CRISTO PRIMA DI CRISTO di Emilio Bossi |
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CRISTO PRIMA DI CRISTO Se Gesù Cristo non è mai esistito, come e perché fu e poté essere inventato o immaginato? È a questa domanda che risponderà la parte presente del nostro lavoro, nella quale dimostreremo non soltanto il perché e il come si produsse la favola cristiana, ma aggiungeremo una nuova e luminosa prova a quelle già fornite contro l'esistenza umana, reale ed oggettiva di Gesù Cristo. Imperocché, se dimostreremo che altri personaggi identici e non solo analoghi a Cristo lo precedettero nella storia delle idee umane, sia nel tempo che nel concetto rappresentativo, e se dimostreremo che i suoi predecessori, i quali gli fornirono tutti gli elementi della sua vita e del suo pensiero e della sua missione, furono dei puri miti, avremo con ciò dimostrato non solo che Cristo è una copia, ma un mito anch'esso, e conseguentemente che egli non è mai esistito se non nell'immaginazione di coloro che hanno creduto in lui. Cominceremo pertanto dal passare rapidamente in rassegna la vita e i miracoli degli Dei Redentori che precedettero Cristo e dai quali è stato tolto verosimilmente il mito cristiano, poiché Cristo non è che la ripetizione del medesimo tema mitologico. L'India antica ebbe più di un Dio Redentore. Poiché in quella contrada, in cui il meraviglioso ed il soprannaturale hanno la loro culla, il Dio Redentore, Vischnu, si incarnò ben nove volte, prendendo forma umana per redimere l'umanità dal peccato originale. Interessanti per noi sono soltanto l'ottava e la nona avatar o incarnazione di Vischnu, che nell'ottava assunse la persona di Cristna e nella nona s'incarnò in Budda. Cristna, il Redentore indiano, nasce da una Vergine anch'egli, la vergine Devanaguy, e la sua venuta è predetta nei libri sacri indiani (Atharva, Vedangas, Vedanta). Vischnu stesso, il Dio buono e conservatore, apparve a Lakmy, la madre della vergine Devanaguy, per rivelarle i futuri destini di colei che stava per nascere, e le indicò il nome che avrebbe dovuto imporre alla madre del Redentore, ingiungendole perfino di non unire la futura figlia in matrimonio con alcuno, attesoché per lei dovevano compiersi i disegni di Dio234. Ciò accadeva circa 3500 anni prima dell'èra volgare nel palazzo del rayah di Madura, piccola provincia dell'India orientale. Al suo nascere la fanciulla ricevé il nome di Devanaguy, com'era stato prescritto. Il rayah di Madura fu informato in sogno che Devanaguy doveva dare alla luce un figlio che lo avrebbe cacciato dal trono. Perciò il tiranno di Madura fece rinchiudere Devanaguy in una torre di cui fece murare la porta per toglierle ogni possibilità di uscirne, collocando una forte guardia intorno alla prigione. Ma tutto fu vano; tante precauzioni non dovevano impedire che si verificasse la profezia di Poulastya: «E lo spirito divino di Vischnu traversò i muri per congiungersi alla sua diletta». Una sera mentre la Vergine pregava, una musica celeste venne all'improvviso a dilettare le sue orecchie, la prigione s'illuminò e Vischnu le comparve in tutto lo splendore della sua divina maestà. Devanaguy fu obombrata dallo spirito di Dio che voleva incarnarsi, ed ella concepì. Alla notte del parto di Devanaguy, e mentre il neonato mandava i primi vagiti, un vento violento fece una apertura nel muro della prigione e la Vergine col figlio fu condotta da un messo di Vischnu in un ovile appartenente a Nanda. Il neonato fu chiamato Cristna. I pastori, avvertiti del deposito che loro era confidato, si prosternarono dinanzi al figlio della Vergine e l'adorarono. Il tiranno di Madura, all'annuncio del parto e della fuga meravigliosa di Devanaguy, montò in furia, ed ordinò in tutti i suoi Stati il massacro dei ragazzi maschi nati durante la notte in cui Cristna era venuto al mondo. Una truppa di soldati giunse all'ovile di Nanda, ma Cristna sfugge miracolosamente a quel pericolo. 234 Nel Maha Bhârata, poema sacro degli Indiani, troviamo un'altra annunciazione, che sembra aver servito di modello a quella del Battista. È quella fatta dalla dea Sâvitri della nascita di un figlio ad Asvapatis, pio re di Madras, vecchio e senza prole, il quale si rammaricava di non aver figliuolanza, e per averne si diede per diciott'anni continui a penitenze ed assidui esercizi di pietà.
