IL MALE NEL MONDO

 

 

IL MALE NEL MONDO

(Una alternativa razionale, in prospettiva evoluzionistica, alla dottrina del peccato originale)

Premessa

4.1 LE CAUSE DEL MALE

4.1.a La selezione naturale

4.1.b Tre “cervelli” in uno

4.1.c Aspetti negativi dell’eredità biologica

4.2 RICADUTE NEGATIVE DELL’EREDITÀ BIOLOGICA

4.2.1 Pulsioni innate in conflitto

4.2.2 La carica vitale

4.2.3 La pulsione egoistica

4.2.4 La pulsione sessuale

4.2.4.a Poliginia e infedeltà

4.2.4.b Omosessualità

4.2.4.c Stupro

4.2.4.d Discordanze tra la sessualità maschile e femminile

4.2.4.e Promiscuità sessuale impersonale

4.2.5 La vita emozionale

4.2.5.a Intimo rapporto tra emozionalità e pensiero

4.2.5.b Rapidità di esecuzione 4.2.5.c Ulteriori aspetti problematici della vita emozionale

4.2.6 Le passioni

4.2.7 Una storia di violenza e sangue

4.2.8 Violenza tra le pareti domestiche

4.2.8.a Infanticidio

4.2.8.b Incesto

4.2.8.c Fratricidio

4.2.8.d Uxoricidio

4.2.8.e Parricidio

4.2.9 Conflittualità e religione

4.2.10 Aggressività e distruttività

4.2.11 Aggressività territoriale

4.2.12 Gerarchia di rango

4.2.13 Rapporti di forza nella società

4.2.14 Il pesce grosso mangia il pesce piccolo

4.2.15 Evasione fiscale

4.2.16 Ubriachi al volante

4.2.17 Pensiero magico e astrologia

4.3 IL MALE E IL PENSIERO MITICO – RELIGIOSO

4.4 CONDIZIONAMENTI BIOLOGICI E RESPONSABILITÀ MORALE

4.5 QUALE FUTURO PER L’UMANITÀ ?

In grassetto i paragrafi riportati in questo assaggio del capitolo finale dell’opera

 

PREMESSA

Se il male non ci deriva dal peccato originale, né dall’azione tentatrice e malefica del diavolo, quale ne è la causa? In questo capitolo mi propongo di illustrare una suggestiva concezione alternativa a quella tradizionale, mostrando in concreto che il male deriva – in termini di condizionamento - dalla storia evolutiva della specie. Questa concezione non esclude, in ogni caso la responsabilità morale dell’agire umano. Il condizionamento infatti limita, ma non annulla la libertà morale.

La specie umana, come del resto le altre specie, è stata plasmata dalla evoluzione in ogni manifestazione della sua esistenza. In altre parole, quello che siamo oggi, nel bene e nel male, è il risultato del lungo, complesso e <<accidentato>> processo evolutivo.

In questo capitolo non parlerò tuttavia del bene, ma solo del male, dall’inizio alla fine, non perché non esista il bene, ma solo per economia espositiva. So bene che l’esistenza umana è fatta di bene e di male, e che un discorso sull’uomo deve mettere a fuoco sia le luci che le ombre, ma qui si tratta di dare una risposta razionale ad una dottrina teologica del male, <<l’immensa miseria che opprime gli uomini >> (CCC p. 115), e non di svolgere un discorso sull’uomo in tutta la sua complessità.

Il discorso svolto nel capitolo assume nondimeno un significato esplicativo nei confronti del comportamento umano in generale, poiché ne evidenzia l’amplissima serie di condizionamenti ancestrali. “Il comportamento a volte irrazionale dell’uomo … comincia ad apparire più comprensibile se ci rendiamo conto di come esso abbia alla sua base delle motivazioni che erano effettivamente razionali nel nostro antico passato ancestrale, motivazioni che anzi hanno contribuito alla sopravvivenza della nostra specie e che pertanto sono state trasmesse ai discendenti per selezione naturale.” (Grazia Attili, Le basi biologiche dell’evasione fiscale, n.150 di Psicologia contemporanea) Tali motivazioni, a causa dei radicali cambiamenti intervenuti a livello sia ambientale che culturale, oggi appaiono spesso irrazionali e inaccettabili.

“Sulla base di considerazioni evoluzionistiche … è possibile capire meglio perché siamo quello che siamo nel bene e nel male, circoscrivere i contorni delle nostre propensioni naturali…; molti degli sforzi che l’uomo ha compiuto nel corso della sua evoluzione culturale sono stati proprio finalizzati a spezzare, quando possibile, il cerchio di [un] esasperato opportunismo o fatalismo a posteriori del tipo <<chi vince ha sempre ragione …; sarebbe però un grave errore pensare che l’uomo si sia liberato in tutto e per tutto di questa logica, sia riguardo al suo futuro sia a quello della natura che lo circonda. Laddove termina la giurisdizione dell’evoluzione culturale, la natura riprende i suoi diritti.” (Edoardo Boncinelli, Non possiamo non dirci darwinisti, ed Rizzoli, 2009)

La razionalità umana, deve insomma fare i conti con l’eredità biologica della specie e non può vantare una purezza che non possiede. Quando accade che se ne dimentichi, va incontro ad amare sorprese.

Non essendo io un biologo, è probabile che nel mio argomentare incorra in qualche imprecisione concettuale o addirittura in qualche errore vero e proprio. Ciò nondimeno, sono convinto che il disegno complessivo del discorso svolto nel capitolo abbia una sua validità scientifica oltre che razionale.

 

4.1 LE CAUSE DEL MALE (1)

Non c’è bisogno di fare riferimento a una colpa d’origine (il peccato originale), o all’azione tentatrice e malefica di una potenza demoniaca (il diavolo), per spiegare l’esistenza del male nel mondo.

In prima istanza, la causa dei mali che affliggono l’umanità va attribuita alla natura. Solo in seconda istanza, può essere “imputata” all’uomo nella sua concreta realtà esistenziale, all’uomo morale, senza bisogno di tirare in ballo fantomatiche cause di natura religiosa.

La natura offre al nostro sguardo fenomeni sorprendenti e meravigliosi, visioni estatiche, distanze abissali, grandezze incommensurabili, ecc ... ecc... ma, ciò nondimeno, non è esente da difetti e imperfezioni di vario genere in ogni sua manifestazione.

Se, ad esempio, consideriamo la natura umana, - ma il discorso vale per tutte le specie viventi - ci imbattiamo in deformità, handicap, malattie invalidanti e spesso mortali, che la colpiscono sul piano psico-fisico; in violenze, soprusi, ingiustizie, ecc ... che la affliggono sul piano delle relazioni interpersonali.

Le religioni, la scienza e la filosofia danno spiegazioni diverse sulle cause del male: le religioni attingendo a forme di conoscenza intuitiva, espresse attraverso il mito, la scienza attingendo a dati obiettivi, trattati secondo i canoni del pensiero scientifico, la filosofia sviluppando un discorso razionale a tutto campo sulla realtà.

Soprattutto la ricerca scientifica in campo biologico ha raggiunto negli ultimi anni un alto potere esplicativo riguardo al mondo dei viventi e in particolare all’esistenza umana. Grazie ad esso, il pensiero razionale è in grado di formulare ipotesi sensate sulla presenza del male nel mondo, rendendo pleonastica la concezione di un peccato d’origine e di un essere malefico che ci tenta al male (il diavolo).

Come si vedrà in dettaglio nei paragrafi che seguono, la perfezione relativa o, meglio, l’imperfezione della natura umana dipende in larga misura: a) dalla selezione naturale, b) dalla struttura composita del cervello.

 

4.1.a LA SELEZIONE NATURALE

Secondo le acquisizioni recenti della biologia, l’evoluzione delle specie viventi si basa essenzialmente sul duplice processo delle mutazioni genetiche e della selezione naturale. (2) Tale processo premia le mutazioni che attraverso la selezione naturale ottengono un vantaggio riproduttivo rispetto alle mutazioni concorrenti diventando patrimonio dell’intera specie.

Le mutazioni genetiche costituiscono la prima mossa del processo evolutivo. Senza di esse il mondo della natura sarebbe senza storia, immutabile, sempre uguale a se stesso, e soprattutto non potrebbe sopravvivere ai cambiamenti dell’ambiente. Grazie alle mutazioni genetiche, il mondo dei viventi è in perenne evoluzione, si rinnova continuamente. C’è qualcosa di stupefacente, in questa prodigiosa, inesauribile creazione di forme sempre nuove, sempre diverse! Davvero, le mutazioni genetiche sono l’elemento creativo della natura. (3) (4)

In concreto, il meccanismo che genera le mutazioni è costituito dalla duplicazione della cellule. “…ogni volta che una cellula si duplica deve copiare il suo patrimonio genetico in modo da trasmetterlo fedelmente alle cellule figlie. Il meccanismo in questione è incredibilmente fedele, ma non perfetto. In condizioni ideali, senza cioè cause esterne di disturbo, la copiatura del DNA compie un errore ogni miliardo di caratteri…. Poiché i genomi sono molto lunghi (quelli delle specie a noi vicine contengono tre miliardi di nucleotidi) a ogni replicazione cellulare un errore viene sempre commesso.” (Edoardo Boncinelli, Perché non possiamo non dirci darwinisti, Rizzoli 2009)

Le mutazioni sono dunque il frutto di un errore di trascrizione genetica, ma senza di esso il mondo della vita, sempre uguale a se stesso, non potrebbe sopravvivere ai mutamenti dell’ambiente fisico. Se le cose stanno così, … si tratta di un errore banale, o non piuttosto di un fenomeno necessario e provvidenziale?

