A proposito di un’etica senza Dio

                                                                                                               di Antonio Bagnato

 

 

    “Il riproporsi nel dibattito pubblico dell’idea che lega indissolubilmente etica e Dio (o natura), e la conseguente negazione a coloro che non sono religiosi della possibilità stessa di una vita morale, è un chiaro segno della crisi del processo di sviluppo, apertura e allargamento che la cultura occidentale ha realizzato dall’Illuminismo ad oggi”. Così scrive, tra l’altro, Eugenio Lecaldano nell’introduzione al suo volume Un’etica senza Dio, Laterza, Roma – Bari, 2006, pp. 109.

   Questo modo di pensare sembra essere il segno di una fase di ripiegamento su se stessa e di paura della società occidentale, che non appare capace di trovare in sé  le risorse e le capacità per affrontare le tensioni verificatesi in questi ultimi decenni, provenienti dall’esterno, e dovute - a parere di E. Lecaldano - “alle infiltrazioni di relazioni con società assai differenti” e, dall’interno, in seguito alle “spinte innovative cui sono sottoposti i valori tradizionali”, derivanti, per lo più, dai progressi della scienza e della medicina e che hanno “investito la nascita, la cura, la morte”.

    Significativo è lo scontro sulle questioni di etica e, in particolare, di bioetica tra la concezione laica di questi temi e quella cattolica, specialmente in un Paese come l’Italia in cui si notano spesso ingerenze delle gerarchie ecclesiastiche, relative a tali questioni, nell’ambito della politica e persino per quanto riguarda i luoghi in cui si concretizzano i processi legislativi. Si pensi, tra l’altro, all’intervento diretto della chiesa cattolica, in particolare, attraverso l'allora presidente della Conferenza episcopale italiana, monsignor Ruini, sulla fecondazione assistita, sulle cellule staminali, sulle unioni di fatto, così come sulla libertà o meno di scegliere la morte quando la vita sembra non abbia più senso, non essere  più sopportabile per  le atroci sofferenze e non appare all’orizzonte alcuna possibilità di miglioramento, e persino sul testamento biologico.

     I disaccordi nati intorno ad argomenti che fanno riferimento alla bioetica come la fecondazione in vitro, l’ingegneria genetica, la clonazione, l’eutanasia ed altro ancora “hanno ingenerato nell’opinione pubblica –secondo Eugenio Lecaldano -   molte paure ed angosce e, in questo clima, non sembra abbiano avuto la meglio coloro che hanno proposto di affrontare coraggiosamente i cambiamenti mediante una revisione dei valori che ci hanno trasmesso le passate generazioni”.  Da qui un’intransigente difesa della tradizione come valore non discutibile e, quindi, come parola d’ordine e, di conseguenza, l’affermazione di un “legame indissolubile tra Dio e la moralità umana”, nonostante la sua messa in discussione ormai da alcuni secoli.

  La riproposizione, con forza, di un legame stretto ed indissolubile tra Dio e i comportamenti etici degli esseri umani esclude questi ultimi dall’essere fonte autonoma di moralità;  ciò perché la moralità si può fondare solo su Dio, altrimenti non sarebbe possibile. Così, però, la morale sarebbe eteronoma, direbbe Immanuel Kant, perchè imposta da un " comando" esterno alla libera coscienza della persona.  Una simile concezione lungi dal “segnare una fase positiva - a parere di E. Lecaldano - è un segno di decadenza della nostra cultura che si arrocca su posizioni confutate, non convalidate né dall’esperienza né dalla ragione, e tanto meno dalla vita emotiva che tutti noi condividiamo in quanto appartenenti ad un’unica specie”.

   Presupporre un’indissolubile relazione tra credenze religiose e convinzioni morali, significa che solo chi appartiene ad una fede religiosa può agire moralmente. L’essere razionale dell’uomo non è sufficiente perché egli possa pensare regole morali ed azioni finalizzate al bene senza interesse alcuno.