Infiniti sono i racconti delle avventure dei primi anni di Cristna, che usciva sempre vittorioso dai pericoli suscitatigli contro da chi voleva farlo perire, uomini o demoni. A sedici anni Cristna lascia i parenti e si mette a percorrere l'India predicando la sua dottrina. Questa parte della sua vita si distingue per i suoi miracoli: egli risuscita morti, guarisce lebbrosi, rende l'udito ai sordi e la vista ai ciechi. Egli si proclama la seconda persona della trinità, cioè Vischnu, venuto sulla terra per riscattare l'uomo dal peccato originale. Le popolazioni accorrevano in folla al suo passaggio, avide dei suoi sublimi insegnamenti e lo adoravano come un dio dicendo: «Questi è proprio il Redentore promesso ai nostri padri!» La sua morale è pura ed elevata e completamente altruistica. Egli si circondò di discepoli che dovevano continuare l'opera sua. Insegnava mediante parabole. Un giorno che il tiranno di Madura aveva mandato molti soldati contro Cristna ed i suoi discepoli, questi ultimi spaventati vollero sottrarsi con la fuga al pericolo che li minacciava. Persino il capo dei discepoli, Ardjuna, sembrava scosso nella sua fede. Cristna, che stava in preghiere a poca distanza, avendo inteso le loro lagnanze, si avanzò in mezzo a loro e li rimproverò della loro poca fede, apparendo ai loro sguardi in tutto lo splendore della maestà divina e col viso circondato di tanta luce che i discepoli non la poterono sopportare. In seguito a questa trasfigurazione i discepoli lo chiamarono Jezeus, cioè nato dalla pura essenza divina. Un giorno ch'egli era coi suoi discepoli, due donne della più bassa condizione si avvicinarono a lui, gli versarono sulla testa dei profumi e lo adorarono. Quando Cristna comprese che per lui era giunta l'ora di abbandonare la terra e di ritornare nel seno di colui che lo aveva mandato, si distaccò dai suoi discepoli, proibendo loro di seguirlo, si recò alle sponde del Gange, si immerse nel fiume sacro, poi s'inginocchiò pregando il cielo ed aspettando la morte. In quello stato fu ferito con una freccia e sospeso ad un albero. Colui che l'uccise fu condannato ad errare eternamente sulla terra. Quando si sparse la notizia della morte del Redentore, i suoi discepoli accorsero per raccoglierne la sacra spoglia: ma questa era sparita, essendo egli risuscitato ed asceso al cielo. La nona incarnazione di Vischnu è quella in cui egli comparve come Budda235. A sua madre fu rivelata in sogno la futura grandezza del figlio e l'ascendente che avrebbe esercitato sull'animo dei suoi simili. Egli scelse di nascere in una casta principesca — come Cristo da Davide -, e scese in terra. Ciò avveniva 628 anni avanti Cristo. Alla sua nascita avvennero cose meravigliose; una luce abbagliante illuminò diecimila mondi, videro i ciechi, parlarono i muti, camminarono gli zoppi ed i paralitici, i prigionieri riconquistarono la libertà, una brezza refrigerante spirò sulla terra, sorgenti freschissime si sprigionarono dal suo seno, sbocciarono dappertutto fiori variopinti e dal cielo piovvero gigli odorosissimi. Dalle loro dimore elevate scesero gli spiriti a sorvegliare il palazzo ove doveva nascere il fanciullo e ad allontanare il male da lui e da sua madre. Quand'egli nacque, subito si tenne ritto dinanzi agli spiriti ed agli uomini meravigliati, una stella brillante apparve nel cielo, vennero dei re ad adorarlo e spuntò dalla terra il famoso albero Bo all'ombra del quale doveva poi diventare Budda: quell'albero ha foglie sempre in moto, ciò che si vuole sia il fremito commemorativo delle scene sacre di cui furono testimoni, come i Siriaci dicono che le foglie della tremula si agitano continuamente in memoria della crocifissione di Cristo, perché del legno di quell'albero sarebbe stata costrutta la croce... Fra la gente che, colma di gioia, andò a visitare il meraviglioso fanciullo, si parla specialmente di un pio vecchio simile al nostro Simeone, il quale per avere menato vita santissima aveva ricevuto il dono delle profezie. Sebbene l'animo suo fosse pieno di contentezza per lo splendido avvenire che attendeva il fanciullo, non poté far a meno di spargere lacrime amarissime, pensando che egli, così avanzato in età, non avrebbe potuto assistere ai suoi trionfi. 235 Nascendo fu chiamato Guatama, dal nome della tribù alla quale apparteneva la sua famiglia; Sâkya-Muni, o il monaco della razza dei Sakya; Siddârtha, nome impostogli da suo padre e che significa: «Colui nel quale si compiono i desideri»; ed in un'epoca posteriore Budda, vale a dire l'illuminato, dalla radice budh sapere.
