IL CASO WELBY |
Voglio riportare un piccolo articolo che è apparso sul quotidiano “Il SecoloXIX” del 17/12/2006 scritto da Elso Noro, è un articolo che in poche righe l’autore mette in evidenza i paradossi dogmatici che ci sono ancora nella religione cattolica. |
IL CASO WELBY LE CONTRADDIZIONI DEL PAPA Il Papa lancia anatemi contro l’intenzione di staccare la spina in questo caso particolare di malattia terminale, motivando tale posizione con piena consapevolezza che la vicenda Welby possa essere solo la prima di una lunga serie. Può essere che il Vaticano si sia infilato in una strada senza uscita. Afferma in continuazione che solo Dio può dare la vita e solo Lui può toglierla. Nulla da obiettare in tal senso. Ma a questo punto occorre ricordare che, se tutti i Welby d’Italia in questo momento sono in vita, questo è in netto contrasto con il disegno Divino. Infatti, senza terapie mediche che l’intervento umano ha reso possibili, queste persone avrebbero avuto il destino segnato e Dio avrebbe tolto loro la vita molto prima. Tenere in vita un uomo che, sarebbe già morto molti anni fa non va contro il corso naturale delle cose? Penso che forse vada addirittura contro la volontà Divina. |
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Lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano 21 settembre 2006 |
Caro
Presidente,
Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà
non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con
l'ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche,
incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un
baratro da dove non trovo uscita. Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l'amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso - morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita - è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio ... è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c'è pietà. Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una "morte dignitosa". No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere "dignitosa"; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia "dignitosa" è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell'occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos'è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: "Ostico, lottare. Sfacelo m'assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m'accerchia senza spiragli. Non esiste approdo".
L'approdo esiste, ma l'eutanasia non è "morte dignitosa", ma morte
opportuna, nelle parole dell'uomo di fede Jacques Pohier. Opportuno
è ciò che "spinge verso il porto"; per Plutarco, la morte dei
giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e
Leopardi la definisce il solo "luogo" dove è possibile un riposo,
non lieto, ma sicuro. Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. Tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più in avanti nel tempo. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, verrà un giorno che dai centri di rianimazione usciranno schiere di morti-viventi che finiranno a vegetare per anni. Noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.
Sua
Santità, Benedetto XVI, ha detto che "di fronte alla pretesa, che
spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino
all'eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita
umana, dal concepimento al suo termine naturale". Ma che cosa c'è di
"naturale" in una sala di rianimazione? Che cosa c'è di naturale in
un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e
proteine? Che cosa c'è di naturale in uno squarcio nella trachea e
in una pompa che soffia l'aria nei polmoni? Che cosa c'è di naturale
in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l'ausilio di
respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione
artificiale, svuotamento intestinale artificiale,
morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni
di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le
stesse ragioni si possa "giocare" con la vita e il dolore altrui. Sono consapevole, Signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica, e di obiettivi necessariamente affidati al libero dibattito parlamentare e non certo a un Suo intervento o pronunciamento nel merito. Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le volontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto. Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dar voce, in tutti i sensi, ai malati. Il suo sogno è stato interrotto e solo dopo che è stato interrotto è stato conosciuto. Ora siamo noi a dover sognare anche per lui. Il mio sogno, anche come co-Presidente dell'Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l'eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi. Piergiorgio Welby
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