Passando a parlare della selezione, si deve rilevare che essa premia, non le mutazioni migliori in assoluto, ma quelle che in una determinata situazione ambientale (definita in termini di tempo e di spazio), hanno conseguito il successo riproduttivo. Di conseguenza, le mutazioni che entrano a far parte del patrimonio filogenetico delle specie hanno un valore relativo e possono risultare inadeguate quando la situazione ambientale subisce mutamenti radicali.

Scrive in proposito I. Eibl-Eibesfeldt: <<Esaminando la storia evolutiva sulla base dei fossili, constatiamo subito che delle specie animali viventi nelle epoche antiche solo una piccola percentuale ha discendenti tuttora viventi: la maggioranza di esse si è estinta; il flusso della vita si è continuamente perduto in vicoli senza uscita, il che ha tutta l’apparenza di un cieco andar a tentoni nel regno delle possibilità.>>. (I. Eibl-Eibesfeldt, Amore e odio, Oscar Mondadori, p.51)

Effettivamente, la maggior parte delle mutazioni genetiche che incidono sul corredo genetico delle specie hanno un valore che non si mantiene tale col passare del tempo e col mutare delle situazioni di vita, e finiscono col diventare una vera e propria zavorra evolutiva.

Questo fenomeno non interessa solo il mondo animale e vegetale, interessa naturalmente anche la vita umana ed è fonte di ricadute negative di varia natura e gravità.

 

(VED. IN QUESTO SITO: LE MUTAZIONI SONO FRUTTO DEL PURO CASO?)

(VED. IN QUESTO SITO: IL CASO E LA RAGIONE)

 

4.1.b TRE “CERVELLI” IN UNO

Secondo le più recenti acquisizioni della biologia evoluzionistica, il nostro cervello è costituito da tre strati sovrapposti, da tre diverse strutture risalenti ad epoche diverse: a) dall’arcaico ipotalamo rettiliano che controlla gli istinti della nutrizione, della lotta, della fuga, della riunione in branco, dell’accoppiamento, ecc...; b) dal meno antico sistema limbico che presiede alle emozioni come la speranza, l’ansia, l’amore, la rabbia, la paura, il disgusto, ecc...; c) dalla recente neocorteccia, che presiede alle attività cognitive. In concreto, dall’ipotalamo derivarono i centri emozionali, e da questi la neocorteccia, ossia le aree del cervello pensante.

Scrive in proposito I. Eibl-Eibesfeldt nell’opera citata: <<L’anatomia e la fisiologia comparate insegnano ... che tutti gli organismi portano con sé la loro storia in qualità di “zavorra storica”: essi sono il prodotto di numerose ristrutturazioni. Da vertebrati acquatici si svilupparono vertebrati terrestri che ristrutturarono, sì, il loro antico sistema circolatorio, ma non lo ricrearono completamente: si potrebbero delineare soluzioni tecnicamente migliori di quelle esistenti. Strutture desuete si atrofizzano in resti (rudimenti) spesso disturbanti>>(I. Eibl-Eibesfeldt, op. cit., p.52) . Lo stesso discorso vale per il sistema tegumentario, respiratorio, endocrino, nervoso, ecc... ecc...

Edoardo Boncinelli, autorevole genetista, conferma: “Non c’è stata … nessuna progettazione de novo per nessuna delle varie specie. I vari organismi che osserviamo oggi sono piuttosto il risultato della sedimentazione e della stratificazione degli effetti di un succedersi frettoloso e disordinato di eventi evolutivi sostanzialmente arbitrari che hanno portato il mondo vivente alla condizione attuale” (Op. cit.)

Il cervello umano non è insomma il frutto di una creazione nuova e originale, ma si è sviluppato ristrutturando elementi preesistenti. Ciò provoca non pochi inconvenienti, come vedremo: in particolare una sfasatura funzionale tra le parti arcaiche (istintuali ed emozionali) del cervello e la parte più recente, sede delle attività cognitive.

Con la comparsa della neocorteccia, si è messo in moto un progresso rapidissimo delle attività cognitive e una radicale trasformazione dell’ambiente circostante, che contrasta con la lentezza della evoluzione relativa ai due cervelli più antichi, misurabile in centinaia di migliaia di anni.

A proposito del sistema limbico che presiede alle emozioni - ma lo stesso discorso si può fare per l’ipotalamo che controlla le pulsioni istintuali - D. Goleman scrive: <<...quelli di cui siamo dotati sono i meccanismi rivelatisi più funzionali nelle ultime cinquantamila generazioni umane - si badi bene, non nelle ultime cinquemila, e meno che mai nelle ultime cinque. Le forze che hanno plasmato le nostre emozioni, forze evolutive lente e ponderate, hanno impiegato un milione di anni per compiere il loro lavoro. Nonostante gli ultimi diecimila anni siano stati testimoni della rapida ascesa della civiltà e dell’esplosione della popolazione umana ..., essi hanno tuttavia lasciato pochissime tracce nella matrice biologica della vita emotiva umana. Nel bene e nel male, la nostra valutazione di ogni singolo conflitto personale e le reazioni che esso suscita in noi sono plasmate non solo dai nostri giudizi razionali o dalla nostra biografia, ma anche dal nostro passato ancestrale - il che a volte ci conferisce tragiche inclinazioni ...>>. (D. Goleman, Intelligenza emotiva, ed. Rizzoli, pp. 23-24)

In pratica, a livello di ipotalamo rettiliano (reazioni istintuali) e di sistema limbico (emozioni) l’uomo di oggi non è tanto differente dall’uomo arcaico, mentre a livello cognitivo è radicalmente cambiato.

 

4.1.c ASPETTI NEGATIVI DELL’ EREDITA’ BIOLOGICA

Riassumendo quanto esposto finora, il male nel mondo dipende dalla imperfezione della natura in generale e della natura umana in particolare. In termini concreti, dipende dai caratteri della selezione naturale e dalla struttura composita del nostro cervello, che condizionano in misura non trascurabile la nostra esistenza.

La selezione naturale presenta aspetti negativi, come sappiamo. In merito ad essi, scrive I. Eibl-Eibesfeldt: << ... non tutto ciò che un tempo aveva valore adattivo conserva per sempre tale funzione utile alla conservazione della specie: niente affatto raramente [cioè, frequentemente], i mutamenti delle condizioni ambientali fan sì che un adattamento si tramuti nel suo contrario e venga trascinato con sè come residuo storico, pur costituendo uno svantaggio dal punto di vista della selezione.>> Così, ad esempio, <<una forte pulsione aggressiva può aver prodotto lo sviluppo intellettuale dell’uomo attraverso una dinamica concorrenza fra gruppi umani, e, al contempo può avere costretto l’uomo a diffondersi su tutta la terra. Ma oggi un eccesso di aggressività può ... portare all’autodistruzione...>>(I. Eibl-Eibesfeldt, op. cit. , p. 98 )

Anche la struttura composita del cervello comporta aspetti problematici di una certa entità. Se l’uomo fosse un essere unitario, cioè se il suo cervello fosse stato creato ex novo nella sua interezza, se non fosse - com’è in realtà - costituito da <<stratificazioni evolutive>>, non ci sarebbero gravi scompensi e disarmonie nella esistenza umana. Le pulsioni istintuali, l’emozionalità e il pensiero si sarebbero evoluti secondo ritmi comuni, avrebbero agito e agirebbero di concerto, in perfetta armonia. Poichè ciò non è stato, l’esistenza umana presenta aspetti assai problematici. La sfasatura esistente fra i tre “cervelli” rende spesso problematico armonizzarli in una prospettiva unitaria e concorde. A titolo d’esempio, rilevo che le pulsioni che vengono dal profondo spesso sfuggono al controllo della neocorteccia, cioè delle attività cognitive, perché purtroppo <<i dettami del nostro antico ipotalamo rettiliano sono più convincenti di quelli del nostro sistema limbico, che a sua volta è molto più persuasivo della neocorteccia di evoluzione più recente>>. (J. Quirk, op. cit. p. 127-128)

Come precedentemente notato (al paragrafo 1.2), la situazione è ulteriormente compromessa dalle risultanze negative, che purtroppo non mancano, della selezione sessuale e di quella culturale. La prima ha dato un suo originale contributo a complicare i rapporti tra i sessi; la seconda ha avuto ed ha il merito di alleggerire i condizionamenti dell’eredità biologica, ma è causa a sua volta di incomprensioni, chiusure e conflitti.

Una ulteriore fattore di atteggiamenti e comportamenti problematici è costituito dalla dimensione psicologica della nostra esistenza, in cui sono attivi contenuti e processi che possono incidere negativamente sulla vita relazionale.

Gian Antonio Stella in un suo libro appena uscito denuncia “i cori negli stadi contro i giocatori neri, il dilagare di ostilità e disprezzo su Internet, il risveglio del demone antisemita, le spedizioni squadristi che contro gli omosessuali, i rimpianti di troppi politici per <<i metodi di Hitler>>, le avanzate in tutta Europa dei partiti xenofobi, le milizie in divisa paranazista, i pestaggi di disabili, le rivolte veneziane contro <<zingari>> anche se sono veneti da secoli e fanno di cognome Pavan, gli omicidi di clochard bruciati per <<ripulire>> le città e gli inni immondi alla purezza del sangue”. (Gian Antonio Stella, Negri giudei froci & Co.- L’eterna guerra contro l’altro, Ed.Rizzoli, 2009)

La citazione ci fa capire quanto pesino a tutt’oggi i condizionamenti che ci vengono dal lontano passato biologico e ci consente inoltre di cogliere i rapporti esistenti tra i diversi livelli dell’esistenza umana (biologico, culturale, psicologico) che intervengono a determinare fenomeni di tale gravità, espressione e spia di una società in crisi.