La madre di Budda si chiamava Maya, o Maïa, e lo concepì in modo miracoloso, all'infuori di qualunque rapporto coniugale. Quando essa morì, le sue virtù le meritarono di essere accolta nel cielo dove dimorano i Nat. Budda crebbe bello e dotato di grande intelligenza, meravigliando i dottori per la sua sapienza. Egli abbandonò il tetto paterno per compiere la sua missione. Mentre digiunava nel deserto all'ombra dell'albero, per un periodo di 49 giorni (7 × 7), fu tentato a più riprese dal demonio, ma ne uscì vittorioso. Egli predicò le prime volte a Benares e convertì alla fede grandi e piccoli. La sua morale, come vedremo a suo luogo, precorre quella di Cristo. Il suo più gran discorso fu chiamato, dal luogo ove fu pronunziato, «La predica della montagna », precisamente come quello di Cristo. Dopo la sua morte, egli appare ai suoi discepoli in forma luminosa, con la testa circondata da un'aureola. Budda ebbe anch'egli il suo discepolo traditore, Devadatta. Egli non lasciò scritto nulla. Ma le sue dottrine furono raccolte dai suoi discepoli, convocati in concilio generale. Fra questi discepoli ve ne furono due di natura molto diversa: l'uno serio, profondamente convinto e pieno di zelo; dolcissimo l'altro per natura e prediletto da Budda; precisamente come san Pietro e san Giovanni, discepoli di Cristo. Budda, come Cristo, si ribellò al potere soverchiante dei preti. Come i cristiani, i buddisti sono divisi in varie sette. Nel Buddismo si trovano tutte le pratiche religiose del cristianesimo; tantoché quando i missionari cattolici incontrarono per la prima volta i monaci buddisti, credettero ad un inganno del diavolo il quale avesse voluto suggerir loro le pratiche cattoliche, non dubitando che chi aveva copiato non erano i buddisti, di gran lunga più antichi. Perfino nel Papa (Dalai Lama) e nella di lui infallibilità i buddisti precorsero i cristiani... Ma non precorriamo a nostra volta il piano della nostra opera, e seguitiamo a dire degli Dei Redentori, precursori di Cristo. Dal poco fin qui detto risulta in modo non si può più evidente che l'India ebbe un'incarnazione del Dio Redentore già 3500 anni avanti Cristo, e un'altra sei secoli prima di Cristo, e che nel suo Jezeus Cristna e nel suo Budda esistono già quasi tutti gli elementi del mito cristiano, al quale rassomigliano in modo straordinario. Ma quanto più procederemo nella breve rassegna degli Dei Redentori che precedettero Cristo, vedremo che, all'epoca in cui questo mito è stato concepito, non c'era più bisogno di inventar nulla, proprio nulla, per plasmarlo così e come venne plasmato. Veniamo a Mitra, il Dio Redentore della Persia, il quale, come ben nota lo Stefanoni, predispone il passaggio dell'avatara o incarnazione indiana nell'incarnazione cristiana. La differenza caratteristica che passa tra l'uno e l'altro di questi antropomorfismi non è per vero troppo sensibile, ma corre alla mente tosto che si consideri come nell'incarnazione indiana sia la divinità stessa, assoluta, che prende forme umane, senza alcun vincolo di inferiorità rispetto al Padre celeste; mentre l'incarnazione cristiana si distingue per una procedenza del figlio dal Padre. Ora, nei libri sacri persiani, il Dio Redentore si trasforma in creatura di Ormuzd, ma quasi eguale a Dio. Mitra è precisamente il mediatore fra Dio e gli uomini, come avvisa Plutarco236. Di più, come avverte il Maury237, in Mitra si compie l'unione dell'idea fisica, del passaggio dalle tenebre alla luce, coll'idea morale dell'unione dell'uomo con Dio. Mitra, chiamato anche Signore, nasce in una grotta da una vergine, come Cristo nasce in una stalla da un'altra vergine. Il giorno in cui nasce Mitra è quello in cui nascerà poi Cristo: il 25 dicembre, vale a dire al solstizio d'inverno. Quel giorno era la più gran festa della religione dei Magi, secondo Frèret ed Hyde. La madre di Mitra rimane vergine anche dopo il parto. 236 Sopra Iside ed Osiride, c. 46. 237 Croyances et légendes de l'antiquité, c. Mithra.
Nella sfera dei magi e dei caldei il segno zodiacale della Vergine è rappresentato da una vergine che ha vicino un bambino ed un uomo che sembra essere il padre putativo del bambino. La nascita di Mitra è annunciata astrologicamente dalla stella che appare all'oriente e dai magi che apportano profumi, oro e mirra. Mitra, che nasce il 25 dicembre come Cristo, muore come lui all'equinozio di primavera. Anch'egli aveva il suo sepolcro, sul quale i suoi iniziati venivano a spargere lacrime. Uno scrittore cristiano, Firmico, ci narra che i preti portavano alla tomba durante la notte l'immagine di Mitra, steso sopra una bara. Questa cerimonia era accompagnata dai canti funebri dei sacerdoti atteggiati a simulato dolore. Si accendeva il sacro cero (cero pasquale), si ungeva di profumi l'immagine del Dio, quindi uno dei sacerdoti dichiarava solennemente che Mitra era risuscitato e che le sue pene avevano redento l'umanità. Alcune parti della vita di Cristo, nella mitologia persiana, erano già state applicate a Zoroastro. Il reverendo dottor Mills, eminente teologo e scienziato cristiano, fu, dalla