Gesù, donne, Chiesa e prostituzione

 
 
 

 

 

Siamo sicuri di conoscere la vera storia del cristianesimo? Vorrei proporre un saggio che ho letto tempo fa. Vediamo un po’ di circoscrivere i vantaggi di questo straordinario saggio. Intanto è da sottolineare che è scritto da Karlheinz Deschner, uno storico che si è distinto principalmente per le sue opere storiografiche di natura critica nei confronti di tutto l'apparato ecclesiastico. Nei suoi libri lo scrittore cerca di dimostrare, rifacendosi alla storia ecclesiastica, l'infondatezza di molte teorie della Chiesa e di tutta la tradizione che ne consegue. Da ciò possiamo desumere che il saggio contiene dati di fatto, quindi reali, con una bibliografia e una documentazione storica straordinaria. Perché ho fatto questa premessa? Perché tutto il Cristianesimo è basato sulla menzogna. I vangeli, la trinità, il peccato originale, il battesimo, l’eucarestia, i vari concili, il papato, la gerarchia ecclesiastica, il grande stravolgimento dell’essenza delle parole di Gesù, la storia torbida tra fascismo e chiesa, la stessa storia di Gesù e quella di Paolo di Tarso, gli apostoli, i padri della chiesa, e tanti altri argomenti importantissimi, vengono analizzati, criticati e smontati da una corposa documentazione storica. Dopo aver letto il saggio ci accorgiamo che la chiesa, negli anni, ha manipolato con spudoratezza sia il Nuovo che il Vecchio Testamento, tutto ciò per avere la supremazia assoluta sia dal punto di vista di confessione che di potere economico. Non solo, ma molti eventi scabrosi sono stati nascosti per non compromettere una religione che di vero non ha niente.

 

 

 

Cosa sappiamo veramente di Gesù e cosa è venuto dopo

Saggio scritto nel 1988 da Karlheinz Deschner

 

Le chiese cristiane vivono grazie al fatto che i loro seguaci non conoscono la storia della loro stessa chiesa. Che per esempio non sospettano quanto poco sappiamo veramente di Gesù di Nazareth: quasi niente di storicamente accertato.

Neanche la sua esistenza è al di sopra di ogni dubbio. Napoleone a questo proposito era tanto scettico quando Federico il Grande. Lessing definì i fondamenti storici del cristianesimo «incerti». Goethe, per tutta la vita dichiaratamente non cristiano, parlò della «favola di Cristo», una «cosa fittizia». E nel XIX secolo, agli inizi del XX, perfino teologi cristiani negarono in modo reciso che Gesù fosse mai vissuto. Le fila dei più significativi tra essi vanno da Bruno Bauer, prima professore, poi verduraio (a Rixdorf, presso Berlino), fino a quello Hermann Raschke (che una volta mi definì il suo giovane amico) rispettato, anzi ammirato da teologi di fama mondiale come Loisy e Heiler: per decenni appassionato cristiano - e appassionato contestatore dell'esistenza storica di Gesù! Anche Albert Schweizer, uno dei più eminenti studiosi della vita di Gesù, ammise la possibilità della questione della non storicità di Gesù, scrisse anzi: «Non c'è niente di più negativo del risultato della ricerca sulla vita di Gesù. Il Gesù di Nazareth che si presentò come messia, annunciò il regno di Dio e morì per dare alla propria opera la consacrazione, non è mai esistito». E fa riflettere il fatto che perfino il «papa» protestante del nostro tempo, Karl Barth, abbia sempre preferito non partecipare «alla ricerca del “Gesù storico”».

Nonostante ciò, Gesù può senz'altro essere storico. Ormai questo viene anche (quasi) universalmente accettato. Ma non è mai stato dimostrato in modo inoppu­gnabile. E non si può non notare il silenzio della storiografia contemporanea. Certo, i paralitici camminavano, i ciechi vedevano, i morti riavevano indietro la vita. Ma gli storiografi di Palestina. Grecia e Roma lo ignoravano. Strano specialmente il silenzio di Giusto di Tiberiade, un attento conoscitore della Galilea, contemporaneo e conterraneo di Gesù. Ma Giusto non ne fa menzione, come non ne fa menzione Filo­ne di Alessandria, un esperto della Bibbia e delle sette ebraiche, del quale possedia­mo più di cinquanta scritti. In breve, il silenzio di tutta la letteratura non cristiana del I secolo è così totale che il noto teologo cattolico Romano Guardini dovette ammettere: «Il Nuovo Testamento costituisce l'unica fonte che dia notizia di Gesù».

E com'è la situazione riguardo all'affidabilità del Nuovo Testamento?