   Nella concezione cristiano-cattolica, e non solo, la persona umana è una creatura di Dio e Questi  avrebbe dato solo ad essa  la ragione come strumento di conoscenza e di libertà, quindi, il libero arbitrio. Ma la libertà comporta sempre un rischio per cui, in qualche modo, va legata alla volontà di Dio e alla “strada” indicata dalla chiesa e alla sua lettura- interpretazione delle scritture.  In ultima analisi, la libertà ed il bene possono realizzarsi come tali solo se si è “obbedienti” ai precetti ed alla volontà di Dio, rappresentata sulla terra dall’autorità religiosa che li indica e interpreta, per evitare devianze e, quindi,  di cadere nel peccato.

    Solo un’etica che abbia come fondamento e come orizzonte Dio e, di conseguenza, , valori supremi e immutabili provenienti da un’alta autorità esterna, potrebbe fare da baluardo per evitare “il declino della civiltà occidentale, in quanto tale orizzonte è l’unico che può conferire ai valori morali l’autorevolezza e la forza di cui necessitano, pena la deriva del nichilismo”. Così - secondo E. Lecaldano- si spiegherebbe l’attuale intransigenza etico-religiosa della chiesa cattolica.

   Una tesi questa sostenuta in ambienti cristiano-cattolici ed in particolare nell’ambito delle alte gerarchie ecclesiastiche e che trova consenso anche in alcuni ambienti laici ed atei, i cosiddetti atei devoti. Tesi funzionale alla difesa e alla salvaguardia dell’Occidente cristiano e dei suoi valori tradizionali, segnato dal relativismo e che sembra andare verso una deriva nichilista,  ma anche legata a interessi politici non sempre sufficientemente mascherati.

   Una simile impostazione non può non portare ad una concezione fondamentalista della religione, dell’etica e persino della politica perché ognuno può sentirsi depositario di una verità rivelata in religione, in etica  e persino in politica,  e cercare di imporla.

   Da qui anche un possibile scontro di civiltà tra concezioni etico-religiose e politiche del mondo differenti: tra cristianesimo ed islam, per esempio. L’arroganza di chi si  ritiene il possessore di verità religiose ed etiche si traduce anche nel non rispetto dell’altro perché diverso e nella negazione di una possibile fratellanza universale al di là del credo religioso.

   Così i credenti possono rivolgersi ai non credenti tacciandoli “di incapacità a fondare qualsiasi valore morale” e agitare come propria ed esclusiva la prospettiva “di una vita eterna e la fiducia in un orizzonte salvifico e messianico”, da cui vengono esclusi gli scettici  religiosi, gli agnostici o gli atei.

    Una siffatta concezione dell’etica non solo discrimina tra credenti e non credenti, fatto assai grave perché si escludono questi ultimi dalla capacità  di “fondare” e fare il bene, ma pretende, nel concreto, di imporre ai singoli decaloghi morali, con fondamenti religiosi, come se fossero universali, perché fondati sull’autorità della chiesa cattolica quale rappresentante di Dio nel mondo, di cui il papa è il suo vicario.

   Da qui una discriminazione religiosa che sconfina sul piano dell’etica e della politica, mediante una classificazione dei cittadini in credenti e non credenti.

      Il 26 marzo del 2006 papa Benedetto XVI pronuncia, davanti ai parlamentari del partito popolare europeo, un discorso dal titolo Vita, famiglia, educazione non negoziabili. Un intervento che non sembra possa essere interpretato solo come “un monito etico rivolto alla platea in ascolto”. Si ha, invece, l’impressione – scrive Lecaldano - che quel discorso fosse un’esplicita richiesta ai parlamentari europei “di ottemperare all’obbligo di non varare alcuna legge relativamente alla utilizzazione scientifica degli embrioni, alla morte volontaria, ai patti civili”.