evidenza delle cose, costretto a riconoscere che la tentazione di Cristo figurava già nella mitologia persiana come tentazione di Zoroastro, e soggiungeva: «Nessun Persiano suddito passeggiante per le vie di Gerusalemme, subito dopo o molto dopo il ritorno, poté mancar di conoscere questo mito meraviglioso». Vedremo più innanzi la sorprendente somiglianza dei misteri dei Persi con quelli cristiani. Questa somiglianza era tale e tanta che san Giustino, non potendo smentirla, né sapendo spiegarla con ragioni favorevoli all'ortodossia, accusava il Diavolo d'aver rivelato ai Persiani i misteri del cristianesimo prima ancora che il Cristo fosse nato! Continuiamo la rassegna degli Dei Salvatori. Gli Egiziani avevano anche essi il loro Dio Salvatore in Oro, divenuto poi Osirapide o semplicemente Serapide238. Ebbene: anche Oro nasceva da una vergine al solstizio d'inverno e moriva all'equinozio di primavera per tosto risuscitare, come Cristo. Oro veniva esposto al solstizio d'inverno, sotto l'immagine d'un fanciullo, all'adorazione dei fedeli; «poiché allora, dice Macrobio, il giorno essendo più corto, questo Dio pare che ancor non sia che un debole fanciullo. Egli è il fanciullo dei misteri la cui immagine gli Egiziani traevano fuori dai loro santuari tutti gli anni al giorno fissato (25 dicembre)». È di questo infante che la dea di Sais si diceva madre nella famosa iscrizione: «Il Dio ch'io ho partorito è il Sole». Il dio Oro aveva pure la sua fuga, portato dalla vergine Iside, montata su di un asino. Il medesimo mito fu, in Egitto, applicato anche al re Amenophis III, che qui giova ricordare, soltanto perché ne rimane un documento importantissimo, il quale dimostra che, diciotto secoli prima di Cristo, si conoscevano già i misteri che si trovano nel Vangelo di san Luca (c. I e II). Si tratta infatti di un quadro dipinto per una delle pareti del tempio di Luxor, nel quale si vedono le scene dell'Annunciazione, della Concezione, della Nascita e dell'Adorazione. Questo quadro è stato riprodotto da G. Massey nel suo libro Natural Genesis239. Nella prima scena il dio Tath, il Mercurio lunare (l'angelo Gabriele) saluta la Vergine e le annuncia ch'essa darà la luce a un figlio. Nella scena seguente il dio Knept (lo Spirito) produce la concezione. Nella scena dell'adorazione il bambino riceve gli omaggi degli Dei e i doni di tre personaggi (i Magi). Anche Bacco nasceva al solstizio d'inverno; messo a morte, discese all'inferno, e risuscitò; ed ogni anno si celebravano all'equinozio di primavera i misteri della sua passione. Come Cristo, Bacco si chiamava Salvatore: come lui aveva fatto dei miracoli guarendo gli ammalati e predicendo l'avvenire. Nella sua infanzia si minacciò di ucciderlo, tendendogli un agguato, come Erode a Gesù. Nei templi di Bacco si operava il miracolo dell'acqua cambiata in vino, come Gesù cambiò l'acqua in vino alle nozze di Cana. Parimente, Adone — nome che significa «mio Signore» — aveva le sue feste che duravano 8 giorni (Adonie), 4 di lutto per la sua morte e 4 di gioia per la sua apoteosi. Una vera settimana santa, col giorno solenne di dolore; dappertutto si erigevano dei santi sepolcri, dove le donne facevano delle lamentazioni funebri attorno al dio coricato sul suo letto. Si spegnevano tutte le candele, eccettuata una (la candela pasquale), che si nascondeva dietro l'altare, e che si faceva ricomparire il giorno della risurrezione del dio. Poi il dio morto risuscitava, e il lutto faceva luogo alla gioia. Queste feste continuarono a celebrarsi nel mondo antico, e specialmente appo i Fenici, per più di cinque secoli prima di trasformarsi in quelle della passione di Cristo. 238 Secondo la leggenda egiziana, il giorno in cui venne alla luce Osiride, «una voce gridò dall'alto dei cieli che era nato il Signore di tutto il mondo» (Plutarco, De Iside et Osiride, XIII). L'evangelista Luca (II, 11) non fece dunque che copiare la leggenda del dio egiziano. 239 Citato da Malvert in Science et Religion.
Uno dei tratti caratteristici degli Dei Redentori è la discesa nell'inferno, durante il tempo che passa dalla loro morte alla loro risurrezione. Così, prima di Cristo, e in condizioni identiche, Bacco, Osiride, Cristna, Mitra e Adone, profittavano della propria morte per andare a far visita ai defunti (Dupuis, Origine de tous les cultes, V, 204-348). Potremmo continuare nella rassegna degli Dei Redentori, aventi gli identici caratteri e tutti notoriamente rappresentanti il Sole: quali Ati nella Frigia, Beleno presso i Celti, Joele presso i Germani, Fo presso i Cinesi, etc. Ma oramai ne abbiamo detto sufficientemente per mostrare che, quando Cristo fu concepito, ci erano già stati molti... Cristi prima di lui. Il lettore è ora in grado di indurne egli stesso quella illazione che ne scaturisce spontanea e naturale.