In una parola: disastrosa. E questo è il risultato di una ricerca più che duecentenaria,  condotta con una scrupolosità quasi inimmaginabile da teologi cristiani! Perché a parte il fatto che circa un terzo della «sacra scrittura» - una delle molte «sacre» scritture e «rivelazioni» della storia della religione — si fonda su falsificazioni, ovvero su testi per i cui autori la chiesa ha spacciato e spaccia a torto gli apostoli: il Nuovo testamento, quello che a quanto si dice, così ancora il Primo Concilio Vaticano nel 1870, «fu scritto su ispirazione dello Spirito Santo e ha Dio stesso per autore», è un testo in larga misura mitico. La moderna teologia storico-critica dichiara unanimemente che della vita di Gesù, del suo carattere, della sua evoluzione, non si riesce ad accertare praticamente più niente, e che anche la sua dottrina è perlopiù un'aggiunta degli autori. Eminenti teologi cristiani del XX secolo qualificano il Vangelo come una «raccolta di aneddoti» «non interessata alla storia», da utilizzare «solo con estrema cautela».

Ma sebbene copiando i libri biblici - dei quali in nessun caso esistono originali, ma solo copie di copie di copie — si siano fatti errori su errori, con intenzione o meno; sebbene in questo modo sia sorta tutta una giungla di varianti, un caos gigantesco - approssimativamente un quarto di milione di lezioni diverse —; sebbene in particolare i Vangeli brulichino di grossolane contraddizioni (specialmente nella descrizione del loro più grande «miracolo», della «resurrezione»), la moderna critica biblica considera alcune cose per provate.

Fa parte dei risultati più certi della ricerca teologica la fede protocristiana nel­l'imminente fine del mondo e l'inizio del potere di Dio sulla terra, in una metamorfosi di tutte le cose, non da ultimo dell'uomo stesso. Anche il Gesù sinottico ha sostenuto questa fede (ovviamente attenuata dagli evangelisti che scrivevano probabilmente quattro, cinque, sei decenni più tardi) con tutta l'intensità, ha considerato la sua generazione come l'ultima e in ciò si è sbagliato in modo radicale. «La ferma convinzione, in Gesù, della prossima venuta del giudizio e del compimento», così scrive il teologo Ileiler, «oggi non viene più contestata da alcun teologo serio e privo di preconcetti». E il teologo Bultmann sottolinea: «Non c'è bisogno di dire che Gesù, nell'attesa dell'imminente fine del mondo, si è sbagliato».

Solo quando il tempo ebbe smascherato come errata questa fede di Gesù e dell'intera cristianità antica, essa fu rivoltata dai capi della chiesa già divenuti potenti e ricchi, e il regno di Dio sulla terra annunciato da Gesù fu identificato con il regno dei cieli, fu rimandato all'aldilà ciò che i primi cristiani si aspettavano nell'aldiquà. l'attesa vicina divenne un'attesa lontana (un capovolgimento radicale dello spirilo originario fu operato dal cristianesimo anche nel cambiamento repentino del suo tricentenario, rigido pacifismo - nel IV secolo - nel più terribile grido di guerra che attraversi la  storia della religione, e nel cambiamento del suo comunismo religioso nel capitalismo di tutta la grande chiesa e del papato. Già nel V secolo il vescovo di Roma è il più grande proprietario terriero di tutto l'Impero Romano. Nel medioevo la chiesa cattolica, la comunità del «povero figlio dell'uomo», possiede un terzo dell'Europa. In oriente alla chiesa ortodossa, anch'essa comunità di quel poverissimo, appartiene un terzo dell'immenso impero russo fino al 1917. E il papato è oggi una potenza politico-finanziaria mondiale, che coopera in modo stretto - vedi i banchieri della mafia Calvi e Sindona, nel frattempo liquidati - con la malavita).

E’ possibile dunque seguire la crescita sistematica dell'immagine biblica di Gesù, la progressiva divinizzazione.

Ogni Vangelo, così afferma il teologo Cullman, cerca di «fare meglio» del suo predecessore. Ma in modo simile già gli antichi egizi migliorarono le loro sacre scritture. Non c'è proprio niente nel cristianesimo che sia originale, specificamente cristiano: tutto, dall'uso esteriore fino a ogni miracolo, al dogma più centrale, c'è già stato prima, nell'ellenismo o nell'ebraismo. E anche la comparsa di taumaturghi, salvatori, figli di Dio scesi dal cielo, madri di Dio che erano al tempo stesso madri e vergini, tutto il dramma cristiano della salvazione - preesistenza, incarnazione, crocifissione, resurrezione, viaggi agli inferi e in cielo - c'era già stato prima, una cosa dopo l'altra e più di una volta, e fu trasferito - totalmente! - alla figura di Gesù, che essa sia storica oppure no.