Ciascuno di tali fenomeni a) è sollecitato – “provocato” a livello biologico da un impulso innato che proviene dall’eredità evolutiva della specie; b) assume rilievo e dinamismo a livello culturale sulla base degli stimoli provenienti da situazioni critiche (sul piano economico, sociopolitico, ecc…); c) viene infine modulato a livello psicologico in funzione della storia personale di ciascuno.

 

(VED. IN QUESTO SITO: IL MONDO HA AVUTO UN INIZIO?)

 

4.2 RICADUTE NEGATIVE DELL’EREDITA’ BIOLOGICA

Nei paragrafi che seguono, vedremo in dettaglio le principali ricadute negative sull’esistenza umana, dell’eredità biologica. Prenderemo in esame in particolar modo, tra le altre, la pulsione egoistica e l’aggressività distruttiva, che da tempi immemorabili sono le principali responsabili dei mali del mondo.

Noto en passant che nel mondo animale analoghe ricadute non esistono o sono scarsamente significative, perchè le attività cognitive non hanno conosciuto in tale ambito il rapidissimo sviluppo che ha caratterizzato la nostra specie.

Ciò nondimeno, l’affinità tra le specie animali e l’uomo resta profonda e significativa sul piano biologico, poichè lo stesso processo evolutivo che ha creato gli animali, a partire dagli esseri monocellulari su su fino ai primati, ha creato anche l’uomo. Non è pertanto un caso se molti comportamenti rilevabili nel mondo animale presentano – come vedremo - manifestazioni analoghe nel mondo umano.

 

4.2.1 PULSIONI INNATE IN CONFLITTO

Un segno evidente di disarmonia nell’esistenza umana è costituito dalla presenza di pulsioni innate in conflitto. L’esempio più significativo è dato dal conflitto tra il comandamento <<Non uccidere>> da una parte, e l’obbedienza all’autorità e la fedeltà al gruppo dall’altra.

Purtroppo il comandamento in parola, benché sia presente in tutta l’umanità sotto forma di inclinazione innata e in molte culture sotto forma di obbligo morale, viene spesso disatteso. La compassione, che ne è il corrispettivo emozionale, viene inibita dall’inclinazione innata ad ubbidire all’autorità che è in diverse culture un valore etico. L’obbedienza all’autorità, a cui il sottoposto si sente tenuto, in determinate circostanze diventa obbedienza cieca, annullando la sua volontà e la responsabilità morale dei suoi atti. Un esempio clamoroso di questo fenomeno l’umanità l’ha recentemente sperimentato col nazismo.

La compassione viene “disattivata” anche dalla fedeltà al gruppo. Gli uomini in caso di pericolo, si schierano a fianco dei membri del loro gruppo, se necessario fino al sacrificio della vita. Purtroppo, tale pulsione innata viene facilmente sfruttata per scopi di potere: ogni dittatura sa come sfruttare tale comportamento agitando falsamente l’ombra di un pericolo. In tal modo, ottiene facilmente l’unità del gruppo, che scarica la sua aggressività tutta insieme contro il nemico, interno o esterno.

Sia l’obbedienza all’autorità, sia la fedeltà al gruppo - valori etici universalmente riconosciuti - possono dunque assumere, in determinate situazioni, un significato moralmente negativo: una prova evidente di quanto sia difficile e problematico per l’uomo comune operare scelte razionali, tanto più in una realtà come quella attuale, estremamente complessa e dominata spesso dalla logica del potere.

E’ amaro constatare con quanta facilità l’uomo sia indotto a uccidere i propri simili, con quante e quali motivazioni riesca a “giustificare” il proprio comportamento omicida. Potrebbe essere interessante stilare un elenco delle motivazioni di varia natura che nel corso dei millenni hanno indotto l’uomo, preso sia singolarmente sia collettivamente, a dare la morte ai propri simili. Ne verrebbe, io credo, un elenco lungo e tragicamente “fantasioso”. L’impulso a uccidere i nostri simili deve essere scritto nei nostri geni a caratteri cubitali! Nell’Antico Testamento perfino Dio uccide. (5) Evidentemente, nell’animo umano è talmente presente il gusto di uccidere, che non si riescono neppure a concepire forme incruente di punizione da parte di un essere potente, come è Dio.

Il comportamento omicida, ovviamente, non è una invenzione del nostro tempo, ma l’eredità evolutiva di una vita ancestrale violenta e sanguinosa. La stessa logica del potere, è un’eredità del lontano passato.

Possiamo chiederci, a questo punto: come mai il comandamento <<non uccidere>> subisce tanti scacchi, quantunque il suo scopo sia funzionale agli interessi della specie? Si può ipotizzare che esso sia una contromisura, un correttivo posto in essere dalla natura per contrastare gli eccessi di aggressività verso i propri simili. Se le cose stanno così, l’aggressività è il dato originario (il primum), il comandamento in questione è un dato secondario, dotato in quanto tale di una minore carica dinamica.

 

4.2.2 LA CARICA VITALE

Ogni essere - a partire dagli organismi unicellulari su su per la scala dei viventi fino all’uomo - viene al mondo con una potente carica vitale, con una vera e propria fame di vita, che lo spinge a crescere, a riprodursi, ad espandersi, senza sosta e senza limiti.

Quello che vale per il singolo essere vale per la singola specie. Ogni specie tende ad espandersi quanto più può a spese delle altre. Nel caso della specie umana, le conseguenze di questo fenomeno espansivo sono addirittura allarmanti. Basti pensare che l’espansione della specie ha finito per sottrarre spazio vitale a molte altre specie, sia vegetali che animali Molte specie sono già scomparse e molte altre sono destinate, a breve, ad estinguersi. Per far fronte al crescente fabbisogno alimentare dell’uomo, vaste zone della terra sono destinate ad ulteriore disboscamento, e lo sfruttamento dei terreni è talmente intenso da pregiudicarne addirittura la fertilità. La disponibilità di acqua si riduce vieppiù ... sia per l’uomo che per le altre specie. Siamo all’emergenza planetaria.

Noto per inciso che le grandi religioni, ispirandosi a principi validi all’epoca in cui il problema era quello di popolare la terra, non solo non sono in grado di dare un positivo contributo al necessario controllo delle nascite, ma costituiscono un fattore di freno.

Un tempo il controllo della popolazione avveniva attraverso l’altissima mortalità infantile, e non c’era alcun bisogno di controllare le nascite. Oggi, dato che la mortalità infantile si è ridotta moltissimo, il controllo delle nascite è affidato a popolazioni che percepiscono tale pratica come qualcosa di assolutamente estraneo alla propria cultura. Chissà quanto tempo ci vorrà per risolvere questo problema tutt’altro che marginale per i destini dell’umanità! Purtroppo ci vorrà il tempo necessario a passare da una cultura antiquata ad una cultura moderna!

La carica vitale è l’elemento base della vita, il primum del processo evolutivo. La pulsione egoistica e quella sessuale sono espressione di questa forza primigenia, da cui traggono la loro forza.

Poichè affondano le proprie radici nell’ipotalamo rettiliano, le pulsioni in parola si sono sviluppate assai prima della comparsa della neocorteccia. Ambedue sono radicate profondamente nell’animo umano e sono difficilmente controllabili dal pensiero. Soprattutto la pulsione egoistica tende a sfuggire, nei modi più imprevedibili e subdoli, al controllo delle attività cognitive, impegnate ad armonizzare le pulsioni innate con l’aspirazione ad un umanesimo universalistico, in cui tutti gli individui godano di pari dignità e diritti.

 

4.2.3 LA PULSIONE EGOISTICA

Ai primordi dell’umanità procurarsi il cibo, difendersi dall’aggressione di animali e di vicini bellicosi, dalle intemperie, ecc... ecc... era un’impresa che impegnava senza risparmio le risorse personali. Molti soccombevano, e solo i più forti e abili riuscivano a superare le durissime prove della vita. Di conseguenza, la pulsione che presiede alla salvaguardia degli interessi vitali dell’individuo (e indirettamente della specie) acquistò, attraverso la selezione naturale, un ruolo essenziale e determinante nella vita dell’uomo.

Soprattutto l’esigenza di procurare per sé e per la propria famiglia cibo, pelli per coprirsi, arnesi da cucina, attrezzi per la caccia, ecc... deve avere influito in modo decisivo sullo sviluppo della pulsione egoistica. Come sostiene Darwin, ogni specie tende a espandersi secondo una progressione geometrica, e le risorse disponibili non sono sufficienti per tutti. Di conseguenza, l’accaparramento delle risorse – anche in previsione di periodi di carestia - divenne l’esigenza primaria, al punto tale da determinare rivalità, disparità nel possesso dei beni, difesa ad oltranza della proprietà, ecc… Poichè questo avviene dai primordi dell’umanità, l’evoluzione della specie ha selezionato un robusto “appetito” di beni economici. Purtroppo il sano “appetito” diviene in alcuni soggetti “fame” insaziabile, responsabile di una competizione economica senza esclusione di colpi, dello sfruttamento dei propri simili, addirittura della loro riduzione in schiavitù, ecc...