ANCHE LA MITOLOGIA DELL'ANTICO TESTAMENTO NON È ORIGINALE A questo punto ci si potrebbe forse obbiettare che Cristo non è stato calcato sugli Dei Redentori degli altri popoli, poiché, come noi stessi abbiamo ammesso in altra parte240, Cristo è un mito adattato alle allegorie dell'Antico Testamento. Ma la difficoltà scomparirà tosto che sia detto che neppure l'Antico Testamento è originale, ma che anche esso, o meglio la sua mitologia, la quale serve di preparazione a quella del Nuovo Testamento, non è che una copia delle mitologie orientali. Di guisa che, se da una parte Cristo è una copia degli Dei Redentori dell'Oriente, e se dall'altra anche l'Antico Testamento, da cui Cristo dipende, è pure una copia delle mitologie orientali, apparirà a fortiori che Cristo tanto più deriva dagli Dei Redentori dell'Oriente, in quanto anche l'Antico Testamento, a cui Cristo è adattato, deriva dalle mitologie orientali, creatrici del mito del Dio Redentore. In altre parole, senza il peccato originale, che informa l'Antico Testamento, punto non sarebbe occorsa la Redenzione, che informa il Nuovo. Quindi, se anche la caduta originale dell'Antico Testamento deriva dalle mitologie orientali, a più forte ragione ne deriverà Cristo, perché Cristo sta agli Dei Redentori dell'Oriente come l'Antico Testamento sta alle mitologie orientali e parimenti Cristo sta all'Antico Testamento come gli Dei Redentori dell'Oriente stanno alle mitologie orientali. In questo capo dimostreremo quindi che anche la mitologia dell'Antico Testamento è una figliazione delle mitologie precedenti. La mitologia dell'Antico Testamento s'impernia su questi concetti fondamentali: Dio; la Creazione; la caduta degli Angeli; l'Eden; Eva; il Serpente e il Peccato originale; il Diluvio; la Torre di Babele; gli Angeli e i Demoni; il Paradiso e l'Inferno; i Patriarchi; un legislatore inspirato e dei Profeti. Orbene, questa mitologia non è originale, ma altri popoli l'ebbero prima dell'ebreo. Il Dio ebreo ha comuni le origini filologiche cogli altri Dei semiti: Jahveh, Jahouh. Jehova nasce da Eloha, Ilou, Jahouh, Jahoh, che sono i nomi di Dio presso i vari popoli semiti. Però anche sul Dio ebraico ebbero influenza incontestata gli altri Dei non appartenenti al gruppo semita: come l'Ahoura Mazda persiano, il Jehova ebraico diventa «Colui che è». La Creazione ha luogo nella Genesi come nei libri sacri di quasi tutti i popoli più antichi. Nel Zend-Avesta, libro sacro dei Persiani, l'Essere Eterno crea il Cielo e la Terra, il Sole, la Luna e le Stelle in sei periodi e l'uomo, come nella Genesi, comparve l'ultimo241. Col giorno del riposo si ebbero sette giorni o periodi: numero tenuto sacro dalle nazioni antiche, perché derivante dalla primitiva adorazione del sole, della luna e dei cinque pianeti, e dalle fasi lunari ricorrenti ogni sette giorni242. 240 Parte seconda, capo III e IV. 241 L'ordine della creazione persiana è identico a quello della creazione della Genesi (Hyde, Volney, etc.). Rimarchevole è la circostanza che anche nei libri sacri degli Etruschi si trova la medesima tradizione. 242 Come la leggenda della creazione, così anche quella della fine del mondo fu tolta dalle mitologie orientali. Il Volney spiega anzi come essa sia nata da una interpretazione sbagliata delle tradizioni astronomiche persiane e caldaiche. Secondo queste, infatti, il mondo è composto di una rivoluzione totale di 12.000 e diviso in due rivoluzioni parziali, di cui l'una, l'età del bene finisce dopo sei mila, e l'altra, l'età del male, finisce dopo altri sei mila. Con ciò dovevasi alludere alla rivoluzione annuale del grande orbe celeste, o mondo, composto di 12 mesi, o segni, diviso ciascuno in 1000 parti; ed ai due periodi dell'inverno e dell'estate, diviso ciascuno per 6 mesi, o 6000. Questa divisione, in origine esclusivamente astrologica, presa dappoi in senso concreto, fu interpretata nel senso che il mondo dovesse durare 12.000 anni, divisi in 6.000 di infelicità e 6.000 di felicità. Onde, supponendosi che quelli fino allora passati fossero quelli d'infelicità, secondo il calcolo dei settanta, i cristiani credettero che fosse prossima la fine del mondo o dei 6.000 anni di infelicità, tanto che nei Vangeli Cristo la annunzia imminente in quella stessa generazione. Si sa quanto questa credenza abbia agitata la Chiesa cristiana nei primi secoli, e poscia all'anno mille, cui fu rimandato l'adempimento della profezia dall'Apocalisse, che aveva provveduto a salvare il prestigio dei sacri libri cristiani quando fu visto che la profezia dei Vangeli, messa in bocca a Cristo, non si era avverata. La leggenda della fine del mondo, come si trova nell'Apocalisse, è del resto una copia dell'identica leggenda che si trova nei libri sacri indiani, ove ha le medesime immagini e i medesimi fenomeni, presso a poco, che ha nell'Apocalisse. Non per nulla fu immaginato che il preteso autore dell'Apocalisse sia stato in Asia e l'abbia scritta al suo ritorno. La descrizione della fine del mondo è tale nel cristianesimo quale nella religione zendica; anche qui il mondo sarà consunto dal fuoco, appiccato da una cometa. Allora il Messia zendico, preceduto da due profeti (gli Enoch ed Elia della mitologia giudaica), verrà nel mondo a distruggere l'impero delle tenebre ed a giudicare i vivi ed i morti. Solo nel maddeismo anche i malvagi saranno purificati e perdonati.