Certo, già nel più antico dei Vangeli, scritto quasi cinquant'anni dopo la sua presunta morte, il galileo è «figlio di Dio». Ma l'espressione vi è usata raramente. E qui Gesù viene adottato a «figlio di Dio» solo al momento del battesimo. E in Marco - contrariamente al successivo dogma della chiesa - egli non è né onnipotente, né onnisciente, né assolutamente buono. Ma questo tralucere dell'essere umano Gesù, gli evangelisti più recenti Matteo e Luca cercano di cancellarlo. Essi «migliorano», idealizzano anche i suoi discepoli, aumentano i miracoli in modo quasi sistematico. E nel quarto, dapprima tacciato di «eresia», poi rielaborato dalla chiesa, il cosiddetto Vangelo di Giovanni, benché in nessun caso scritto dall'apostolo Giovanni, Gesù viene ulteriormente elevato, ogni carattere umano accuratamente evitato, la sua divinizzazione diventa pressoché perfetta; col che naturalmente molte cose contraddicono diametralmente i Vangeli precedenti.

Ma la chiesa aveva ed ha bisogno di Gesù come Dio. Doveva fare del «padre» e del «figlio» un unico essere, un'unità assoluta. Perché solo così si poteva dissimulare l'evidente dottrina dei due, poi tre dèi (con l'aggiunta successiva dello «Spirito Santo» come terzo membro dell'alleanza - rifacendosi a innumerevoli trinità del paganesimo) e pregare il «figlio», che era la cosa «nuova», esattamente come il «padre», che avevano già gli ebrei.

Tutto questo sta però in netto contrasto con la più antica fede cristiana. Perché a quanto ci dice tutta la teologia critica, per gli apostoli originari Gesù era sì una creatura insolitamente dotala, tuttavia era un uomo, un essere mortale. E come avrebbero potuto quelle persone, che credevano rigidamente in un unico Dio, considerare Gesù, con il quale vivevano quotidianamente, camminavano, fuggivano, il Signore del cielo e della terra e di tutte le creature? Non conoscevano né la fede in lui, né la storia della sua nascita dalla Vergine, tanto meno la sua preesistenza. E naturalmente anche la professione di fede «apostolica» non risale a loro, niente di ciò che Roma chiama apostolico è apostolico (eccetto gli apostoli); ha origine solo alla fine del II secolo, è ancora in evoluzione nel III secolo ed è definitivamente stabilito solo nel medioevo.

Anche per Paolo, per quanto egli - utilizzando idee pagane - promuova la divinizzazione di Gesù, questi non è identico a Dio. Piuttosto, anche l'«apostolo dei popoli» sostiene inequivocabilmente la cristologia subordinazionista, respinta nel IV secolo al concilio di Nicea, che subordina Gesù a Dio. Paolo definisce Dio il capo di Cristo nello stesso senso in cui definisce Cristo il capo dell'uomo, e così la sua dottrina, per dirla in modo grossolano con il teologo Bousset, finisce per farlo apparire come un «semidio».

Ancora per tutto il II secolo fu considerata ovvia una cristologia che subordina al «padre» il «figlio» (e al «figlio» poi allo stesso modo lo «spirito»), dunque un politeismo raffinato. Questa «eresia» era la dottrina generale della chiesa! Anche i cristiani del II secolo non consideravano Gesù «consustanziale» a Dio. Gli attribuivano, come anche i più famosi santi dell'epoca - il martire Giustino, il padre della chiesa Ireneo —solo il secondo posto dopo «il dio eterno e immutabile, creatole del mondo», e dichiaravano, tenendo conto della testimonianza dello stesso Gesù in Marco (13,32), che il «padre» stava al di sopra di tutto ed era più grande anche del «figlio».

Come la chiesa cattolica, che sorse alla fine del II secolo, stravolse tutto ciò che vi era di cruciale nel Vangelo - la tendenza apocalittica, quella pacifista, quella sociale - lo stesso fece con l'atteggiamento di Gesù nei confronti del digiuno, della donna e del matrimonio.

Secondo quanto dice la teologia critica, Gesù non negò assolutamente sensualità e natura. Combatté anzi l'ascetismo dei farisei e del Battista, dal quale si divise proprio per questo motivo. Non abitò nel deserto, come Giovanni, non evitò il mondo, i piaceri e le feste. Comparve spesso come ospite od ospitò egli stesso. I suoi nemici, come già a Buddha prima di lui — delle cui parole e dei cui miracoli molto fu trasferito su Gesù - gli diedero dell'«ingordo e ubriacone». E anche i suoi discepoli, dice la scrittura, «non digiunavano», ma banchettavano «allegramente».