La pulsione egoistica è di fatto, e non da oggi, il principale impedimento alla realizzazione di un mondo umano pacifico, basato sullo spirito fraterno, sulla comprensione reciproca, ecc... ecc... Ma riflettiamo: si tratta di una pulsione essenziale per la sopravvivenza, radicata profondamente nell’animo umano fin dai primordi, e difficilmente scalfibile dato che l’evoluzione biologica si compie nell’arco di centinaia di migliaia di anni. Le riserve espresse sulla pulsione egoistica non devono farci dimenticare che essa ha avuto e continua ad avere un ruolo centrale nella vita dell’uomo. E’ il vero motore della storia, cioè del progresso economico, sociale, scientifico, ecc....

Il Cristianesimo ha condannato l’egoismo e collocato l’amore fraterno alla base della vita sociale, insegnando ad amare il prossimo come se stessi. Ma non è riuscito a creare l’uomo nuovo, l’uomo spirituale. Nella realtà solo pochi eletti sono in grado di realizzare questo altissimo ideale, la maggioranza delle persone realizza un compromesso più o meno onorevole tra egoismo e altruismo. (6) Nel mondo reale continuano a vivere gli uni accanto agli altri ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati, ecc…

Descritto con un pizzico di umorismo, ecco il comportamento egoistico della gente comune. <<Potevo sicuramente permettermi di regalare un dollaro a quel senzatetto affamato e schizofrenico, e invece l’ho speso per comprarmi una seconda brioche al bar. Certo non mi industrio a fargli del male, ma nemmeno molto per fargli del bene. Sostanzialmente mi industrio a stargli alla larga.

Non è lui che amo. Amo la mia brioche. Il mio palato mi premia con un picco di piacere non appena individua le calorie extra che mi aiuteranno a immagazzinare altri grassi in vista di un’ipotetica carestia che non arriverà mai.[L’autore fa riferimento ad una pulsione arcaica a immagazzinare riserve alimentari in previsione di una prolungata carenza di cibo] Questo per me è più importante che aiutare una persona - che non mi è imparentata, che non è mia amica e che nemmeno trovo molto attraente - ad affrontare una carestia molto concreta e molto presente.

Sorbito il cappuccino andrò in chiesa, dove posso salvarmi le chiappe nell’aldilà. E’ il mio investimento settimanale in un programma pensionistico. Preferisco impegnare un’ora alla settimana per salvarmi l’anima nel mondo a venire, che un tempo equivalente per salvare gli orfani in questo.>> (J. Quirk, op. cit.)

Il Comunismo ha provato a sua volta, a creare l’uomo nuovo, l’uomo capace di sottrarsi alla legge del profitto e di operare in base a nobili ideali di giustizia sociale. Ha sostituito nella gestione economica l’interesse privato con l’interesse pubblico, confidando che gli ideali avessero la stessa forza degli interessi personali concreti, ma è stato un fallimento totale.

E allora? Il problema non è l’esistenza di un sano egoismo, ma quella di un egoismo che, essendo profondamente radicato nell’animo umano, fatica a riconoscere una tavola di valori morali, ad accettare regole e limiti, a convivere con l’altruismo.

L’economia classica inglese del Settecento per bocca di A. Smith, D. Ricardo, ecc... afferma che anche quando l’uomo agisce economicamente, cioè per il proprio utile, promuove un fine non previsto dalle sue intenzioni, il bene di tutta comunità. In altre parole l’interesse individuale coincide con quello sociale. Naturalmente, perchè questo accada è necessario che tutti agiscano correttamente, nel rispetto della legge e della morale.

Sono passati più di due secoli da allora, e abbiamo sperimentato le più svariate e raffinate forme di egoismo individuale e di gruppo, abbiamo conosciuto crisi economiche, rivolgimenti sociali, guerre catastrofiche e tragedie a non finire. Così, oggi siamo meno ottimisti.

Viviamo in una fase storica di competizione economica globale, che contrappone gli interessi dei paesi poveri a quelli dei paesi ricchi, in cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ci sarebbe un grande bisogno di altruismo, di solidarietà e di condivisione, e invece l’egoismo continua a prevalere sull’altruismo, sul riconoscimento del diritto di tutti gli uomini al lavoro, al benessere, alla felicità.

A tutt’oggi nè le religioni, nè la morale, nè lo sviluppo esplosivo della conoscenza sono riusciti a ottenere un risultato apprezzabile nel controllo razionale della pulsione egoistica. Per ottenerlo, sono necessarie molteplici condizioni favorevoli, in primis un rapporto positivo tra le risorse economiche disponibili e le “bocche da sfamare”. Nel mondo d’oggi purtroppo tali condizioni non esistono per niente, e di conseguenza gli egoismi degli individui, delle classi sociali, delle regioni ricche di risorse naturali, degli stati, ecc ... chissà per quanto tempo ancora sono destinati a giocare un ruolo da protagonisti, nonostante tanti bei discorsi e tanti solenni proclami. Se la gente ha fame, i rapporti si esasperano sia dalla parte dei poveri che dalla parte dei ricchi, favorendo atteggiamenti di chiusura e di incomprensione.

 

4.2.4 LA PULSIONE SESSUALE

Scrive Francesco Alberoni: <<L’essere umano non è unitario. Nel campo erotico-amoroso ha predisposizioni diverse e contraddittorie dovute, probabilmente, alle stratificazioni evolutive del suo cervello. Le principali sono tre. La prima è il desiderio sessuale che spinge l’individuo a cercare un partner sessuale. I maschi tendono ad accoppiarsi con tutte le femmine disponibili. Le femmine invece sono più selettive e scelgono maschi che si distinguono, che emergono. Al di sotto di questa tendenza ce n’è un’altra più primordiale, che si scatena sotto l’azione dell’alcol e altre droghe, e che spinge alla promiscuità assoluta, impersonale: l’orgia. Nel passato si manifestava nelle orge sacre e oggi in quelle profane.>> (Corriere della sera del 02.03.2009)

Per queste ragioni e per altre che vedremo, anche la pulsione sessuale resiste ad una efficace armonizzazione con le esigenze spirituali di un mondo governato dalla ragione.

Tra gli aspetti più problematici della vita sessuale, richiamo in particolare la poliginia e l’infedeltà , presenti nell’uomo, come in molte specie animali monogame (Vedi par. 4.2.4.1), l’omosessualità, considerata tradizionalmente una pratica contro natura (Vedi par. 4.2.4.2) lo stupro, una manifestazione primitiva e violenta della pulsione sessuale (Vedi par. 4.2.4.3), talune discordanze esistenti tra la sessualità maschile e quella femminile (Vedi par. 4.2.4.4) e infine talune forme di promiscuità impersonale (4.2.4.5).

Un capitolo a parte meriterebbe il discorso sulle deviazioni e perversioni sessuali di natura psicopatologica (pedofilia, masochismo s., sadismo s., necrofilia, zoofilia, coprofilia, ecc…), responsabili di atteggiamenti e comportamenti, non di rado violenti e pericolosi. Ma non è il caso di affrontare un discorso specialistico. Nei paragrafi che seguono risulterà evidente che anche la pulsione sessuale può condizionare pesantemente la nostra esistenza ed ha bisogno di contrappesi culturali efficaci, per armonizzarla con le esigenze di un mondo spiritualmente maturo.

 

4.2.4.a Poliginia e infedeltà

Ai fini del nostro discorso sulle cause del male nel mondo, richiamo l’attenzione sui tratti poligamici e poliginici presenti nell’uomo e sulla duplice attrazione sessuale presente nella donna.

Cominciamo dall’uomo. Un residuo dell’ancestrale poligamia dei maschi dominanti, è la persistente propensione ad avere più mogli (poligamia) o ad avere rapporti sessuali con più donne (poliginia). Tale propensione, tradizionalmente responsabile, tra l’altro, della doppia morale sessuale (una morale severa per la donna, una morale liberale per il maschio), contrasta oggi con la conquista culturale della monogamia in quasi tutti i paesi del mondo.

Alle tendenze poligamiche-poliginiche dei maschi, fa riscontro nella donna la presenza di due tipi diversi di attrazione sessuale, responsabile di atti non infrequenti di infedeltà. <<Le femmine di molte specie caratterizzate da legami di coppia si sentono attratte dai maschi stanziali e detentori di risorse. Ma le stesse femmine si sentono anche attratte dai maschi più avventurosi che dispongono di geni “playboy” che si potranno tramandare a discendenti virili. Si tratta di due tipi diversi di attrazione. [...]

Se hai un utero, e la tua è un’infanzia lunga, secoli di selezione naturale divideranno i tuoi interessi riproduttivi secondo due strategie con obiettivi diversi: risorse e geni. Non sempre è possibile trovarli entrambi nello stesso maschio. Magari le risorse migliori vengono da tuo marito, mentre i geni migliori potrebbero venire dal marito di un’altra. Una donna ha dentro di sè le emozioni relative a entrambe le strategie, perchè discende dagli ominidi che generarono una più numerosa prole sopravvissuta usandole entrambe.>> (J. Quirk, Gli uomini vengono da Spermopoli, ..., ed. Sonzogno, p. 42-43)

Poichè <<ha dentro di sè le emozioni relative a entrambe le strategie>>, la donna non vive esperienze superficiali, può innamorarsi veramente di un altro uomo. Con tutta la migliore volontà, può cadere nella trappola dell’amore e subire tutte le conseguenze che ne derivano, per sè e per gli altri.