Nella creazione indiana, secondo le leggi di Manù, l'universo era nelle tenebre, come nella Genesi, quando l'invisibile Brahma disperse le tenebre, creò le acque ed impose loro il moto. Egli creò pure una serie di divinità subalterne chiamate angeli presieduti da Mohassura. Mohassura indusse tutti gli angeli alla rivolta contro il Creatore, dal cui trono si allontanarono per sfrenato desiderio di regno. Siva fu allora incaricato di scacciarli dal cielo superiore, ed essi furono precipitati sui globi inferiori (infernus). Brahma creò l'uomo maschio e femmina, dando loro la coscienza e la parola, rendendoli superiori a tutto quello che era stato creato, ma inferiori ai Devas ed a Dio. Nominò l'uomo Adima (Adamo, il primo uomo) e la donna Heva (Eva, ciò che completa la vita). Li pose in un paradiso terrestre, in mezzo ad una splendida vegetazione; ingiunse loro di unirsi e di procreare e di adorarlo per tutta la vita, e proibì loro di abbandonare il paradiso terrestre (Ceylan). Essi disubbidirono e l'incanto della natura sparisce; Brahma perdona loro, ma li scaccia dal luogo di delizie, condanna i loro figli a lavorare e prevede che diverranno cattivi, avendo lo spirito del male invaso la terra. Ma li rassicura promettendo loro che manderà Vischnu, il quale s'incarnerà nel seno di una donna, a redimere il genere umano dal peccato. Nella mitologia persiana Ormuzd promise al primo uomo e alla prima donna felicità eterna, purché si mantenessero buoni. Ma un demonio, sotto forma di serpente, fu inviato da Arimane; essi prestarono fede al menzognero che li persuase essere Arimane il datore d'ogni bene, e cominciarono ad adorarlo. Il demonio portò loro in appresso alcune frutta; essi le mangiarono e finì subito la loro felicità. Scacciati dal luogo dove erano, uccisero gli animali per cibarsene e coprirsi delle loro pelli; e nel cuore delle infelici creature umane si annidarono l'odio e l'invidia, e furono maledette esse e le loro generazioni243. È dai Persiani che gli Ebrei tolsero a prestito, durante la loro dispersione sulle rive del Tigri e dell'Eufrate, dopo essere stati vinti dai re di Ninive e di Babilonia, l'idea dell'immortalità dell'anima e della vita futura, e conseguentemente la mitologia degli Angeli e dei Demoni. I nomi stessi degli Angeli — Gabriele, Michele, Raffaele, i Cherubini, i Serafini, i Troni, le Dominazioni divise in 7 ordini come le 7 sfere dei pianeti — furono copiati dalla religione persiana e dalla caldea. Lo stesso vocabolo di Satan appo gli antichi Ebrei, dice il Bianci-Giovini, significava nulla più che un uomo nemico; fu soltanto dopo l'esilio di Babilonia che fu adoperato per significare l'angelo del male. Persino l'Asmodeo, che nel Nuovo Testamento divenne la causa degli isterici turbamenti delle donne, è tolto (Tobia, III, 8; VI, 14) dall'Aehsmodaeva persiano, il dio della concupiscenza. Il Paradiso e l'Inferno provengono pure dalle mitologie orientali. Paradiso è vocabolo tolto dalla Persia; esso significa giardino. Il Paradiso esisteva già nelle mitologie degli Indiani, dei Persiani, degli Egiziani, dei Greci (Eliso), dei Romani, dei Galli e degli Scandinavi. Dicasi lo stesso dell'Inferno, che figura già nelle mitologie degli Indiani, dei Persiani, degli Egiziani, dei Greci, dei Romani (Tartaro) e dei Galli. Però gli altri popoli non conobbero l'eternità delle pene: questa doveva essere proclamata soltanto dal mite agnello di Nazaret. Quanto al Purgatorio, la Bibbia non lo conosce, né nell'antico né nel Nuovo Testamento. È a Gregorio che i cristiani devono la prima menzione del Purgatorio, la cui idea fu tolta probabilmente da Platone, che aveva diviso le anime in tre categorie: le pure, le curabili e le incurabili. 243 Un particolare degno di nota è la rassomiglianza del Paradiso terrestre persiano con quello della Genesi. Il Paradiso terrestre persiano si chiama Eren, in luogo di Eden, sicché non ci fu che il cambiamento o la corruzione d'una lettera dell'alfabeto nel passaggio dalla leggenda persiana a quella ebraica. In entrambi i Paradisi terrestri esistono i medesimi fiumi. L'albero, poi, porta 12 frutti, che corrispondono alle dodici divisioni, ai 12 segni, ai 12 mesi della rivoluzione annuale, durante cui l'uomo subisce alternativamente i periodi di bene e di male, di luce e di tenebre, di caldo e di freddo. La Genesi non fa menzione di questo numero, ma vi supplisce l'Apocalisse. Perfino nel nome dell'angelo posto a guardia del giardino v'è la rassomiglianza dell'originale con la copia: nel Zend-Avesta è chiamato Chelub, mentre nella Genesi è chiamato Cherub.
I Vedas raccontano pure la leggenda del Diluvio244. Secondo la predizione del Signore, la Terra si popolò ed i figli di Adima e di Heva divennero presto tanto numerosi e cattivi che non poterono più accordarsi fra di loro. Essi dimenticarono Dio e le sue promesse... Il Signore risolse allora di punirli con un grande flagello. Egli mandò il diluvio, ma ne salvò Vaiwasvata in causa delle sue virtù, mandandogli un pesce che gli comunicò ciò che stava per accadere, lo ammonì che si costruisse un vascello in cui rinchiudersi con tutta la sua famiglia, con una coppia di tutte le specie di animali e i semi d'ogni pianta. Ciò fu eseguito e, quando il diluvio ebbe fine, Vaiwasvata sbarcò sulla cima dell'Imalaia. Il racconto caldaico è ancora più importante, come quello che ci spiega meglio l'origine di quello della Genesi. Esso fu recentemente decifrato, in tavolette trovate fra le rovine di Ninive e contenenti una serie di leggende, e propriamente quella mitologia di cui la ebraica non è che una copia. Il dio Ilu avvertì Xisutrus che fra breve