   Benedetto XVI, da allora in poi, ha sempre insistito, assieme alla Conferenza episcopale italiana , prima presieduta dal cardinale Ruini e poi da Bagnasco, arcivescovo di Genova, ed alle alte gerarchie ecclesiastiche,  sulla non negoziabilità dei  principi relativi alla vita, alla famiglia, alla educazione, pur riconoscendo che questi  principi “non sono verità di fede”, anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede; essi “sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità”. Natura umana che è strutturata secondo un intelligente disegno divino.  Da qui l’azione necessaria della chiesa di Roma, che ”non è confessionale ma rivolta a tutte le persone”, al fine di salvaguardare quei “principi naturali” i quali rischiano di essere negati o mal compresi. La negazione o incomprensione di tali principi “ costituisce - a parere di Benedetto XVI - un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa”. Una posizione, questa, che si giustificherebbe, secondo le gerarchie vaticane, perché lo Stato laico non sarebbe più in grado di salvaguardare quei valori essenziali che si fondano sulla " legge" di Dio e della natura.

   Questo modo di pensare  è stato ripreso con forza, più volte,  dal papa, e i contenuti riproposti quasi quotidianamente, in modo pressante, dalle gerarchie ecclesiastiche nel mese di febbraio e marzo  2007 e successivamente  al fine di impedire l’approvazione di una legge sulle convivenze civili delle coppie di fatto. Il riconoscimento e la regolamentazione per legge delle coppie di fatto etero ed omosessuale, non solo metterebbe in discussione la famiglia come struttura naturale e sacramentale, ma la  stessa organizzazione della società, creando, così, il caos sia sul piano etico che sociale. In tale occasione è stato pronunciato un non possumus , fatto assai raro, per indicare la “non contrattabilità” assoluta  su temi, ad esempio,  come la famiglia. Le pressioni, poi, sui parlamentari cattolici, richiamati a "ricordarsi"  di essere cattolici in tutte le istituzioni in cui operano , con l'emanazione di una " nota-decalogo" contenente anche l'invito alla obiezione di coscienza e, quindi,  a comportarsi da cattolici, non da cittadini, implica  la messa in discussione della laicità dello Stato. Se poi l'invito alla disubbidienza, per motivi religiosi o in nome della sacralità e " oggettività" della natura, è rivolto addirittura ai giudici, che sono i garanti della convivenza civile sotto il diritto, questo "incitamento, per quanto nobili possano sembrare le motivazioni, è sovversivo, è espressione della pretesa di chi ha l'ardire di porsi unilateralmente al di sopra della Costituzione". ( Gustavo Zagrebelsky, Le false risposte del diritto naturale, " La Repubblica", 4 aprile 2007)

   Ma le gerarchie ecclesiastiche sono convinte di rappresentare e dover difendere la " Verità", da qui l’assolutezza dell’etica cattolica perché derivante da Dio, ma anche il diritto- dovere della Chiesa di intervenire non solo su ciò che si riferisce ai valori morali, ma anche sulla legislazione dello Stato per indirizzarla nell’ambito della concezione cattolica della vita e del mondo. Se si è convinti, se si ha la certezza che i principi-valori a cui si ispira la chiesa cattolica  “non sono contrattabili”  perché discendono direttamente da Dio e dalla natura,  da Lui creata e organizzata,  allora “diventa ovvio per coloro che sostengono questa idea – scrive E. Lecaldano - richiedere con forza e senza tregua che non solo la vita privata delle persone sia ispirata a tali valori discrezionalmente, ma che siano leggi dello Stato ad imporli a tutti i cittadini, anche attraverso sanzioni giuridiche”.

    L’indissolubile legame tra Dio e moralità e l’esclusione  che l’essere umano possa  essere “fonte autonoma di moralità”, implica una concezione totalizzante e totalitaria  dell’etica, che non solo esclude i non credenti dalla “fondazione” del bene e dell’agire etico, ma impedisce anche una revisione dei valori trasmessi dalle passate generazioni. I valori, invece, non sono eterni ed assoluti, sono soggetti a revisione, a “trasvalutazione”, direbbe Friederich Nietzsche. Ed è attraverso la loro revisione e "trasvalutazione" che possono rigenerarsi e diventare sempre più umani.

   Nonostante la “debolezza” del pensiero laico, anzi proprio per questo, c’è bisogno più che mai di un’etica laica che si fondi su una universalizzazione condivisa, in cui i valori siano soggetti a mutamento e mai imposti.