Esistono delle prove scientifiche della <<promiscuità>> sessuale, sia maschile che femminile? Gli scienziati non hanno dubbi in proposito. <<Senza una certa percentuale di poliginia [cioè di accoppiamento con più partner], i due sessi non evolvono tratti distinti. Nelle specie perfettamente monogame i maschi e le femmine sviluppano per gran parte le medesime caratteristiche. ... La promiscuità [sessuale] causa quello che i biologi definiscono “dimorfismo sessuale”, ovvero il fatto che maschi e femmine abbiano un aspetto diverso. Il sesso più promiscuo tra i due di solito manifesta i tratti più appariscenti. Le anatre maschio sono eleganti perchè sono degli stalloni.>> (J.Quirk, opo. cit.p. 73)

Le vistose differenze tra il corpo dell’uomo e quello della donna rivelano dunque questa semplice verità: la specie umana ha sviluppato legami di coppia a lungo termine, ma ha pure conservato tratti consistenti di promiscuità.

Come ci sono stati tramandati questi tratti? <<La poliginia dei potenti ha contraddistinto tutta l’evoluzione della nostra specie. Noi discendiamo dai maschi potenti e promiscui che si aggiudicarono una progenie più numerosa. Il che significa che tutti gli uomini hanno ereditato i geni per l’ambizione e la promiscuità, e tutte le donne [hanno ereditato] i geni che rendono attraenti questi tratti. >> (J.Quirk, op. cit. p. 77) Un discorso analogo vale per la trasmissione dei tratti relativi alla duplice attrazione sessuale presente nella donna.

Nei confronti della promiscuità sessuale, la cultura, la morale, la religione, la legge penale (vigente da noi nel passato, ma in certi paesi ancora oggi) possono dare un contributo positivo, al fine di armonizzare l’attività sessuale con un convinto e maturo rapporto monogamico tra i partner, ma non possono dire una parola risolutiva. Non facciamoci illusioni: fino a quando questi tratti di promiscuità saranno presenti, faranno sentire la loro influenza sul comportamento sia maschile che femminile.

 

4.2.4.b Omosessualità

Un’ulteriore fonte di disagio e di sofferenza è costituita dall’omosessulità, a causa dei pregiudizi inveterati fatti valere in ogni tempo dalle principali religioni - escluso il buddismo - di concerto con le istituzioni sociali. Con il consueto gusto sadico di infliggere punizioni crudeli e inumane, la pratica omosessuale da tempi immemorabili è sanzionata con la prigione, la tortura e addirittura con la morte.

Riferisce in proposito Gian Antonio Stella: “Prendiamo Treviso. Negli statuti medievali c’era scritto cosa toccava agli omosessuali: << Il maschio privo di ogni vestito, in piazza, impalato e con il membro infilzato, rimanga lì tutto il giorno e tutta la notte. Venga arso vivo il giorno seguente fuori dalle mura. La femmina invece, priva di vestiti, venga legata nella piazza a un palo e lì rimanga per tutto il giorno e la notte e poi arsa viva il giorno seguente fuori dalla città.” (Gian Antonio Stella, NEGRI FROCI GIUDEI & CO. Rizzoli 2009)

Purtroppo la persecuzione non è ancora finita, poiché ancora oggi la pratica omosessuale è fuori legge in molti paesi del mondo e, viene sanzionata in modo crudele e spietato.

I pregiudizi nei confronti dell’omosessualità non hanno ragion d’essere, visto che l’omosessualità è un dato di natura, e non contro natura, come molti erroneamente ritengono. Tale dato risulta inconfutabilmente dalla constatazione che <<l’omosessualità è diffusa in un’infinità di specie>> (A. Tartabini, Psicologia evoluzionistica, ed. Mc Graw- Hill)

L’omosessualità in alcuni casi addirittura favorisce il biological fitness, cioè contribuisce al successo riproduttivo della specie. Non può essere pertanto considerata un comportamento deviante.

Ciò risulta dalla testimonianza di K. Lorenz: “La capacità di comportamento omosessuale fa parte del normale corredo di molti animali. Ogni volta che mettiamo insieme due piccioni maschio - o femmine - questi intraprendono attività omosessuali. L’uccello dominante assume un ruolo maschile, e quello dominato un ruolo femminile. ...

La coppia degli omosessuali maschi occupa una posizione molto elevata nella gerarchia della colonia delle oche, perchè il potenziale bellico di due maschi è superiore a quello di una coppia eterosessuale. Per questo essi destano l’ammirazione delle femmine non accoppiate. ... [In alcuni casi] nasce un menage a trois, in cui i due maschi si amano tra loro, e la femmina [che si è inserita tra i due] ama uno di essi.... [Questo comportamento] non può essere considerato deviante o errato, perchè Peter Scott ha dimostrato una vasta incidenza di matrimoni triangolari di questo tipo fra le oche selvatiche dell’Islanda. Esse risultano particolarmente abili nel difendere e allevare i paperini, perchè due maschi possono proteggere meglio i piccoli dalle insidie dei girifalchi. Il comportamento omosessuale delle oche finisce con l’assumere un valore di sopravvivenza.” (Conversazione di R. I. Evans con K. Lorenz, sul n. 10 di Psicologia contemporanea, Giunti editore)

Perchè allora ci si accanisce contro persone incolpevoli, considerandole dedite al vizio oppure malate? L’omosessualità nell’uomo si manifesta, prima ancora che sul piano sessuale, come orientamento affettivo, coinvolgendo tutta intera la persona, a livello di sensibilità, di spiritualità, di scelte di vita. Non possiamo pertanto imporre all’omosessuale un modello di relazionalità tra i sessi che non ha alcun riscontro nella sua realtà psicofisica e spirituale. Possiamo solo avere rispetto della sua persona, accettando la sua diversità, che tra l’altro può costituire una risorsa preziosa per la comunità.

Con tutta probabilità, i pregiudizi denunciati derivano dal fatto che la relazione omosessuale contraddice a livello religioso il comando divino di popolare la terra, mentre a livello <<politico>> ha il torto di non dare un contributo concreto alla espansione della comunità sociale di appartenenza. Migliaia di anni fa, quando la terra era scarsamente popolata, il venir meno al dovere di dare figli alla società doveva essere percepito come una colpa talmente grave, da essere punita con la morte.

Attualmente, per il Giudaismo, per il Cristianesimo e per l’Islamismo l’unica ragione seria per condannare l’omosessualità è data - io credo - dal racconto biblico della colpa commessa dagli abitanti di Sodoma, un episodio molto strano e inverosimile, risalente a circa tremila anni fa.

Avendo saputo che Lot ospitava due forestieri, “... gli uomini della città ... si affollarono intorno alla [sua] casa , giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: <<Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perchè possiamo abusarne!>>” Lot tentò di dissuaderli, poi chiuse la porta; quelli tentarono di sfondarla ma i suoi due ospiti “li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta”. Dopo di che i due, messi in salvo Lot e i suoi familiari, distrussero la città. (Gen 19. 4-11)

Uno squallido episodio di tentata violenza omosessuale, non di comune pratica omosessuale, normalmente esente da violenza. (7)

Una nota della Bibbia di Gerusalemme precisa: <<Il vizio contro natura, che trae il nome da questo racconto, era in abominio agli israeliti e punito con la morte, ma era diffuso intorno a loro.>> Tale severo giudizio morale costituiva dunque un fatto culturale, non un dato universale, di natura, visto che altri popoli - tra cui i Greci - la pensavano diversamente.

Se è così, perchè vogliamo ancorare il processo culturale, per sua natura in perenne evoluzione, ai modelli di una cultura teocratica, patriarcale, maschilista, ecc .... risalenti ad un tempo lontanissimo da noi? Non abbiamo il diritto di avere delle idee che siano consone ai valori e alle esigenze del mondo moderno e che tengano nel debito conto il progresso delle conoscenze?

 

4.2.4.c Lo stupro

Lo stupro è ampiamente presente nel mondo animale sia come <<sottoprodotto del conflitto tra i sessi>> (D. Mainardi) sia come pratica utile al fitness riproduttivo delle specie (D. P. Barach). Non possiamo pertanto escludere che lo stupro umano sia in qualche modo condizionato - anche se non determinato - dalla storia evolutiva della specie.

Per Mainardi lo stupro ha un significato sostanzialmente negativo. “... in generale, la strategia riproduttiva femminile più vantaggiosa è quella di una scelta oculata. Chi investe tanto deve investire bene. La strategia maschile, invece, privilegia la quantità: al maschio in genere interessa fecondare più femmine (più uova) che può. Chiaro che poi, su queste premesse , ogni specie evolutivamente si assesta nelle proprie abitudini sessuali, ma queste sono sempre, da un lato, un compromesso del conflitto di interessi tra i sessi, dall’altro adattate in funzione della sopravvivenza della progenie nell’ambiente in cui la specie vive. Ecco: una certa indiscriminata prepotenza maschile, che in qualche specie porta alle molestie o addirittura allo stupro di femmine oculate e in quanto tali non subito disponibili, sarebbe il sottoprodotto del conflitto tra i sessi. Lo stupro, nelle specie dove c’è, la molestia, dove c’è, è un fatto normale, naturale” >> (D. Mainardi, sul Corriere della Sera)

Per Barash, invece, lo stupro può avere un significato positivo. “Lo stupro è piuttosto comune negli animali, quando la [biological] fitness [cioè il successo riproduttivo] lo richiede: perfino lo stupro omosessuale. Gli antocoridi, per esempio, sono insetti fra cui i maschi spesso introducono con la forza lo sperma nei depositi spermatici di altri maschi, talora addirittura mentre la vittima sta copulando con una femmina: alla successiva copula, il maschio così violentato non potrà che passare alla femmina lo sperma dell’aggressore e quindi i suoi geni. Lo stupro omosessuale va così a vantaggio del successo riproduttivo dell’insetto aggressore.” (D.P. Barash, Selezione sessuale nel mondo degli uccelli, sul n. 93 di Psicologia contemporanea, Giunti editore)

Data la diffusa presenza dello stupro nel mondo animale, è più che probabile che anche nell’uomo siano presenti pulsioni innate in grado di stimolare tale comportamento.