un diluvio avrebbe distrutto tutto il genere umano, gl'ingiunse di scrivere una storia di tutte le cose, sotterrandola poi nella città del Sole; doveva quindi costruire un vascello e rifugarvisi con la sua famiglia e i suoi amici, portando seco una coppia di ogni specie di animali e di uccelli, ed il vitto per tutti. Xisutrus obbedì, e quando venne il diluvio si salvò sul vascello. Per sapere se le acque erano diminuite, mandò fuori per tre volte alcuni uccelli e la terza volta non tornarono; segno evidente che avevano trovato in qualche luogo la terra asciutta. Affacciandosi ad un'apertura del vascello, vide che aveva dato in secco sopra le pendici di una montagna, ed egli discese con la moglie e la figlia. Le memorie caldaiche, nelle tavolette di Ninive, parlano pure della leggenda della costruzione della torre di Babele. I primi abitanti della terra, superbi della loro forza e della loro potenza, cominciarono a disprezzare gli Dei, e vollero innalzare, nel luogo ove ora siede Babilonia, una torre che giungesse fino al cielo; ma quando furono a un certo punto, gli Dei, aiutati dai venti, rovesciarono sui costruttori tutto l'edifizio, e confusero il linguaggio degli uomini, i quali fino a quell'epoca avevano tutti parlato la stessa favella. La Bibbia parla di dieci patriarchi vissuti prima del diluvio, ognuno dei quali morì in tardissima età; e la tradizione caldaica parla pure di dieci re che regnarono 432.000 anni; nelle leggende arabe, chinesi, indiane e germaniche si parla egualmente di dieci personaggi mitici, i quali avevano vissuto prima del periodo storico; come dieci erano i primitivi re della sacra tradizione persiana e dieci gli eroi dell'Armenia... Dei dieci patriarchi ebrei è importante specialmente Abramo, per il suo famoso sacrificio. Ebbene: esso pure è copiato, e precisamente dalla leggenda del patriarca Adgigata, che si trova nel Ramatsariar, libro delle profezie indiane. Adgigata è un giusto prediletto da Brahma. Egli non ha figli, ma finalmente Brahma fa concepire sua moglie in modo miracoloso. Un giorno Brahma gli comanda di sacrificare questo figlio e, quantunque il comando gli faccia schiantare il cuore dal dolore, tuttavia si dispone ad ubbidire, allorché Brahma, sotto forma di colomba, gli appare, ordinandogli di risparmiare il figlio, ed aggiungendo che quest'ultimo doveva vivere lunghi giorni, perché da lui sarebbe nata la Vergine che doveva concepire da un germe divino. Le ricerche moderne in Egitto hanno fatto scoprire che la storiella di Giuseppe e della moglie di Putifarre venne tratta dalla novella egiziana dei Due fratelli. Perfino il legislatore della Bibbia è una copia delle più antiche mitologie. E qui cediamo la parola al Jacolliot245: «Un uomo dà all'India delle leggi politiche e religiose, e si chiama Manù. Il legislatore egiziano riceve il nome di Manès. Un cretese si rende in Egitto per studiare le istituzioni che intende di dare al proprio paese, e la storia ne conferma il ricordo sotto il nome di Minosse. 244 Il Regnaud, nel libro Comment naissent les mythes, dimostra la priorità della leggenda vedica su quella semitica (pp. 59 e segg.). 245 Le vere origini della Bibbia.
«Infine il liberatore della casta schiava degli Ebrei fonda una nuova società e si nomina Mosè. «Manù, Manès, Minosse, Mosè: ecco quattro nomi che dominano tutto il mondo antico. Appariscono ai primordi di quattro popoli diversi, per rappresentare la stessa parte, circondati dalla stessa aureola misteriosa; tutti quattro legislatori e gran preti, fondatori di società sacerdotali e teocratiche. Che gli uni abbiano preceduto gli altri; che Manù sia stato il loro precursore, ciò non lascia il menomo dubbio, vedendo la somiglianza dei nomi e l'identità delle istituzioni da essi create. In sanscrito Manù significa l'uomo per eccellenza, il legislatore. Manès, Minosse, Mosè provengono evidentemente dalla stessa radice sanscrita; le leggiere varietà di pronuncia sono appropriate alle diversità delle lingue che si parlavano in Egitto, in Grecia, in Giudea. Sarà molto facile di dimostrare per mezzo delle istituzioni identiche che i tre ultimi sono i continuatori di Manù; e quando risulterà evidente che l'antichità è semplicemente una emanazione indiana, non recherà alcun stupore di vedere che le origini della Bibbia rimontano all'Alta Asia. E resterà provato che le influenze ed i ricordi della culla dell'Umanità, continuandosi attraverso le età, hanno fatto dare al legislatore giudeo che intendeva di rigenerare il mondo, un nome consimile a quello di Jezeus Cristna che aveva, secondo le tradizioni indiane, rigenerato il mondo antico. L'Egitto, per la sua posizione geografica, ha dovuto essere necessariamente uno dei primi paesi colonizzati dall'emigrazione dell'India; uno dei primi che ricevette l'influenza di questa antica civiltà, i cui raggi sono giunti sino a noi. Questa verità diviene evidente quando si studiano le istituzioni di questo paese talmente modellate su quelle dell'Alta Asia, da non potersene negare in alcun modo la figliazione»246. Il Jacolliot fa poi il parallelo delle istituzioni dell'Egitto, dell'Antico Testamento e dell'India, per dimostrare che le due prime sono una copia delle ultime, e pertanto che anche Mosè e Manès sono derivati da Manù. Al che noi aggiungiamo ciò essere confermato per altre vie dalla esegesi e dalla critica letteraria della Bibbia, le quali hanno definitivamente dimostrato che i libri attribuiti a Mosè non possono essere di colui al quale furono attribuiti247. Del resto l'assiriologia ha messo in chiaro che la storia di Mosè fu in parte copiata da quella dell'accadiano re Sargon, che «nacque in luogo deserto, venne messo dalla propria madre in un paniere di giunchi, lanciato nel fiume, raccolto ed educato da uno straniero, dopo il quale diventò re», e ciò mille e più anni prima di Mosè, come concede il rev. Brown. Nemmeno il profetismo è d'invenzione giudaica. Anche qui il giudaismo ha copiato la Persia, la quale, da evo antico, immaginato aveva la storia del mondo essere una serie di evoluzioni, a ciascuna delle quali presiede un profeta. Ogni profeta aveva il suo Kazar, o regno di mille anni (chiliasmo); e di queste età successive è composta la trama degli avvenimenti che preparano il regno di Ormuzd. Alla fine dei tempi, esaurito il regno dei chiliasmi, verrà il paradiso. Nella Bibbia giudaico-cristiana ci sono pure altre persone mitologiche; per esempio, Elia coi suoi cavalli infiammati e col suo carro di fuoco è l'Apollo greco. Anche la leggenda di Sansone — il cui nome in ebreo significa piccolo Sole — e quella di Gionata dimorante tre giorni nel ventre d'una balena, non sono originali. Sansone corrisponde al mito pagano di Ercole; il quale, inoltre, come Gionata, è rimasto tre giorni nel ventre di un mostro marino. Abbiamo dunque provato, come ci eravamo proposti, che la mitologia dell'Antico Testamento non è originale, ma è una copia di altre mitologie ad essa anteriori. Talché basterebbe conoscere 246 A dimostrare vieppiù il carattere mitologico di Mosè, basta il confronto suo con Bacco, fatto dal Pigault- Lebrun. «Gli antichi poeti fanno nascere Bacco in Egitto; in Egitto nasce anche Mosè. Bacco è esposto sul Nilo; Mosè pure. Bacco è trasportato su di una montagna araba, detta Nisa; Mosè soggiorna su una montagna araba, detta Sinai. Una dea ordina a Bacco di andare a distruggere una nazione barbara; Mosè riceve la medesima missione dal Signore. Bacco passa il Mar Rosso a piedi asciutti: Mosè pure. Il fiume Oronte sospende il suo corso in favore di Bacco; il Giordano pure si ferma, ma in favore di Giosuè. Bacco comanda al Sole di fermarsi, esso si ferma, e Giosuè compie il medesimo prodigio. Due raggi luminosi escono dalla testa di Bacco; essi escono eziandio da quella di Mosè, e sono questi raggi che i fanciulli e le cuoche scambiano per corna. Bacco fa zampillare una fontana di vino battendo la terra col tirso. Mosè fa scaturire l'acqua da una roccia battendola con la sua bacchetta...» 247 Il Malvert afferma che Mosè è il nome del dio solare Masu. Questa etimologia può stare anche a lato di quella data dal Jacolliot. In ogni modo poco importa l'origine esatta del nome; l'importante è di sapere che anche Mosè è un mito. queste per conoscere quella. Avremmo anche potuto dimostrarlo con maggior copia di documenti, attingendo eziandio alle fonti mitologiche di altri popoli; ma non occorreva al nostro còmpito, mentre una soverchia preoccupazione per la erudizione potrebbe essere d'ingombro alla chiarezza della nostra dimostrazione248. Orbene: se l'Antico Testamento ha una mitologia punto originale, chi non vede che Cristo, il quale è indissolubilmente legato alla mitologia dell'Antico Testamento, segue la sorte di questo, vale a dire che diventa una copia anche per le allegorie dell'Antico Testamento che è destinato a compiere, oltreché, come già abbiamo visto, per la sua propria vita e per i suoi atti propri? 248 A maggior persuasione del lettore ricorderemo che le scoperte delle iscrizioni cuneiformi fatte negli scavi di Babilonia, hanno oramai risolto questo punto di storia mitologica, ponendo fuori e al disopra di ogni discussione il nostro punto di vista, vale a dire che la creazione, la caduta di Adamo, lo stesso decalogo, il diluvio, la settimana di sette giorni, il riposo ebdomadario, il nome stesso del sabbato, una quantità di prescrizioni rituali, morali e penali vennero all'Antico Testamento dalla civiltà caldaica, insomma che tutta la mitologia della Bibbia è mitologia assiro-babilonese. Il decalogo di Mosè è copiato da una raccolta di leggi del re Hamurrabi, anteriori di otto secoli all'epoca del preteso Mosè. Nella stele recentemente scoperta a Susa dall'assirologo francese J. De Morgan, il re Hamurrabi è rappresentato nell'atto di ricevere dalle mani del Dio del Sole un libro delle leggi, scena di cui quella di Mosè sul monte Sinai non è che la riproduzione. Le leggi di Hamurrabi contengono, oltre il decalogo che fu poi copiato dal legislatore ebreo ed attribuito a Mosè, anche le prescrizioni penali feroci del Dio Padre dei cristiani, fra le quali la legge del taglione. A proposito delle rivelazioni dovute a queste scoperte è sorto in Germania nel momento in cui scriviamo un significante dibattito. Il prof. Friedrich Delitzsch avendole divulgate in conferenze popolari cui assistette lo stesso imperatore Guglielmo II colla imperial consorte, che si congratularono con lo scienziato, il mondo ortodosso della Germania si levò a rumore, rimproverando all'imperatore la sua adesione ad un sistema che distrugge la rivelazione, e conseguentemente la Divinità di Cristo, e conseguentemente la religione, e conseguentemente... quei privilegi che la religione, base del dirittodivino e forza di conservazione per eccellenza, consacra e garantisce. Onde venne in voga il motto: Babel, Bibel, Bebel, inteso a significare che se Babilonia distrugge la Bibbia, distrutta la Bibbia la società marcia dritta verso Bebel (capo dei socialisti tedeschi), vale a dire verso l'emancipazione del proletariato. Ma la scienza non si preoccupa delle conseguenze. Tanto meglio, però, se le conseguenze delle scoperte scientifiche sono di tale natura da chiamare un sempre maggior numero di uomini al banchetto della vita. |