Il Gesù del Vangelo ha con le donne rapporti del tutto privi di pregiudizi. Se l'Antico Testamento le equipara agli animali domestici, all'inizio della «nuova era» erano ancora allo stesso livello del bambino e del servo. Erano estromesse dalla vita pubblica, escluse anche da ogni partecipazione attiva alla funzione religiosa. Le donne non venivano salutate e non ci si faceva salutare da loro, si giudicava la meschinità dell'uomo sempre migliore di ognuna delle virtù di lei. E perfino gli animali sacrificali dovevano essere di sesso maschile! Viceversa, Gesù non considerava le donne inferiori, non le allontanò mai. Infranse il Sabato a causa di una donna, guarì una notevole quantità di donne, esse appartennero alla cerchia dei suoi allievi e in seguito, tra i suoi seguaci, furono forse più numerose degli uomini.

Ma il cattolicesimo, la cui star moralista romana Hàting, come molti falsificatori religiosi, afferma adesso che in nessuna religione o visione del mondo «la donna è rispettata e onorata come nel cristianesimo», per duemila anni ha disprezzato, umiliato, screditato la donna. Con riferimento all'Antico Testamento, essa appare fin dall'inizio come un soggetto carnale, immondo che seduce l'uomo, come Eva e peccatrice per eccellenza. Come le comunità sono sottomesse a Cristo, annuncia il Nuovo Testamento, «così le donne ai loro uomini in tutte le cose». I più grandi dottori della chiesa (il titolo, che solo due papi hanno avuto, è il massimo riconoscimento per i cattolici), Crisostomo, Gerolamo, Agostino, Tommaso d'Aquino, propagano che la donna non è fatta a somiglianza di Dio, è fisicamente inferiore e intellettualmente «un piccolo uomo riuscito male», destinata «principalmente» a soddisfare il desiderio virile - «l'uomo ordina, la donna obbedisce».

Alle soglie dell'epoca moderna, nel XV secolo, papa Pio II chiama la donna «diavolo», «una sorta di inferno». A cavallo tra XVII e XVIII secolo il predicatore Abraham a Santa Clara la insulta definendola «sterco». Ancora all'inizio del XIX secolo appaiono scritti sulla famigerata disputa scolastica «La donna ha un'anima?» e ancora nel 1980 il vescovo di Ratisbona Graber, alludendo all'Apocalisse, parla della «stretta relazione della donna con l'animale» e dichiara subito dopo: «La sessualità porta alla bestialità». L'assassinio in guerra, i milioni di assassinii non vi conducono mai, per questi signori. Al contrario. La guerra per loro è spesso sacra, una funzione religiosa. La sessualità invece è demoniaca, è quasi la cosa peggiore di tutte.

Anche Lutero, che abolisce sì il celibato, tira fuori le monache dai conventi, e delle pratiche di castità e di mortificazione della carne pensa che «possono attuarle senz'altro tutti i giorni anche un cane e una scrofa», oltraggia tuttavia la donna definendola «un mezzo bambino», «un animale pazzo»; «il massimo onore che possiede è che siamo tutti quanti nati da donne». E come i cattolici, dai quali riprende il principio del disprezzo e della rovina degli uomini, anche Lutero degrada le donne a mere macchine per la procreazione. «Anche se la gravidanza le stanca e alla fine le uccide» insegna «questo non guasta, che le uccida pure, esistono per questo» - il che per una donna dovrebbe essere già motivo sufficiente per non essere più protestante.

Questa campagna denigratoria che arriva quasi fino ad oggi ha avuto, data l’enorme influenza del clero, un effetto devastante. La donna è stata danneggiata costantemente e pesantemente dal punto di vista giuridico, economico, sociale, della politica culturale; per secoli è stata trascinata sui roghi come «strega» o anche, già nel XVII secolo, nella diocesi di Breslavia, per esempio, nella diocesi di Bamberga, nei forni crematori, «perché prima si era consumata troppa legna», così il vescovo di Bamberga, tanto risparmiatore quanto progressista (proiettato verso le camere a gas) — il che per una donna dovrebbe essere già motivo sufficiente per non essere più cattolica.

In tutto questo e naturalmente molto di più si era trasformato il riguardo verso le donne del Gesù biblico, il quale si era anche astenuto dal condannare un'adultera «perché ha molto amato» ! Non a caso, proprio a questo passo sono state fatte continue correzioni come a nessun altro del Nuovo Testamento, e si è perfino ripetutamente tentato di cancellarlo. Se Gesù stesso fosse sposato, fatto a favore del quale secondo alcuni depongono diverse circostanze, resta naturalmente non dimostrabile. I catari vedevano in Maria Maddalena la moglie o concubina di Gesù. E secondo Lutero egli commise probabilmente adulterio con lei ed altre, per condividere completamente la natura umana.