Particolare attenzione meritano due tipi di stupro: lo stupro di guerra e lo stupro etnico. Possiamo semplicisticamente assimilarli ad altre forme di aggressione e di violenza, ma così facendo non diamo una spiegazione della scelta di questa forma specifica di violenza a scapito di altre. Io credo che, se sono arrivati fino a noi, sono stati largamente praticati a partire dalla preistoria e ci sono stati tramandati da allora.

Con tutta probabilità lo stupro di guerra è nato in tempi antichissimi dall’impulso dei maschi a fecondare più femmine che possono, approfittando della maggiore prestanza fisica e delle situazioni di violenza generalizzata.

Lo stupro etnico è nato invece dalla particolare combinazione del solito impulso dei maschi a fecondare più femmine che possono, con l’impulso a sottomettere i gruppi sociali diversi dal proprio percepiti come nemici. Lo stupro in questione utilizza infatti il corpo della donna non tanto per il piacere dell’accoppiamento, quanto per realizzare fini politici. Attraverso lo stupro di massa vengono immessi nel <<sangue>> nemico i <<geni>> della propria etnia, <<a fini di terrore politico, di sradicamento di un gruppo, di un disegno di genocidio e di una volontà di epurazione etnica. ... Il corpo della donna è uno strumento per regolare i conti tra gli uomini.>> (K. Guenivet, Stupri di guerra, ed. Sossella)

 

4.2.4.d Discordanze tra sessualità maschile e femminile

Una cospicua fonte di disagio nella vita di coppia è costituita dal fatto che nei maschi l’interesse per il sesso è più forte che nelle femmine e l’attività sessuale dura assai più a lungo. Ciò era un tempo funzionale all’interesse della specie, in quanto assicurava un maggior successo riproduttivo, ma oggi in regime di controllo delle nascite è del tutto inutile per quanto riguarda la specie, e fonte di incomprensione e disagio nella vita di coppia.

Ulteriori cause di disagio derivano dal fatto che la sessualità maschile e quella femminile si manifestano in modi molto differenti: quella femminile è intrisa di affettività sentimentale, mentre quella maschile è più asciutta e concreta; quando diventa mamma, la donna è tutta presa dalle cure materne e il suo partner si sente trascurato; ecc…

 

4.2.4.e Promiscuità sessuale impersonale

Uno sgradevole residuo della promiscuità sessuale che ha preceduto la nascita del rapporto di coppia, può essere considerato il sesso mercenario, assai diffuso soprattutto tra i maschi. Lo stesso discorso può valere per le meno frequenti orge sessuali, che coinvolgono nell’attività erotica più di due soggetti contemporaneamente.

Oggi assistiamo, tra l’altro, al diffondersi di pratiche sessuali al di fuori di un rapporto di coppia consolidato. Il sesso viene ricercato per sé stesso, per il piacere che può dare. In passato, di regola, prima veniva l’innamoramento, poi il sesso; oggi, invece, il sesso viene prima dell’amore, e non di rado al di fuori di un rapporto di coppia vero e proprio. Colpa della pillola? O della tendenza che hanno le ragazze di oggi ad imitare troppo disinvoltamente il comportamento dei ragazzi? Leggo su L’Espresso del 26.11.09 questa dichiarazione di Julia, una ragazza ukraina: <<La cosa più importante che può accadere tra un uomo e una donna è il sesso>>. Questo pensiero un tempo apparteneva ai ragazzi. Le ragazze hanno sempre sognato l’amore.

Questo interesse per il sesso può essere stimolato dal conformismo consumistico che affligge con la sua <<fretta>> le nuove generazioni e non insegna loro a costruire, su solide basi di reciproca conoscenza e di condivisione di valori, un rapporto di coppia destinato a durare nel tempo.

Il piacere del sesso, un tempo funzionale al successo riproduttivo, rischia così di diventare un fattore di precarietà per il rapporto di coppia, che non si regge durevolmente sul piacere dei sensi, ma su legami affettivi profondi e – ribadisco - sulla condivisione di ideali, aspettative e interessi.

 

4.2.5 LA VITA EMOZIONALE

Le aree emozionali sono strettamente collegate a tutte le zone della neocorteccia attraverso una miriade di circuiti di connessione. Ciò conferisce agli arcaici centri emotivi l’immenso potere di influenzare il funzionamento di tutte le altre aree del cervello, compresi i recenti centri del pensiero.

4.2.5.a Intimo rapporto tra emozionalità e pensiero

Nel complesso rapporto fra sentimenti e pensiero, la facoltà emozionale guida le nostre decisioni momento per momento, in stretta collaborazione con la mente razionale. Allo stesso modo il cervello razionale ha un ruolo dominante nelle nostre emozioni. (8) L’interazione tra emozionalità e pensiero evitando da una parte la fredda astrattezza del pensiero e dall’altra l’oscura irrazionalità delle emozioni, garantisce il necessario coordinamento tra le due diverse strutture cerebrali.

In teoria, tutto bene. Nella realtà concreta invece il rapporto tra pensiero ed emozione non è sempre armonioso ed equilibrato, e può presentare aspetti altamente problematici.

<<Il rapporto tra razionale ed emozionale nel controllo della mente varia lungo un gradiente continuo: quanto più intenso è il sentimento, tanto più dominante è la mente emozionale - e più inefficace quella razionale>>. (D. Goleman, op. cit., p. 27) Quando, perciò, per svariati motivi di carattere ideologico, politico, religioso, ecc... siamo dominati da contenuti emozionali forti di segno negativo, quali il pregiudizio, l’odio, la paura, ecc..., l’emozionalità tiene in ostaggio il nostro pensiero, non ci consente quel minimo margine di libertà che è indispensabile per sentire le ragioni degli altri, per realizzare un dialogo, per ragionare in termini realistici. La vischiosità emozionale che caratterizza le situazioni di crisi, impaccia il pensiero, non gli consente la normale mobilità, la sua capacità di adattamento e di flessibilità. Ci veniamo così a trovare in un vicolo cieco, in una impasse, che può provocare conflittualità dalle conseguenze imprevedibili, e da cui è molto difficile uscire indenni.

In generale, data l’intima connessione tra emozionalità e pensiero, il confronto delle idee è possibile solo se l’emozionalità non occupa interamente il campo, se le ragioni non sono <<oscurate>> dalla passione.

La situazione si fa particolarmente critica quando vengono a confronto diretto le convinzioni (dei singoli e/o dei gruppi sociali) su temi scottanti: le reazioni tendono ad esasperarsi e l’emotività che permea fin nel profondo le convinzioni, trasforma il problematico confronto delle idee in uno scontro carico di aggressività. Ognuno dei contendenti si chiude nel suo recinto ideologico e assume un atteggiamento difensivo - offensivo, che rende impossibile l’ascolto dell’altro e il rispetto delle sue legittime convinzioni.

 

4.2.7 UNA STORIA DI VIOLENZA E SANGUE

Per tutta una serie di contingenze, dagli albori della civiltà l’uomo si ritrova con una pesante zavorra evoluzionistica, fatta di impulsi a uccidere i propri simili, a torturare, a conquistare e sottomettere, a sfruttare, ecc...ecc... Da allora, un orribile fiume di sangue e di violenza, ha continuato a scorrere tragicamente, fino ad oggi. In tutto questo tempo, la fantasia umana ha fatto sfoggio di una fertilità inaudita nell’invenzione di forme crudeli e sempre nuove di morte, di tortura, di sfruttamento, ecc..,. nonché di motivazioni per tacitare la coscienza!

Come spiegare l’imbarazzante presenza di questa nefasta eredità biologica? A differenza di quanto avviene per gli animali, nell’uomo i freni inibitori che pure esistono, troppo spesso non riescono a impedire l’uccisione dei propri simili. In concreto, mentre gli animali di regola uccidono solo individui di altre specie e solo per cibarsene, gli uomini hanno “licenza di uccidere” i propri simili.

Come sono potuti giungere a tanto? Qual è stata la molla che li ha spinti? Quali i meccanismi evolutivi che hanno prodotto un risultato così deleterio? Risposte convincenti non esistono in proposito, si possono solamente formulare ipotesi più o meno verosimili.

a) – Invenzione delle armi

Irenaus Eibl-Eibesfeldt ritiene che sia stata l’invenzione della prima arma a far venir meno i freni inibitori. <<Le nostre inibizioni innate all’aggressività sono intonate alle nostre strutture biologiche: quando gli uomini si aggrediscono con le nude mani, l’uno, alla fine, può sottomettersi e muovere a compassione l’altro; con l’invenzione della prima arma, la situazione si è mutata di colpo e possiamo assumere che l’uomo si sia trovato allora in uno stato di crisi analogo al nostro, nell’epoca atomica. Ai nostri antenati riuscì di adattarsi, ma ogni nuova arma li pose di nuovo di fronte al problema di inventare nuovi controlli culturali: lo sviluppo di regole di comportamento cavalleresco è sempre proceduto zoppicando dietro a quello della tecnologia delle armi.>> (D. Goleman, Op. cit, p. 127.)