    In un orizzonte religioso e teistico, come quello de I fratelli Karamazov, Fiodor Dostoevskij afferma che “se Dio è morto tutto è possibile”, come dire che la morte di Dio porta l’umanità tutta alla deriva. Ma forse è proprio la morte di Dio e/o il suo occultamento che permettono agli esseri umani di “vivere pienamente e nella giusta direzione - sostiene Lecaldano - le richieste riguardo alle loro vite che derivano dall’esigenza di essere morali e di fare ciò che è giusto, buono e doveroso”.

  E  ancora,  non solo non è vero che senza Dio non può darsi l’etica, “anzi è solo mettendo da parte Dio che si può veramente avere una vita morale. Solo colui che è agnostico o ateo può effettivamente porre al centro della sua esistenza le richieste dell’etica, e solo colui che è senza Dio può attribuire alla morale tutta la portata e la forza che essa deve avere sia nelle scelte che riguardano la propria esistenza,che in  quelle che riguardano l’esistenza altrui”.  Così l’ateismo appare come la “cornice concettuale più favorevole all’affermazione della moralità”.

    Da qui l’autonomia dell’etica e la sua fondazione profondamente umana, non eteronoma, perché l’imperativo categorico, che indica l’azione morale, direbbe Immanuel Kant, si fonda sulla razionalità  umana e sulla libera coscienza di ogni soggetto ed è finalizzato esclusivamente al bene per il bene.

    Solo un’etica sganciata dai comandi eteronomi di Dio può comprendere l’umanità tutta al di fuori ed al di là delle diversità, perché – sostiene Lecaldano- “più accogliente nei confronti degli esseri umani assunti finalmente nello loro piena concretezza e diversità”; al contrario di quanto avviene per un’etica derivata dai comandi divini, che considera suoi punti di forza, da cui deriverebbero “l’assolutezza, l’eternità e l’universalità dei suoi contenuti”. Una concezione, quest’ultima, dell’etica che rischia di sfociare nell’astrattezza e nella genericità, ma anche in una sorta di “eteronomicità totalizzante” caratterizzata da “comandi esterni” e non poggiante su principi di autonomia e di responsabilità propri dell’essere umano in quanto essere razionale.

    Un’etica che non sia soggetta a Dio e che non derivi da Dio , per fare in modo che  le nostre decisioni siano buone e giuste, deve poggiare sui sentimenti e sulle esigenze reali degli esseri umani. Ciò anche perché “un’etica senza Dio – scrive Lecaldano- non pretenderà mai di imporre, con qualsiasi mezzo, una pretesa verità morale a coloro che non la ritengono tale; il credere o non in Dio sarà faccenda pertinente alla sfera privata”.

   Solo un’etica non religiosa, che nasce dalla ragione e dai sentimenti umani, sarà in grado di riconoscere e rispettare le differenti e relative concezioni culturali ed etiche e promuovere l’universalità di alcune regole, come quella che fa da sostrato alla moralità e che mira ad evitare azioni che possano provocare a un altro essere umano, e non solo, sofferenze non volute per sé.

   Immanuel Kant direbbe “Agisci in modo da trattare l’umanità, nella tua come nell’altrui persona, sempre come fine e mai come mezzo”. E’ il riconoscimento e il rispetto dell’altro come valore in sé, indipendentemente dall’essere stato o non creato da Dio.

  Un’etica che si ritiene derivi da Dio e dai suoi comandi, non solo è eteronoma, ma rischia continuamente di confondere il piano dell’etica con quello relativo alle leggi dello Stato. Così si confonde il peccato con il reato, per cui si richiede allo Stato di intervenire sul piano legislativo per punire coloro che non si conformano ai comportamenti etici previsti dalla religione.

   Un’etica profondamente laica, invece, implica una distinzione netta tra piano del riconoscimento dei diritti morali e quello delle leggi dello Stato. Una distinzione che sembra impossibile, o quasi, per coloro che identificano la moralità con le leggi del loro Dio. Da qui il rischio dei fondamentalismi sempre in agguato e la messa in discussione della laicità dello Stato.