In ogni caso, il Gesù biblico non ha mai combattuto o sminuito il matrimonio come ha fatto Paolo, che era ostile ad esso, che è il vero fondatore del cristianesimo e che rispetto alla predicazione di Gesù introduce elementi assolutamente nuovi e, per il cristianesimo, centrali; soprattutto la dottrina della redenzione, di origine pagana, la dottrina del peccato originale, quella della predestinazione o appunto la sua discriminazione della donna, e anche del matrimonio, che egli permette solo «per (evitare) il meretricio». E qui si riallaccia di nuovo Lutero, che si rifà a Paolo: «Perciò la fanciulla ha il suo piccolo arnese, per portare un rimedio a lui (all'uomo), affinché si evitino polluzioni e adulteri». Paolo però dichiara buona cosa «non toccare nessuna donna».

Il cattolicesimo non ha certo vietato il matrimonio - se non altro, per la propria prole — ma, per quanto lo si neghi continuamente, lo ha diffamato per quasi due millenni, ha introdotto l'idea del matrimonio come sacramento solo nell'alto medioevo, e perfino riconosciuto il matrimonio civile (senza l'espressione del consenso dinanzi al sacerdote) fino al XVI secolo! Conformemente a ciò, in molti luoghi alle seconde nozze fu rifiutata per più di un millennio la benedizione ecclesiastica, e inoltre ogni celebrazione di matrimonio fu resa difficile, talvolta impossibile, da una serie di disposizioni: in caso di impotenza, difformità di confessione religiosa, consanguineità (al massimo fino al quattordicesimo grado secondo il calcolo romano!). E ancora nella Germania Federale (che si dice religiosamente neutrali ). A divieto di matrimonio tra cognati, valido in contrasto con la costituzione, risale al diritto canonico - come tante altre cose!

Conformemente alla propria ideologia ascetica, la chiesa ha però rigorosamente limitato anche i rapporti sessuali coniugali, impedendoli per secoli: la domenica e nei giorni di festa, nei giorni di penitenza e preghiera, in tutti i mercoledì e venerdì oppure venerdì e sabato, nell'ottava di Pasqua e di Pentecoste, nei quaranta giorni di quaresima, durante l'avvento, prima della comunione, talvolta anche dopo, durante le gravidanza e dopo, insomma, per otto mesi all'anno. E naturalmente non solo era vietato, ma le infrazioni erano punite con severi castighi.

Al clero, il papato - con motivazioni estremamente egoistiche, pecuniarie e clerical-politiche - proibì del tutto il matrimonio. Eppure l'Antico Testamento raccomanda perfino al sommo sacerdote «una vergine per moglie», e secondo il Nuovo Testamento addirittura il vescovo deve essere «il marito di una donna». Gli apostoli portavano le loro mogli nei loro viaggi missionari, così come in tutta la chiesa antica la maggioranza dei sacerdoti e vescovi era sposata.

Ciononostante, Roma ha a poco a poco, inesorabilmente combattuto il clero ammogliato, e gli ecclesiastici sposati li ha periodicamente o permanentemente incarcerati, torturati, mutilati, trucidati, talvolta durante la funzione religiosa. Anche le loro mogli - «pantani di grasse scrofe» (il cardinale, santo e dottore della chiesa Pietro Damiani. 1006-1072), e violentate talora perfino sugli altari -di secolo in secolo furono, insieme ai loro figli, private di ogni diritto, frustate, vendute, spesso confiscate dai vescovi insieme a tutte le loro proprietà e trasformate in schiave della chiesa «per l'eternità»; ancora nel XVIi secolo si ordinava di gettarle «per sempre in prigione». E papi e dottori della chiesa alimentavano questa persecuzione «fino allo spargimento di sangue», «fino al completo annientamento».

Ma quello che sorse dai matrimoni ecclesiastici soffocati fu un harem ecclesiastico! Ovvero, come ci informa il canonico agostiniano austriaco Corrado di Waidhausen nel tardo medioevo (ca. 1325-1369), «una stalla di Augia che si definisce chiesa di Cristo - ma è solo un bordello dell'anticristo».

Nell'VIII secolo san Bonifacio, l'apostolo dei tedeschi, parla di religiosi che si tengono «quattro, cinque, anche più concubine nel letto la notte». Nel 909, il sinodo di Troslé ammette che i preti «marciscono nella sporcizia della lascivia». Dall'Inghilterra all'Italia si conferma allora che il clero «è purtroppo di gran lunga peggiore dei laici». Nell'XI secolo, il vescovo bretone luhell di Dol celebra pubblicamente il matrimonio e dota le sue figlie di beni della chiesa, il vescovo di Fiesole è circondato da un intero sciame di maitresses con rispettivi figli. Nel XIII secolo, quando la cistercense Mechthild di Magdeburg si lamenta che Dio chiama i canonici montoni, «perché la loro carne puzza di lussuria», l'arcivescovo di Besancon, che spreme il suo clero fino alla miseria estrema, ha rapporti sessuali con una consanguinea, la badessa di Reaumair-Mont, ingravida una suora e fornica risaputamente con la figlia di un prete. E c'erano sommi pastori, a Basilea, a Liegi, con 20, anche con 61 figli.

