infrange parlando a voce un po' più
alta e, uno alla volta, gli altri sono obbligati a seguirlo. Un
equilibrio stabile viene raggiunto solo quando ognuno grida per
quanto fiato ha in corpo, cioè molto più forte di quanto
consiglierebbe la <<razionalità>>. Il freno imposto dalla
cooperazione è spesso vanificato dall'instabilità interna. E' raro
che la funzione di utilità di Dio coincida col massimo bene per il
massimo numero di individui. La funzione di utilità di Dio tradisce
le proprie origini nel disordinato tafferuglio che si instaura
all'insegna del vantaggio egoistico.
Tornando al nostro pessimistico punto di partenza, la
massimizzazione della sopravvivenza del DNA non è certo una ricetta
per la felicità. Purchè il DNA venga trasmesso, non importa se
qualcuno o qualcosa ne riceva sofferenza. I geni non si curano della
sofferenza perchè non si curano di nulla.
Per i geni della vespa di Darwin è meglio che il bruco sia vivo, e
quindi fresco, quando viene divorato, qualunque ne sia il costo in
termini di sofferenza. Se la Natura fosse benevola, il bruco
otterrebbe almeno la piccola grazia di essere anestetizzato prima di
venire mangiato vivo da dentro. Ma la natura non è né benevola né
malevola, non è né pro né contro la sofferenza. La Natura non si
cura del tipo di sofferenza che infligge, purchè queste sofferenze
non interferiscano con la sopravvivenza del DNA. E' facile
immaginare un gene che, per esempio, tranquillizzi la gazzella
quando sta per essere azzannata a morte. La selezione favorirebbe un
gene siffatto? Soltanto se l'effetto calmante sulla gazzella
aumentasse la probabilità che quel gene potesse venire trasmesso
alle generazioni future. Ma non c'è motivo per cui le cose debbano
andare in questo modo, e possiamo quindi supporre che le gazzelle
provino un dolore ed uno spavendo indicibili quando vengono
inseguite e uccise, come prima o poi capita alla maggior parte di
esse.
Il dolore che ogni anno provano gli organismi viventi di tutto il
pianeta supera ogni possibile immaginazione. Nel minuto che mi
occorre per scrivere questa frase, migliaia di animali vengono
mangiati vivi, altri fuggono gemendo di terrore per, salvarsi la
vita, altri vengono lentamente scarnificati dai loro parassiti
interni, migliaia di esseri di ogni sorta muoiono di fame, di sete e
di malattie. Così dev'essere. Se mai capita un periodo di
abbondanza, subito la popolazione aumenta finchè non si ripristina
lo stato naturale di penuria e di tribolazione.
In questo universo di elettroni e di geni egoisti, di cieche forze
fisiche e di replicazione genetica, alcune persone soffrono, altre
sono fortunate, e in tutto ciò non si troverà mai alcun senso,
alcuna ragione, alcuna giustizia. L'universo che noi contempliamo ha
esattamente le proprietà che ci aspetteremmo se, alla base, non vi
fosse alcun progetto, alcuna finalità, se non vi fosse né il bene né
il male, null'altro che crudele indifferenza. Come cantò il
melanconico poeta inglese Alfred Edward Housman:
Perchè la Natura, la Natura
senza cuore e senza ragione
nulla sente e nulla sa.
Il DNA nulla sente e nulla sa. Il DNA semplicemente esiste, e noi
non possiamo far altro che danzare alla sua musica.
Tratto da:
Dawkins R. La natura: un universo di indifferenza, Le Scienze n°329,
gennaio 1996
|