   I principi morali non hanno un’assolutezza in sé, ma sono radicati nei processi storico-culturali e, quindi, sono soggetti ad ampliamenti, mutamenti, revisioni.

   Ciò permette -a parere di Lecaldano- “di riconoscere le diversità invocate dalla stessa esistenza delle persone che abitano la terra circa la nascita, la morte e la cura, sia di pensare un percorso di riconoscimento di diritti morali in costante ampliamento, riconducendo altre aree della condotta umana o altri esseri – per esempio  gli animali – sotto l’influenza dell’etica. Questa è la via di fondazione laica dei diritti”.

     La fondazione dei diritti sul processo di civilizzazione della specie umana può garantire sia gli spazi in cui la legge ha un ruolo di garante  della diversità dei diritti, sia gli spazi nei quali la legge, come ricorso ad azioni coercitive, non possa avere spazio alcuno.

  Ciò vuol significare che le etiche che non fanno riferimento alle religioni non possono assolutamente essere sottoposte a sanzioni penali. I sostenitori dell’etica che si fondi su principi divini ritengono, invece, che la sanzione giuridica possa essere lo strumento più adeguato di controllo delle condotte morali.

     L’etica laica si presenta, invece, come l’etica dell’autonomia e della libertà, che non ha alcun valore impositivo perché scaturisce dalla ragione e dai sentimenti umani e, quindi, dalla libertà e dalla coscienza libera ed autonoma di ogni individuo.  Si possono condividere o meno quelli che vengono definiti comportamenti e/o valori  morali, ma mai possono essere soggetti a sanzioni penali.

  Ognuno può intendere la sua morale di riferimento come “ideale di virtù” da difendere, ma solo con la forza delle argomentazioni. In un confronto possibile e produttivo, nessuna delle parti in causa può pretendere di avere dalla sua parte Dio.

    “Nel tempo di una piena secolarizzazione e naturalizzazione dell’etica, –sostiene Lecaldano- la riflessione sulla morale non potrà che fare un passo indietro ed abbandonare la pretesa di indicare a tutti gli individui ciò che è assolutamente bene e giusto fare. Essa, non potendo più occupare in modo esclusivo il piano della fondazione dei valori, dovrà limitarsi ad affiancare le persone nel processo di realizzazione della consapevolezza di essere individui moralmente responsabili”.

    Non una semplice opposizione tra un’etica che trova il suo fondamento nella divinità ed un’etica senza Dio, piuttosto c’è bisogno di una umanizzazione dell’etica e di una critica all’arroganza di chi, ponendo il fondamento dell’etica in Dio, pretende che i suoi principi morali siano assoluti, perché provenienti da Dio, appunto. Da qui  deriverebbe non solo l’eteronomicità dell’etica, ma anche la sanzione penale per chi non si conforma ai principi etici proposti

     Un’etica laica, senza Dio, o come se Dio non ci fosse, appare profondamente umana, più rispettosa dei comportamenti umani e legata alla responsabilità dei soggetti che decidono di agire per il bene collettivo, mediante “un comando” che scaturisce dalla coscienza libera e buona di ogni soggetto; in questo senso è possibile immaginare anche l’universalizzazione non impositiva dei principi etici, perché questo modo di pensare l’etica non esclude nessuno dal suo orizzonte.

    Forse sarebbe opportuno immaginare un agire etico, per dirla con Dietrich Bonhoeffer, etsi Deus non daretur (come se Dio non ci fosse). Ciò non implica assunti ateistici o agnostici. Ma “Al contrario – ha scritto Gian Enrico Rusconi in Come se Dio non ci fosse. I laici, i cattolici e la democrazia, Einaudi Torino, 2000 - costruire un mondo etico, civile e politico prescindendo dall’ipotesi-Dio è la risposta più coerente e radicale al tema teologico dell’assunzione di responsabilità morale dell’uomo e della donna”.