Se però le donne si opponevano ai preti libidinosi, venivano accusate di eresia, un metodo adottato anche dai cacciatori di eretici. L'inquisitore - alcuni di questi abominevoli assassini di massa furono santificati, il domenicano Pietro da Verona neanche un anno dopo la morte! - , l'inquisitore Robert le Bougre, detto il «maglio degli eretici», minacciava le donne non disponibili con lui di mandarle sul rogo. L'inquisitore Foulques de Saint-George, per raggiungere il suo scopo, incarcerò le recalcitranti come «eretiche». Anche ai grandi concili, i pii celibatari spesso non riuscivano a separarsi dalle donne. Così al Concilio di Costanza, che mandò al rogo Jan llus, operarono oltre al papa, agli oltre trecento vescovi e allo Spirito Santo anche settecento prostitute pubbliche, non contando quelle che i padri del concilio avevano portato con sé.

Le riforme tridentine non cambiarono molto. Nel XVII secolo l'arcivescovo di Salisburgo von Raitenau aveva una moglie e quindici figli. Nel tardo XIX secolo, in una diocesi italiana, ogni ecclesiastico — compreso il vescovo — aveva rapporti sessuali con una donna. La situazione era simile, a quei tempi, anche in America Latina. E simile dovrebbe essere ancora oggi: un gerarca sudamericano riferì alla Giornata dei Cattolici di Essen che, su quindici dei suoi preti, quattordici vivevano con la loro governante come con una moglie.

Un teologo cattolico che conosco bene confessò a un primate tedesco dei «problemi». «Quali?» chiese il cardinale, e sorrise poi bonariamente: «Ah, il celibato...» Coram publico, però, lo stesso principe della chiesa lo promuoveva come «una forma di vita che trova il suo fondamento e il suo orientamento nella Bibbia» — in netto contrasto tanto con l'Antico, quanto con il Nuovo Testamento! E papa Giovanni Paolo II, accanito sostenitore del celibato come via per il regno dei cieli, continua ad affermare che esso è superiore al matrimonio — e la direzione della chiesa preferisce sopportare con collaudata ipocrisia i matrimoni segreti dei preti e paga gli alimenti per i figli!

La stessa situazione si presenta dall'antichità all'epoca moderna in numerosi conventi. Vi fiorirono l'omosessualità, la pederastia, e spesso era proibito anche tenere animali di sesso femminile, benché fosse possibile peccare anche con quelli di sesso maschile. Probabilmente per questo motivo san Francesco, nella sua Seconda Regola, non premette ai suoi frati «in nessun modo» di tenere «un animale essi stessi, o presso altri, o in qualsiasi altro modo», e la chiesa non grida forse apertamente attraverso i secoli che i monaci danno ai popoli «gli esempi peggiori»? Che «quasi in tutta Europa non c'è ... quasi più niente da scoprire dei monaci, eccetto il saio e la pelata»? Che i monaci non osservano il voto di castità, e abusano perfino delle ragazze «che hanno formulato esse stesse quel voto»? Che molti andavano in convento solo per poter fornicare il più possibile indisturbati?

Si potrebbero riempire interi volumi di esempi, e non di rado gli abati esageravano più degli altri. L'abate Bernharius del convento di Hersfeld, per esempio. O l'abate Clarembald di Sant'Agostino a Canterbury, che aveva diciassette figli in un solo villaggio. O l'abate di Nervesa, Brandolino Waldemarino, che fece assassinare suo fratello e fece con la sorella l'animale con due schiene. Giordano Bruno parla di «monachesimo sudicio». Ancora alla fine del XVI secolo i conventi maschili brulicano di donne e bambini. Questo celibato, ironizza Oskar Panizza, da parte cattolica proseguì tranquillamente. «Durante un'ispezione dei conventi della Bassa Austria nel 1563, presso i 9 monaci del convento benedettino di Schotten 7 concubine, 2 mogli, 19 figli; presso i 7 canonici del convento di Neuburg 7 concubine, 3 mogli, 14 figli; presso le 40 suore di Aglar 19 figli etc. Questo era definito celibato».

Le monache inaugurarono invece in occidente la prostituzione ambulante.