Poichè l’attivazione dei freni inibitori richiede il contatto diretto della vittima con l’aggressore, la loro efficacia è andata continuamente scemando in parallelo con la capacità delle armi di colpire con sempre maggiore rapidità e da distanze sempre maggiori.

Con l’invenzione della prima arma, si poteva uccidere un uomo solo da una distanza ravvicinata, e questo consentiva ancora alla vittima di impietosire l’aggressore comunicando coi gesti, con la voce, ecc... La situazione non era molto diversa da quella originaria. Oggi invece si può distruggere una città - un anonimo puntino colorato su uno schermo luminoso - da una distanza di centinaia o addirittura di migliaia di chilometri, schiacciando semplicemente un bottone, mentre le vittime dell’aggressione, ignare del pericolo, nulla possono fare per scongiurarlo. In questa situazione l’efficacia dei freni inibitori è ridotta quasi a zero.

b) – “Pseudospeciazione culturale”

I. Eibl-Eibsfeldt formula una seconda ipotesi sulla mancata tenuta dei freni inibitori, prendendo in considerazione non tanto la distanza fisica tra l’aggressore e la vittima, come nella prima ipotesi, quanto la distanza psicologica (emotivo-affettiva e valoriale) tra l’uno e l’altra. Allo scopo utilizza il concetto di “pseudospeciazione culturale”: l’aggressore si comporta senza i normali freni inibitori, come se la sua vittima appartenesse ad un’altra specie.

I. Eibl-Eibsefeldt rileva come la rapida evoluzione culturale comporti il pericolo che si creino culture che si segregano le une dalle altre, ognuna difendendo la propria identità. <<Nella Nuova Guinea si parlano alcune centinaia di dialetti; nelle nostre Alpi ogni valle maggiore ha il suo costume e le sue tradizioni, nonchè il proprio “orgoglio di valle”, per via del quale si segregano dalle altre. Questa differenziazione è sicuramente un valore e nessuno potrebbe rinunziare alla varietà culturale dell’umanità, ma nella delimitazione vi è un pericolo: spesso essa è animata da ostilità. Lo stesso vale per sottogruppi contenuti in gruppi etnici. La tendenza alla speciazione (formazione di club) si oppone alla fratellanza universale.>> (I. Eibl-Eibsefeldt, op. cit., p. 59)

Con tutta probabilità questa forte propensione a formare gruppi chiusi, più o meno estesi, è nata ai primordi dell’umanità da esigenze di caccia. Per cacciare le fiere coi mezzi rudimentali dell’epoca era necessario agire in piccoli gruppi ben affiatati. E quando la selvaggina scarseggiava, era necessario estendere il proprio territorio di caccia a danno dei gruppi vicini, innescando una conflittualità che era destinata a mantenersi nel tempo e a tramandarsi alla discendenza. (10)

Questo tipo di organizzazione sociale dei primordi ha determinato negli esseri umani la predisposizione a vivere in piccoli gruppi, tendenzialmente chiusi e diffidenti nei confronti degli altri gruppi. In situazioni particolarmente critiche, la normale “chiusura” si acutizza e genera ostilità e odio reciproci, soprattutto un senso di estraneità, una presa di distanza psicologica che finisce con la disumanizzazione degli appartenenti al gruppo <<nemico>>. Costoro infatti non solo vengono vissuti come nemici, ma, attraverso un processo psicologico di una certa complessità, finiscono con l’assumere connotazioni disumane, odiose e ripugnanti: sono percepiti come violenti, furbi, ladri, dissoluti, disumani, sono dei diavoli, dei maiali, dei topi di fogna, degli sciacalli, mangiano i bambini, ecc... “Una volta innescato, il processo va avanti: nel momento in cui ci si convince che l’<<altro>> non è un essere umano, i processi di ritualizzazione e i freni inibitori che controllano l’aggressività <<intraspecifica>> [all’interno della specie] si allentano. E’ qui che i combattimenti e le violenze acquistano i connotati dell’aggressività <<interspecifica>> [tra appartenenti a specie diverse]. La propaganda, l’educazione, l’indottrinamento si alimentano di tutti questi meccanismi istintuali innati ed utilizzano a piene mani i segnali scatenanti più appropriati a far emergere negli individui un’immagine odiosa del nemico.” (G. Attili, Sociobiologia della violenza: Il nemico ha la coda, sul n. 134 di Psiclogia contemporanea, Giunti editore).

c) – Le passioni

Anche le passioni possono far venir meno i freni che inibiscono l’uccisione dei propri simili. Abbiamo visto al paragrafo precedente che si tratta di “atteggiamenti psichico-spirituali talmente intensi da dominare incontrastati la mente e il cuore del soggetto”, e che “qualunque desiderio, opzione, orientamento ideale può subire, tramutandosi in passione, un processo di acutizzazione e virulenza capace di sottomettere a sé ogni altra attività e aspirazione, a scapito dei valori morali, sociali e spirituali”.

Per queste loro caratteristiche, le passioni possono essere considerate le principali responsabili non solo dei maltrattamenti, delle angherie, dei tradimenti, delle ingiustizie, ecc… ma anche – io credo – dell’ uccisione dei propri simili e delle guerre che in ogni tempo hanno insanguinato il mondo.  

d) – Disturbi della personalità

Una ulteriore causa di mancata attivazione dei freni inibitori è costituita da svariate forme di disturbi della personalità.(Vedi par. 4.2.4 c e nota relativa)

Poco importa sapere quale delle ipotesi colga maggiormente nel segno: la prima, che mette l’accento sulla mancata attivazione dei freni inibitori col venir meno del contatto diretto tra aggressore e vittima, oppure la seconda, che si basa sul fenomeno della speciazione culturale, o la terza che pone l’accento sulle passioni, o infine la quarta che tira in ballo i disturbi della personalità. Quello che conta soprattutto è che, a causa e in conseguenza di quello che possiamo definire il vero peccato originale dell’umanità, l’uccisione dei propri simili, ci ritroviamo alle prese con una sgradevole eredità, della quale non ci possiamo in alcun modo sbarazzare. Le pulsioni dal profondo che ci inducono alla sopraffazione, alla guerra, alla uccisione, ecc... sono più che mai presenti in noi e vitali.

Scrive Angelo Tartabini <<...se la selezione naturale ha favorito l’applicazione della legge del più forte, quindi l’aggressività, è altrettanto vero che la stessa selezione naturale ha favorito la nascita e lo sviluppo di caratteristiche atte a inibirla, sia che si tratti di aggressività intraspecifica, sia che si tratti di aggressività interspecifica.>> (A. Tartabini, Psicologia evoluzionistica, ed. Mc GrawHill, p. 73)

Sfortunatamente, come abbiamo visto, nel mondo umano l’inibizione dell’aggressività funziona a scartamento ridotto. La storia umana gronda sangue, da sempre, e non vedo come e per quale motivo possa cambiare da un giorno all’altro. Il pontefice Giovanni Paolo II ha espresso in proposito la propria amarezza in una composizione poetica, parlando di <<magro raccolto della storia>>. Sarà così anche in futuro? O c’è una fondata speranza che gli uomini diventino più saggi e più buoni? Purtroppo, viviamo in un mondo in cui milioni di uomini hanno fame di pane e di giustizia, e armi sempre più potenti e distruttive sono a portata di mano di individui squilibrati, di terroristi fanatici e di politici senza scrupoli.

“La civilissima Francia ha avuto due vampate d’odio unite da un secolare e continuo crepitare di piccole combustioni, tra il grande momento della rivoluzione, dove i politici, dopo aver tagliato la testa al re, se la tagliavano tra di loro, e l’immenso massacro della Comune, dove le due fazioni si trucidavano a vicenda, e si fucilavano all’angolo della strada donne e bambini.

La guerra di secessione ha soltanto inaugurato un odio razziale americano durato (se è davvero finito) sino a ieri, nella guerra civile spagnola l’odio si è manifestato in modi orrendi, chi sventrava le monache e chi decimava gli anarchici, e taccio su tante vampate d’odio durante la guerra civile russa, e su quello che accade ancor oggi tra varie tribù africane, eccetera eccetera. Noi della specie umana siamo insomma esseri inclini all’odio, tanto quanto siamo inclini al sesso, al pianto, al riso o alla religione, siamo fatti così e basta – altrimenti non sarebbe suonato così inedito e scandaloso il richiamo evangelico all’amore.” (Umberto Eco, LA BUSTINA DI MINERVA: Tintura di odio, su L’Espresso del 29.12.2009)

La selezione culturale può contribuire a correggere le manifestazioni più crude della violenza sui nostri simili. E. Boncinelli afferma in proposito: “Dobbiamo … congratularci con noi stessi se abbiamo cercato di rendere l’ambiente umano sempre meno spietato e sempre più solidale … allontanandoci sempre più dallo stato di natura”. (E. Boncinelli, Op. cit., pag. 246)

Purtroppo la selezione culturale non può contare su risultati acquisiti una volta per sempre, per tutti gli uomini e validi anche nelle situazioni gravemente compromesse sul piano economico, sociale, politico, ecc…: quando interessi vitali urgono prepotentemente, le ragioni della cultura faticano a farsi valere.