    La “costruzione” di un’etica come se Dio non ci fosse, non è una finzione morale, ma un atto di intelligenza che pone il laico e il religioso sullo stesso piano pur partendo da motivazioni divergenti. Così è possibile pensare ad un’etica condivisa che si fondi sull’autonomia dell’argomentare dei diversi soggetti, finalizzata a dare senso morale ai singoli e alla collettività.

   Quindi “quello che per il religioso – scrive Rusconi - è la gratuità di un rapporto con Dio in un orizzonte di fede che non dà soluzioni bell’ e pronte per il mondo, per il laico è la costruzione di una corresponsabilità etica nella contingenza del mondo”.

   Da qui la possibilità di un’etica condivisa in questo mondo, mettendo tra parentesi Dio, senza negarlo per chi crede in lui.

   Ma la chiesa cattolica non sembra condividere una simile concezione anche perché - come ha affermato il cardinale Wojciech Giertych in una relazione tenuta il 12 febbraio 2007 all'università Lateranense - " La realizzazione pratica dell'ethos del diritto naturale non è pensabile senza la vita della grazia". Cioè colui che non ha fede e grazia viene considerato un errante, un reprobo, un contro-natura, al limite, una persona da convertire con l'aiuto di Dio. " Al più - scrive Zegrebelsky su "La Repubblica" del 4 aprile 2007, già citata - povero lui, per il suo bene gli si potrà proporre, cieco com'é di fronte all'autentica natura umana, la peregrina e umiliante idea di fidarsi, di essere e agire ( secondo le parole del papa Bendetto XVI) veluti si Deus daretur, come se Dio esistesse, [...] più precisamente secondo ciò che la chiesa dice di Dio. Senza però [...] che ne sia davvero capace privo come è di fede e di grazia". L'opposto di quanto sosteneva Dietrich  Bonhoeffer, teologo e uomo di fede.

   Una concezione dell'etica, quella riproposta dalla chiesa cattolica, che sembra andare nella direzione di interrompere il dialogo tra credenti e non credenti, tra donne e uomini di buona volontà che, laicamente, avrebbero molto da pensare ed operare insieme al fine di realizzare il bene nel mondo al di là e al di sopra  - direbbe padre Davide Maria Turoldo -  " delle foreste delle fedi".

     Eugenio Lecaldano in Un’etica senza Dio propone un'etica profondamente umana. E’, il suo, un libro interessante, provocatorio e nel contempo propositivo, che non intende, e non potrebbe,  imporre il punto di vista di un’etica senza Dio. Piuttosto si propone di sostenere con la forza delle argomentazioni l’opportunità di un’etica laica, senza Dio, o come se Dio non ci fosse; un’etica della responsabilità e , quindi, la separazione tra etica e sanzioni giuridiche,  così come l’affermazione della laicità dello Stato. “Un libro, quindi, -come scrive lo stesso autore - filosofico, ovvero interessato a influenzare niente altro che le riflessioni critiche delle persone”, il quale non pretende di “portare a termine l’impossibile cerimonia di seppellire Dio, né vuole assumere un ruolo diretto sul piano politico e giuridico”. Non vuole nemmeno proporsi come precondizione per costruire verità laiche e una sorta di chiesa senza Dio: sarebbe in contraddizione con quanto sostenuto dall’autore in tutte le pagine del suo libro; anche perché “un’etica senza Dio non pretenderà mai di imporre, con qualsiasi mezzo, una pretesa verità morale a coloro che non la ritengono tale; il credere o non credere in Dio e in quale Dio sarà faccenda pertinente alla sfera privata”.

     Potremmo, per concludere,  sostenere laicamente,  con le parole di  Claudio Magris nel volume La storia non è finita. Etica, politica e laicità, cheLaicità significa tolleranza, dubbio rivolto pure alle proprie certezze, demistificazione di tutti gli idoli, anche dei propri; capacità di credere fortemente in alcuni valori, sapendo che ne esistono altri, pur essi rispettabili”.

                                                                      Antonio Bagnato                                                                                            

 

*Pubblicato  in “Giornale di storia contemporanea” , anno X  n. 2 - dicembre 2007 ( versione definitiva, del 13 sett. 2013,  conforme a quella pubblicata sul "Giornale..."