I conventi femminili erano paragonati sempre più spesso a case di piacere. Talvolta, l'atto di prendere il velo portava direttamente alla prostituzione. Non a caso, nella Francia medievale la tenutaria giurata si chiamava «abesse». E in America, ancora oggi si usa l'espressione «nun» (suora) - per «puttana» - vedi Requiem far a nun di Faulkner. Molti conventi medievali erano conosciuti come aperti bordelli. Frauenbrunn, Trub, Gottstadt presso Berna, Ulm, Muhlhausen. I conventi di suore di Kirchberg presso Sulz, Kirchheim sotto Teck, Oberndorf im Tlial erano chiamati direttamente il «bordello» dell'aristocrazia. Il convento di Gnadenzell era chiamato «Offenhausen», casa aperta. Il consiglio cittadino di Losanna ordinò alle suore di non mandare in fallimento i bordelli, e quello di Zurigo protestò aspramente nel 493 «contro il lascivo andirivieni nei conventi femminili». In Inghilterra, i rapporti sessuali tra prìncipi e suore erano una tradizione. Le monache russe si tenevano di quando in quando pubblici amanti ed allevavano altrettanto pubblicamente i loro figli, che solitamente diventavano a loro volta monaci e suore. In certi conventi d'occidente, a quasi tutte le «sante vergini» venivano dei «grossi pancioni»; esse però eliminavano «segretamente i loro bambini». In nessun altro posto si abortiva sistematicamente come in molti conventi. E il 18 settembre 1984 papa Giovanni Paolo II in Canada ebbe la sfacciataggine di accostare l'aborto alla bomba atomica!

Naturalmente, l'autore non si inventa di sana pianta tutti questi fatti facilmente moltiplicabili. 1 suoi libri «Il gallo cantò ancora», «La Chiesa che mente», «La croce della Chiesa», la «Storia criminale del Cristianesimo» contengono centinaia di pagine di citazioni di fonti in carattere piccolo, per la grande maggioranza di provenienza cristiana o ecclesiastica. Chi tuttavia dubita - nessuno apprezza lo scetticismo più di me — interroghi gli stessi papi, per esempio nel tardo medioevo il più potente papa della storia, Innocenzo III, che definisce i preti «più dissoluti dei laici». Oppure Onorio III, secondo il quale essi «sono diventati corrotti e un'insidia per i popoli» e «marciscono come le bestie nel letame». Oppure Alessandro IV, il quale lamenta «che il popolo, anziché migliorato, viene completamente rovinato dagli ecclesiastici».

Ma le cose stanno diversamente con i «Santi Padri»?

Nel decimo secolo, la marchesa di Tuscia aveva fatto in modo che il suo amante Giovanni diventasse papa Giovanni X. La loro figlia Marozia, a causa della quale egli morì in prigione, fornicava con Papa Sergio III e promosse vicario di Cristo il frutto venticinquenne dei loro sforzi comuni: Giovanni XI, anch'egli liquidato presto in carcere. Giovanni XII, così dotato che potè montare alla Santa Sede appena diciottenne, montò anche le sue sorelle, la concubina di suo padre, vedove, vergini, pie pellegrine giunte a Roma - in poche parole, portò avanti un sistema di amanti senza pari, finché nel 964 morì per un adulterio. Papa Bonifacio VII. che nel 974 fece strangolare il predecessore Benedetto VI e un decennio dopo fu a sua volta assassinato, era considerato come una bestia orribile che superava tutti i mortali in spregevolezza. Benedetto IX...

Ma lasciamo perdere questa epoca che, dobbiamo ammetterlo, fu particolarmente oscura, non solo in puncto puncti. Ma come ci si comportava a Roma mezzo millennio più tardi?

Lutero pensava: «Stanno nello sporco fino alle orecchie». Nel 1410 il cardinale legato Baldassarre Cossa raggiunse il grado di papa dopo essersi accoppiato a Bologna con intere schiere - si parlò di duecento - di donne sposate, vedove, vergini, anche molte suore. Qualche decennio più tardi papa Sisto IV fece costruire non solo la cappella Sistina (che da lui prende il nome), ma anche un bordello. Ovviamente anche vari cardinali, vescovi, persino abati, madri superiore fecero costruire case di piacere. Appare ogni volta chiaro quanto legittimamente Pio II dichiarasse al re di Boemia, richiamandosi addirittura a sant'Agostino - «Signore, dammi la castità», aveva pregato perfino lui «ma non subito»! — che senza un'organizzazione ben regolata dei bordelli la chiesa non poteva esistere (Questo giudizio è divenuto nel frattempo patrimonio comune. Nel 1987 la trentenne prostituta di Francoforte Fiori Lille, scrisse all'egregio signor Papa: «Veda, io lo so: finché Lei predicherà la decenza, la mia indecenza fiorirà, finché Lei confinerà nell'oscurità la conoscenza riguardo a prevenzione e aborto, il mio monopolio durerà... in altre parole: finché il Suo trono rimarrà saldo, anche il mio letto non traballerà» - in realtà traballa, eccome). Sisto IV, uno dei più libidinosi, che montò anche sua sorella e i bambini, non solo introdusse la festa dell'Immacolata Concezione, ma intascò dalle sue puttane anche ventimila ducati all'anno, per l'epoca una bella somma. Una cittadina su sette della «Città Santa» era allora una prostituta. Il nipote di Sisto, il cardinale Pietro Riario, che ricevette la benedizione di quattro diocesi e un patriarcato, si accoppiò letteralmente a morte - e in più ebbe uno dei monumenti funebri più belli del mondo.