 

4.2.8 VIOLENZA TRA LE PARETI DOMESTICHE

“Per secoli i naturalisti sono stati affascinati dalla sterminata varietà dei modi in cui gli organismi viventi si danno da fare per crescere e moltiplicarsi. Adulterio, violenza sessuale, divorzio, monogamia, poligamia, infanticidio, prostituzione non sono pratiche esclusivamente umane, ma esistono anche presso altre creature.” (D. P. Barash, Selezione sessuale nel mondo degli uccelli, 1989. n.93, p.50) Se le cose stanno in questi termini, possiamo imputare la violenza domestica non solo a motivazioni di carattere psicologico, come si fa solitamente, ma anche a condizionamenti biologici.

Da un punto di vista psicologico, la famiglia è il luogo degli affetti, delle emozioni, dei sentimenti. Purtroppo, però, quella stessa carica emozionale che sostanzia e dà calore alla vita familiare, è non di rado responsabile almeno in parte delle violenze che vi si annidano. Nella famiglia allignano, accanto a sentimenti di segno positivo, anche sentimenti di segno negativo, quali la gelosia e l’invidia, in grado di scatenare reazioni violente o per lo meno di creare le condizioni per il loro scatenamento.

Come accennato, oltre al fattore psicologico (affettivo-emozionale), potenzialmente carico di valenze negative, la vita familiare subisce il condizionamento derivante da pulsioni innate.

 

4.2.12 GERARCHIA DI RANGO

Dai primati ai pesci, agli uccelli tutti i sistemi sociali del regno animale sono gerarchici. Non è pertanto casuale se nell’uomo esiste <<una predisposizione innata alla gerarchia di rango, che è un mezzo di ordinamento sociale, e dunque di controllo dell’aggressività. ... Noi uomini aspiriamo al rango e marchiamo il raggiungimento di ogni gradino della piramide con speciali simboli di stato>> (I. Eibl-Eibesfeldt, op. cit, p. 114). E’ grazie a questa pulsione innata che la società ha un assetto gerarchico.

La gerarchia di rango è talmente radicata nell’animo umano che <<anche l’eliminazione radicale delle gerarchie stabilite [nel mondo comunista] non ci ha portato più vicino all’ideale, perchè nuovi sistemi di rango si sono rapidamente sviluppati>>. (I. Eibl-Eibesfeldt, op. cit.) <<La concorrenza per il rango sociale è la fornace in cui la nostra specie si è forgiata. Esiste una ostinata gerarchia sociale tra gli umani, e la donna delle caverne che si accoppia con il maschio socialmente più potente alleva bambini meglio protetti.>> (J. Quirk, op. cit., p.52)

Un esempio clamoroso del radicamento di tale pulsione è costituito dal fatto che i dignitari della Chiesa (ma lo stesso discorso vale per le religioni in genere) fanno sfoggio di paludamenti sontuosi, sia sul piano linguistico (Monsignore, Eccellenza, Eminenza, Santità), sia su quello dell’abbigliamento (abiti sontuosi, gioielli, ecc...), sia infine su quello della logistica (di solito abitano in sontuosi palazzi nobiliari), <<tradendo>> senza troppi scrupoli i principi evangelici dell’umiltà e della povertà ai quali la loro missione si ispira.

La gerarchia di rango si basa, oltre che sull’aspirazione al rango, sulla innata disponibilità alla sottomissione (ubbidienza, deferenza, rispetto) nei confronti di chi appartiene ai ranghi superiori.

Purtroppo, questa disponibilità è responsabile dei gravi abusi perpetrati dall’autorità, dagli albori della civiltà fino ad oggi, nei confronti della comunità. Approfittando della disponibilità alla sottomissione, il potere non di rado viene assunto arbitrariamente, cioè non sulla base di un riconoscimento dei meriti personali da parte della comunità, ma mediante l’inganno, l’uso della forza, ecc... E viene esercitato non nell’interesse dell’intera comunità, ma nell’interesse personale o di cerchie ristrette di persone, dando luogo a vere e proprie spogliazioni, vessazioni, soppressione di libertà, violenze, uccisioni, ecc... ecc...

A causa degli abusi denunciati - difficilmente evitabili data al natura arcaica della pulsione - la gerarchizzazione della società, nel mondo attuale contrasta non di rado con l’aspirazione alla mobilità sociale, al riconoscimento delle libertà individuali, alla uguaglianza delle opportunità e dei diritti, ecc...

Tra i più cospicui simboli di stato va annoverata la ricchezza, che colloca i suoi detentori sugli scalini più alti della scala sociale. <<Gli umani non competono tanto per il territorio quanto per il rango. Il territorio e le proprietà non sono che simboli del rango sociale.>> (J. Quirk, op. cit. p. 47)

Per questo motivo, la gerarchia di stato rende la ricchezza fortissimamente appetibile e contribuisce in modo non trascurabile ad esasperare la competizione sul piano economico. Non di rado induce a forme gravi di scorrettezza, quali lo sfruttamento dei propri simili, la riduzione in schiavitù, e simili.

La gerarchia di stato aveva nei ristretti gruppi sociali del mondo arcaico - in cui tutti si conoscevano ed erano in grado di apprezzare le qualità personali di ciascuno - una funzione provvidenziale agli effetti dell’ordinamento sociale e della riduzione dell’aggressività. Al contrario, nella società attuale - estesa, complessa e soprattutto anonima - si rivela spesso uno strumento di sopraffazione, che finisce per fare il gioco della pulsione egoistica e della legge del più forte.

 

4.4 CONDIZIONAMENTI BIOLOGICI E RESPONSABILITÀ’ MORALE

La specie umana, come del resto le altre specie, è stata plasmata dalla evoluzione in ogni manifestazione della sua esistenza. In altre parole quello che siamo oggi, nel bene e nel male - ma in questo capitolo, lo ribadisco, ho preso in esame solo il male - è il risultato del lungo, complesso e <<accidentato>> processo evolutivo.

La principale causa dei mali presenti nel mondo va individuata nella natura: la principale, ma non l’unica. L’eredità evolutiva condiziona, più o meno pesantemente, la nostra esistenza in tutte le sue manifestazioni, ma non determina il nostro comportamento, se non in situazioni particolarmente critiche. Il controllo dell’azione utilizza infatti sempre meno i meccanismi automatici creati dalla natura attraverso la selezione e sempre più il pensiero, che meglio sa commisurarla alle circostanze, al fine, ecc... “Il livello di complessità del cervello rende gli uomini estremamente plastici, cioè in grado di diversificare il loro repertorio comportamentale in funzione della situazione e delle persone cui le loro azioni sono dirette ” (G. Attili, art. citato)

Lo sviluppo della neocorteccia è tale da consentirci un margine di libertà interiore, che sta alla base della responsabilità morale dei nostri atti liberi, cioè non imposti da forme particolari di patologia o da stati psichici che ci impediscono di intendere e di volere. Abbiamo il dovere morale di guardare in faccia la realtà, riconoscere come tali le pulsioni ad agire, provenienti dal profondo del nostro essere biologico e, se non sono conformi ai valori culturali e morali in cui crediamo, dobbiamo opporre loro una resistenza attiva.

Di fatto, elaboriamo la nostra risposta comportamentale in situazioni esistenziali caratterizzate da pulsioni innate di segno negativo (la cosiddetta (zavorra evolutiva) e da pulsioni di segno positivo (leggi morali). Vagliamo tali pulsioni alla luce della cultura in cui siamo nati e cresciuti e le moduliamo a livello psicologico in relazione alla nostra storia personale. Operiamo ogni volta una scelta tra opzioni di segno opposto.

Cercare le radici del male morale fuori di noi, riferire le pulsioni che ci vengono dal profondo non alla natura, ma al diavolo, cioè ad un essere personale malefico che deliberatamente e subdolamente ci tenta al male, significa allontanarci dal mondo reale e in qualche misura deresponsabilizzarci. <<Perché cercare le radici del male al di fuori della finitudine dell’uomo? Se si accetta, come fa la Chiesa, una presenza diabolica alla base del male, allora è chiaro che qualunque discorso sulla responsabilità umana diventa inutile, certamente inefficace. Fin dal primo racconto sulla tentazione, in cui Eva scagiona se stessa e accusa il serpente di averla indotta nel peccato, fin da lì è chiaro che la presenza maligna tende a deresponsabilizzare l’individuo>>. (Arrigo Colombo, Il diavolo, ed. Dedalo)

Sono noi che, cedendo alle tentazioni e alle passioni, - cioè non opponendo la necessaria resistenza ai molteplici condizionamenti dell’eredità evolutiva - creiamo il male morale, e solo noi possiamo combatterlo. La credenza nel diavolo ci defrauda dell’impegno di affrontare direttamente e responsabilmente il male, sia a livello individuale che a livello sociale. E, poiché credere nel diavolo è espressione di una forma primitiva di pensiero, solo un pensiero consapevole e moderno, può sottrarci alla insidiosa tentazione di rinunciare alla piena responsabilità del nostro agire.

Ribadisco a titolo conclusivo che il male deriva dalla difficoltà di opporre una valida resistenza alle pulsioni negative che vengono dal profondo (concezione laica), piuttosto che dal peccato originale, dalle tentazioni del Diavolo e dalla volontà di opporsi alla legge di Dio (concezione religiosa). Ciò nondimeno, riconosco che il mistero che avvolge la nostra esistenza terrena è tale che non possiamo escludere in assoluto l’opzione religiosa, che pone alla base del comportamento umano il rapporto diretto, personale, tra l’uomo e Dio: un rapporto che ha un fascino metafisico … carico di drammaticità, a cui è difficile sottrarsi.

 

BENEDETTO SACRESTANO