La doppia morale appartiene ai tratti più fondamentali e ripugnanti di questa Chiesa. Secondo l'antico motto cattolico, «se non casto, almeno prudente», i santi padri distinsero rigidamente tra un peccato nascosto e uno manifesto, per il secondo dei quali raddoppiarono, addirittura triplicarono le pene. Il clero medievale riceveva delle vere e proprie istruzioni: «Ma si stia attenti a che accada di nascosto...» - la segreta massima (a)morale ancora oggi, quando per esempio gli atti osceni compiuti con chi viene a confessarsi vengono puniti con la costante penitenza e con la rimozione del prete solo «se il delitto è venuto alla luce».

In particolare sotto Giovanni Paolo II dilaga una nuova pruderie, sotto un papa che esclama «scegliete la vita ... rispettate il vostro corpo!», ma al contempo esalta la necessità «di strappare il proprio occhio e mozzare la propria mano, se queste membra suscitano scandalo», e che mette sempre sullo stesso piano «le droghe, il terrorismo, l'erotismo». In Italia si incendiano le auto di sociologi e politici di libero pensiero, si frantumano le finestre delle loro case, si eliminano aree di campeggio o balneari permissive, di tanto in tanto si mandano i nudisti all'ospedale. L'intrapresa riforma del diritto penale sessuale ha languito. E stata aperta anche la caccia a determinati film, alimentata dal papa stesso, che recitava il rosario in Vaticano con circa cinquecento fedeli per chiedere perdono della «profanazione della madre di Dio» ad opera del film di Jean Lue Godard «Je vous salue, Marie». I pubblici ministeri hanno sequestrato pellicole nei cinema porno, a Milano e a Roma si sono incendiate le sale cinematografiche.

La religione dell'amore ha sempre combattuto, quando possibile, con il fuoco e con la spada. Già nel IV e V secolo, a Roma e lontano, nell'Impero Romano, bruciavano le sinagoghe, prima che i cattolici massacrassero gli ebrei, prima che essi, nel Medioevo, uccidessero talvolta in un giorno solo più ebrei di quanti cristiani siano stati uccisi dai pagani nei duecento anni di persecuzione nell'antichità! Anche Lutero istigava a ridurre in cenere le sinagoghe, «così che nessuno ne vedesse più una pietra o una scoria per tutta l'eternità».

Bruceranno in futuro i cinema in luogo delle sinagoghe? O le biblioteche con libri indesiderati? Anche a Parigi è bruciata una sala in cui si proiettava «L'ultima tentazione di Cristo» di Martin Scorsese. Viceversa non si è sentito che vi sia bruciato il palazzo vescovile, quando pochi anni prima hanno esalato l'ultimo respiro il vescovo Tort in un bordello e il cardinale Daniélou presso la danzatrice nuda Mimi — naturalmente nel loro servizio di cura delle anime, di caritas, come da parte della chiesa si sottolineò seriamente.

Dagli Stati Uniti, dove sotto il Presidente Reagan, devoti fondamentalisti (senza fondamento!) della Bibbia condussero già quasi una crociata per un'«America pulita», l'onda di pruderie sciabordò oltre oceano e anche da noi — per ignoranza della storia o pura ipocrisia — si sobillarono gli animi contro la scena d'amore, vissuta come allucinazione sulla croce, di un uomo che, se è mai vissuto, certo non è stato una cosa: Cristo. Questo Gesù infatti, come ha dimostrato la teologia cristiana storico-critica, era ancora sotto l'influenza della tradizione ebraica; pensava sì con tutta la possibile intensità all'imminente fine del mondo che non venne, ma nemmeno per sogno avrebbe immaginato la lunga storia che sarebbe venuta al posto di quella, con i vescovi e i papi, le crociate, i pogrom contro gli ebrei, l'inquisizione, a una «redenzione» per mezzo di leggende e menzogne, e di un enorme torrente di falsità (in occidente, durante il Medioevo, c'erano quasi altrettanti documenti, cronache, annali falsi quanti autentici - e per secoli, fino all'alto medioevo, i falsificatori furono quasi esclusivamente ecclesiastici cristiani).

Si è osservato spesso, da Goethe fino a Dostojewski, da Nietzsche a Henry Miller, il quale lo scrisse a me stesso, che se Gesù ritornasse sarebbe di nuovo messo in croce. E naturalmente, solo un cardinale della curia potè aggiungere con competenza: «Questa volta però non a Gerusalemme, bensì a Roma».